Quel pasticciaccio brutto e fideistico di Downing Street
Talvolta pensiamo che certe sbandate clericali siano quasi un’esclusiva del nostro paese. Non è così. Sono purtroppo estremamente diffuse nel tempo e nello spazio, tanto da non risparmiare nemmeno la Gran Bretagna. Che, come se non bastasse, rischia di affogare nella sua stessa ideologia comunitarista.
Di fronte alla prepotente avanzata dell’Ukip, un “nuovo” partito euroscettico di estrema destra, i conservatori inglesi non hanno infatti saputo far di meglio che rispolverare le radici cristiane del paese — cosa che, Oltremanica, significa soprattutto la quasi impresentabile Chiesa anglicana, la cui ragion d’essere sfugge ormai a chiunque. Ha cominciato il ministro Eric Pickles, segretario alle comunità locali, sostenendo che la Gran Bretagna “è una nazione cristiana con una Chiesa di Stato, e gli atei militanti dovrebbero farsene una ragione”. Ha continuato la baronessa (per meriti politici) Sayeeda Warsi, viceministra degli esteri con delega per le questioni di fede, che si è “dimenticata” i non credenti in un nutrito elenco di perseguitati nel mondo a causa delle loro convinzioni. E ha terminato lo stesso Cameron: intervistato per Pasqua dal Church Times si è lanciato in un’autentica apologia del cristianesimo, tanto benefico per la sua vita personale quanto potenzialmente capace di trasformare l’intero pianeta. Condendo il tutto con la riaffermazione della cristianità della nazione e con un pesante attacco alla neutralità religiosa dello Stato.
Neutralità che, peraltro, lassù viene tradotta con un favore pressoché illimitato verso qualunque comunità di fede. Una prova provata sono le faith schools, le scuole private religiose finanziate con tonnellate di sterline pubbliche a prescindere dalla loro qualità (scarsa), tolleranza verso i non appartenenti (inesistente), rispetto per la scienza (il creazionismo vi dilaga). Autentici ghetti medievali nel terzo millennio, in via di irresistibile e drammatica espansione. Proprio in questi giorni è scoppiato un enorme scandalo: a Birmingham, la seconda città del Regno con una ragguardevole minoranza musulmana, si è scoperto che ben sei scuole pubbliche applicavano la sharia: ragazze negli ultimi banchi, docenti col velo, insegnamento del Corano e dell’arabo, preghiere islamiche. A tre di queste sta a capo un’unica persona: Tahir Alam, un militante del Muslim Council of Britain.
E pensare che la società è largamente secolarizzata: secondo il British Social Attitudes Survey, metà della popolazione non appartiene ad alcuna religione. Lo stesso Cameron è l’unico cristiano tra i leader di partito: il libdem Nick Clegg e il laburista Ed Miliband sono dichiaratamente atei. Ma, siano essi etnocentristi, monoconfessionalisti, comunitaristi, o persino quella macchietta di George Galloway (già partecipante al Celebrity Big Brother e convertitosi all’islam, è un parlamentare di estrema sinistra nemico giurato della libertà di critica alla religione), tutti i leader politici inglesi continuano a sostenere l’utilità pubblica della religione. Con buona pace dell’uguaglianza e della laicità.
Sembra quasi una battuta umoristica: “Da cosa si riconosce un politico in difficoltà? Dalle sue maggiori attenzioni nei confronti della religione”. Non è purtroppo una battuta, e le dichiarazioni a favore della fede vanno molto spesso a braccetto con precise prese di posizione contro i non credenti. Persino Stalin, di fronte all’avanzata nazista, arrivò a sopprimere l’associazione atea russa facendo nel contempo risorgere il patriarcato di Mosca.
Nel frattempo, un gruppo di 55 intellettuali laici ha scritto a Cameron una lettera per criticare le sue parole. Un po’ poco per un paese con quel passato, e con un futuro molto torbido davanti a sé. Nella patria di John Stuart Mill, qualcuno è ancora interessato ai diritti individuali in generale, e a quelli dei non credenti in particolare?
Raffaele Carcano, segretario UAAR
Pubblicato nel blog UAAR di MicroMega il 23 aprile 2014.
Foto: DFID/Flickr
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