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Qui in Italia noi facciamo così

Immaginiamo per un attimo la scena. Siamo in una stanza buia, seduti a un tavolo, solo una luce soffusa a illuminare il nostro volto. Di fronte a noi un tizio in piedi ci chiede: “Allora, perché non cerchiamo di venirci incontro?”. Il nostro rifiuto è cordiale, ma tondo: no. Ora il tizio, con nonchalance, si porta la mano dietro la schiena ed estrae dalla cintola una pistola. La poggia sul tavolo proprio davanti a noi, e con assoluta indifferenza ci rifà la stessa domanda: “Allora, perché non cerchiamo di venirci incontro?”.

Berlusconi è all’angolo. Ha capito che stavolta le minacce non basteranno più. Dovrà spingersi oltre e giocarsi tutte le sue carte, lecite o illecite che siano. In seguito alla richiesta di rito immediato da parte della Procura di Milano, il presidente del Consiglio ha affermato che farà causa allo Stato, perché sono dei “processi farsa, le accuse sono infondatissime”. I giudici pagheranno “per questo schifo e per questa vergogna” perché hanno “offeso la dignità del paese e portato fango all’Italia”. Secondo il premier il Tribunale di Milano non è competente perché il reato di concussione, laddove integrato, sarebbe stato commesso nell’esercizio delle sue funzioni. Ovvero, quando lui chiamò in questura era davvero convinto che la minorenne marocchina Ruby fosse in realtà la nipote del Presidente egiziano Mubarak.

Cosa importa a noi? L’Italia ha tanti problemi, perché stiamo ancora perdendo tempo con questa pagliacciata? Invece ce ne frega. Eccome. Perché dal Ruby-gate scaturisce il sequestro delle istituzioni a cui il nostro paese è condannato. Partendo dal presupposto che, qualora lo ritenesse necessario, la Procura di Milano è tenuta a indagare su ogni cittadino, in ragione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost., art. 50 c.p.p), il premier può tranquillamente andare a processo se convinto della sua innocenza. Ma il caso Ruby è collegato a due dei maggiori pericoli per il nostro paese: federalismo e processo breve.

Il primo è assolutamente vincolato alla sopravvivenza della legislatura. La Lega sta perdendo parecchi consensi nella sua base, assumendo sempre di più le sembianze di un partito che aspira solo al potere, dimentico di quella trasformazione federale dell’Italia, promessa mai mantenuta. Il federalismo, o quello straccio di legge che sono soliti chiamare così ma che di federale non ha assolutamente niente, rimane l’ultima carta per riappropriarsi di quella credibilità che nel tempo i leghisti hanno perduto. Insomma, uno specchietto per le allodole, secondo gli insegnamenti berlusconiani in materia di propaganda. Anche Bossi accusa i magistrati di cercare lo scontro istituzionale, perché sono andati contro le decisioni del Parlamento.

Il secondo era scomparso dalla circolazione. In seguito al passaggio del legittimo impedimento, era improvvisamente venuta meno l’improrogabile necessità di accorciare la durata dei procedimenti. Ma adesso il processo breve, insieme alla legge bavaglio, è rispuntato. E non è una casualità. Partendo del presupposto che il Parlamento è ormai stato defraudato della sua dignità costituzionale, completamente prono alle volontà del padrone, e che Berlusconi è il capo del Governo, l’unico dei tre poteri istituzionali su cui non ha influenza è la Magistratura. Occorre quindi far tremare i giudici, perché la smettano di continuare nel loro lavoro. E allora tira fuori la pistola del processo breve. Ma non spara. La poggia sul tavolo.

È allora questa la tanto decantata democrazia all’italiana. In uno stato totalitario, in un regime senza diritti, chiunque dissenta dalle idee del Capo rischia una pistolettata. Pericle nel suo Discorso agli Ateniesi nel 461 a. C disse: “Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. Qui ad Atene noi facciamo così” .

Qui in Italia è diverso. Non usiamo la pistola, ma la tiriamo fuori in bella vista e la poggiamo sul tavolo. E poi chiediamo, con un sorriso sprezzante: “Allora, perché non cerchiamo di venirci incontro?”.

Qui in Italia noi facciamo così.

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