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Quei poveri cappellani oberati di lavoro

La presenza di cappellanie cattoliche in quasi tutti gli ambienti obbliganti pubblici è emblematica della scarsa laicità dello Stato italiano. Dalle caserme di ogni tipo alle carceri, dagli ospedali ai cimiteri e alle università, gli assistenti spirituali cattolici sono presenti per legge praticamente ovunque, sempre rigorosamente a spese dello Stato. E se le confessioni che hanno un intesa con lo Stato possono chiedere di avere le loro cappellanie, senza tuttavia alcun diritto a un contributo e men che meno a una retribuzione, gli assistenti laici e quelli delle altre fedi possono solo sperare, se vogliono poter garantire un servizio almeno analogo, di riuscire a strappare una convenzione con il relativo ente. L’unica eccezione sono forse le scuole pubbliche statali, non obbligate a prevedere una cappellania ma, ancora peggio, tenute a fornire fino a due ore settimanali di insegnamento religioso conforme alla dottrina cattolica. Sempre a carico della collettività, questo è purtroppo ovvio.

L’ultima legge a disciplinare la figura del cappellano carcerario è stata la 68/82. L’ipotesi di carceri senza cappellano non è naturalmente neanche presa in considerazione, anzi è previsto che possano esservene presenti più di uno nello stesso Istituto. Dal punto di vista economico la 62/82 si limita a rimandare alla legge 207/76 stabilendo che ai cappellani vada riconosciuto un trattamento pari al doppio di quanto previsto in quel dispositivo e incrementato di una indennità mensile supplementare. Tradotto in soldoni, nel 1982 un cappellano carcerario percepiva, a seconda del livello di inquadramento, un’indennità variabile da un minimo di circa 660 euro fino a circa 1070 euro annui, a cui si aggiungono ferie retribuite, periodi di assenza per malattia retribuiti fino a due mesi, assicurazione Inps e Tfr. Ovviamente oggi le cifre saranno molto diverse, ma non abbiamo riferimenti ai decreti ministeriali che hanno introdotto gli aumenti.

Nulla veniva stabilito per quanto riguarda le ore di disponibilità del cappellano. Questo aspetto, insieme a molti altri inerenti il funzionamento del servizio, sono stati successivamente definiti nella circolare ministeriale 3553/6003 del 2001 e ammontano a complessive 18 ore settimanali. Il monte ore è comunque abbastanza flessibile, perché viene ammesso sia lo spostamento di ore da una settimana a un’altra che la modulazione in un numero di giornate, che normalmente sarebbe di cinque, fino a tre settimanali. Considerato che nel 1982 il minimale contributivo Inps per un operaio era di 16.785 lire al giorno, e che l’operaio lavora normalmente 40 ore a settimana, si capisce che l’indennità corrisposta ai cappellani era di poco inferiore e dunque tutt’altro che irrisoria, a maggior ragione se si considera che viene corrisposta per un servizio che è nel totale interesse della Chiesa cattolica erogare. Tant’è che, ripetiamo, molti servizi di assistenza religiosa per culti diverso dal cattolico, ma anche quelli laici come il servizio di Amnc dell’Uaar, vengono erogati a titolo gratuito.

Ma si sa, le nostre vedute quasi mai coincidono con quelle del mondo cattolico e spesso nemmeno con quelle del mondo politico. Infatti l’attuale governo, e in particolare Andrea Orlando in quanto attuale Ministro della Giustizia, non solo non hanno pensato di includere gli stipendi dei cappellani nelle varie spending review, ma hanno fatto un ragionamento diverso. Devono aver pensato che magari questi “poveri” cappellani hanno molte altre cose da fare oltre che assistere le anime peccatrici dei detenuti. Metti che magari hanno la loro parrocchia, e quindi grazie all’otto per mille percepiscono lo stipendio dalla Cei, o che insegnano religione in qualche scuola, e quindi sono pagati dal ministero dell’Istruzione, perché comunque per loro non esiste il divieto di cumulo delle cariche. Più genericamente, metti che hanno difficoltà a sostenere una mole di lavoro come quella per cui prestano servizio nel carcere; vogliamo cercare di fare in modo di venirgli incontro? Sarà pure gente di una certa età, visto che perfino il limite massimo di settant’anni previsto originalmente è stato abolito nel 1989.

Detto fatto. Ecco che giusto nel luglio scorso è stata diramata dal ministero una circolare in cui viene sostanzialmente abrogato il dovere di garantire 18 ore settimanali di presenza in carcere, pur mantenendo il limite minimo di tre giorni a settimana. Singolare la motivazione alla base della deliberazione: siccome non si trovano sacerdoti per assicurare le 18 ore, invece di eliminare un servizio non essenziale si abbassano le ore da prestare. E se tanto ci dà tanto, poiché l’indennità non viene calcolata sulla base delle effettive ore lavorate, ma si tratta di un importo annuale a cui viene aggiunto un supplemento mensile, è lecito ritenere che la spesa complessiva rimarrà invariata a tutto vantaggio dei cappellani, che godranno di un rapporto tra ore lavorate e retribuzione percepita decisamente più vantaggioso, e a scapito della laicità e dei cittadini, che poveri lo sono sicuramente, e sempre di più. Ma speriamo di essere smentiti almeno su quest’ultimo punto.

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