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Quel detestabile ateismo di stato

cina

Ci sono so­prat­tut­to due modi per im­por­re qual­co­sa: la per­sua­sio­ne e la for­za. La se­con­da, pur­trop­po, si ri­ve­la qua­si sem­pre più ef­fi­ca­ce. Spe­cial­men­te in ma­te­ria re­li­gio­sa: le con­ver­sio­ni sin­ce­re, sto­ri­ca­men­te e sta­ti­sti­ca­men­te par­lan­do, sono un fe­no­me­no raro, e co­mun­que più in­fre­quen­te del pas­sag­gio al­l’in­cre­du­li­tà. Co­stan­ti­no ed Hernán Cor­tés – giu­sto per ci­ta­re i due esem­pi più fa­mo­si – lo in­se­gna­no: la ge­stio­ne del po­te­re e la po­ten­za del­le armi sono più ef­fi­ca­ci di mi­glia­ia di pre­di­ca­to­ri.

An­che l’a­tei­smo può es­se­re im­po­sto: lo è sta­to e lo è. È ac­ca­du­to in qua­si tut­ti gli sta­ti del­l’e­st Eu­ro­pa, per esem­pio, tan­to che l’Al­ba­nia de­tie­ne an­co­ra oggi il tri­ste pri­ma­to di es­se­re sta­to, tra il 1967 e il 1989, l’u­ni­co sta­to ateo tale per leg­ge (dal 1976 an­che per via co­sti­tu­zio­na­le). L’a­tei­smo di sta­to fu più an­ti-re­li­gio­so che pro-ateo, tan­to che an­che alle or­ga­niz­za­zio­ni atee è ca­pi­ta­to di fi­ni­re fuo­ri leg­ge: ac­cad­de a quel­la so­vie­ti­ca sot­to Sta­lin, e ac­cad­de a quel­le ce­che, mes­se tre vol­te al ban­do – da­gli Asbur­go, dal na­zi­smo e dal co­mu­ni­smo. Il ri­sul­ta­to è sta­to però il me­de­si­mo: li­ber­tà re­li­gio­sa osta­co­la­ta e spes­so vie­ta­ta, pro­mo­zio­ne del­l’a­tei­smo di par­ti­to, dif­fu­sio­ne del­l’in­cre­du­li­tà. Che è qua­si sem­pre pro­se­gui­ta an­che dopo la ca­du­ta del muro: per­ché la fede, per es­se­re tra­smes­sa, ha bi­so­gno del­la coo­pe­ra­zio­ne tra con­fes­sio­ne re­li­gio­sa, isti­tu­zio­ni, fa­mi­glia, scuo­la, mass me­dia. Ciò ha oggi luo­go solo in al­cu­ne so­cie­tà: e dove ha luo­go (la Rus­sia pu­ti­nia­na, per esem­pio) l’ap­par­te­nen­za re­li­gio­sa ri­pren­de for­za.

Fuo­ri dal­l’Eu­ro­pa esi­sto­no tut­ta­via an­co­ra cin­que re­gi­mi gui­da­ti da un par­ti­to co­mu­ni­sta: Cina, Co­rea del Nord, Viet­nam, Cuba e Laos. In que­sti ul­ti­mi due il go­ver­no non con­du­ce più po­li­ti­che aper­ta­men­te an­ti-re­li­gio­se, e la mag­gio­ran­za del­la po­po­la­zio­ne può quin­di di­chia­rar­si – ri­spet­ti­va­men­te – cat­to­li­ca e bud­d­hi­sta. Gli atei ri­sul­ta­no in­ve­ce mag­gio­ri­ta­ri, an­che se non to­ta­li­ta­ri, ne­gli al­tri tre. Che han­no sto­rie e po­li­ti­che dif­fe­ren­ti. Il re­gi­me viet­na­mi­ta non ama pro­prio al­cu­na re­li­gio­ne. Quel­lo nor­d­co­rea­no an­che, ma pro­muo­ve nel con­tem­po un’i­deo­lo­gia pa­ra­re­li­gio­sa, la Ju­che. La Cina, in cui l’a­tei­smo ha due mil­len­ni e mez­zo di sto­ria e in cui il con­fu­cia­ne­si­mo è da anni tor­na­to a es­se­re pro­mos­so dal­l’e­sta­blish­ment, la Co­sti­tu­zio­ne ga­ran­ti­sce for­mal­men­te la li­ber­tà re­li­gio­sa. Il par­ti­to at­tua tut­ta­via una po­li­ti­ca smac­ca­ta­men­te giu­ri­sdi­zio­na­li­sta in ma­te­ria di fede, crean­do co­mu­ni­tà di fe­de­li al­ter­na­ti­ve i cui lea­der sono a loro vol­ta fe­de­li al re­gi­me. Esi­ste per­tan­to una Chie­sa cri­stia­na pa­triot­ti­ca, islam e bud­d­hi­smi fi­lo­go­ver­na­ti­vi e così via.

Le co­mu­ni­tà non al­li­nea­te de­vo­no dun­que di­fen­der­si an­che dal­la con­cor­ren­za, il cui pro­gram­ma di co­stru­zio­ne di tem­pli è mu­ni­fi­ca­men­te so­ste­nu­ta dal­lo Sta­to: per il re­gi­me, la re­li­gio­ne svol­ge una fun­zio­ne po­si­ti­va. Pur­ché non cri­ti­chi il re­gi­me. Le ten­sio­ni in­ter­ne dun­que non man­ca­no e sono spes­so ine­stri­ca­bil­men­te le­ga­te alle ri­ven­di­ca­zio­ni in­di­pen­den­ti­ste, come in Ti­bet. La scor­sa set­ti­ma­na un imam vi­ci­no al re­gi­me è sta­to as­sas­si­na­to nel­lo Xi­n­jiang, e le au­to­ri­tà lo­ca­li han­no in rap­pre­sa­glia vie­ta­to bar­be e veli isla­mi­ci sui tra­spor­ti pub­bli­ci del­la re­gio­ne. Ma il prin­ci­pa­le ne­mi­co del­la co­mu­ni­tà di fede sto­ri­che è, ov­via­men­te, lo Sta­to.

Nei gior­ni scor­si si è avu­ta no­ti­zia di ar­re­sti di re­li­gio­si e di un pia­no di de­mo­li­zio­ne for­za­ta di nu­me­ro­se chie­se. Poco ri­spet­to a quan­to sta ac­ca­den­do in Iraq, mol­to ri­spet­to a quel­li che sono al­cu­ni dei va­lo­ri ispi­ra­to­ri del­l’Uaar: il lai­ci­smo, il ri­spet­to dei di­rit­ti uma­ni; la de­mo­cra­zia; il plu­ra­li­smo; le li­ber­tà di co­scien­za, di espres­sio­ne e di ri­cer­ca. Sen­za tali va­lo­ri non si ha e non si avrà mai uno sta­to lai­co. L’Uaar, che non è nem­me­no pro­se­li­ti­sta, os­ser­va dun­que con re­pul­sio­ne l’im­po­si­zio­ne di un pen­sie­ro are­li­gio­so con me­to­di li­ber­ti­ci­di. E a chi sof­fre a cau­sa del­le pro­prie con­vin­zio­ni va tut­ta la sua so­li­da­rie­tà.

 

 

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