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Quei giornali che alimentano il razzismo

Il modo più semplice per comprendere come la costruzione sociale dell’immigrato come pericolo pubblico passi, in maniera prevalente, dai mass media, è quello di proporre un confronto fra le diverse strategie di rappresentazione che accompagnano fatti di cronaca nei quali italiani e stranieri si scambiano il ruolo di vittima e carnefice.

Due eventi avvenuti in Italia nell’ultima settimana si prestano in particolar modo a questo tipo di confronto. Si tratta di due incidenti stradali nei quali, in entrambi i casi si sono verificati decessi, aventi come protagonisti in un caso un guidatore italiano, in un caso un guidatore albanese. Per permettere una migliore comparabilità dei casi, prenderemo in considerazione due articoli apparsi su testate appartenenti allo stesso gruppo editoriale: l’Espresso. La disparità di trattamento riservata al guidatore italiano ed a quello albanese palesa il persistere di un razzismo latente, ancora pesantemente stratificato nelle pratiche del giornalismo di cronaca.

Lo scorso 11 agosto il Mattino intitolava un articolo apparso sia in cartaceo che in versione online: “Morta bimba investita a Abano, la mamma disperata: Olga non c'è più”. Il sottotitolo riportava, esplicitamente le seguenti informazioni: “è morta la bimba ucraina di nove anni che con la sorellina di dieci era stata urtata da un'auto mentre percorrevano in bicicletta via Stella. La famiglia ha autorizzato la donazione degli organi”. Come si nota, né il titolo né il sottotitolo contenevano alcun riferimento al guidatore né in termini di origini nazionali, né di altro dato sociografico. La nazionalità della bambina veniva riportata soltanto in sottotitolo. 

L’articolo proseguiva centrando la narrazione sul tema centrale della sofferenza della madre e coprendo, per oltre metà del testo, la descrizione degli ultimi momenti di vita della vittima e del conseguente strazio dei genitori, con un tono ed un registro linguistico propri del peggiore giornalismo populistico. Quello, per intenderci, tipico dei tabloids, fatto di aggettivi mielosi, figure allegoriche, metafore strappa-lacrime, orientati a suscitare commozione, riprovazione etica o scandalo nel lettore. 

Al terzo capoverso del suddetto articolo, il giornalista si concentrava sulla dinamica dell’accaduto, dando prima voce alla versione del guidatore, quindi ai pareri discordanti degli astanti e solo in terzo luogo ai rilievi delle forze dell’ordine, invertendo così, di fatto, l’oggettività presumibile delle fonti.

Cosa più rilevante non venivano citati né il nome, né le iniziali del guidatore, ma esso veniva nominato semplicemente come “l’automobilista di Montegrotto”. Nessun ulteriore elemento relativo a precedenti infrazioni di guida o eventuali reati del guidatore, veniva fornito a corredo. 

La notizia, apparsa sulla stampa locale in data 11 agosto non ha raggiunto l’attenzione né di Repubblica, né del Corriere, malgrado anche la testata torinese abbia una redazione ed una edizione venete. 

Malgrado il contesto temporale e l’editore siano gli stessi, ben maggiore attenzione mediatica e ben diverso tono hanno accompagnato un articolo su di un argomento molto simile apparso sulla testata nazionale la Repubblica, riguardante un incidente stradale con vittime il cui responsabile, questa volta, è un immigrato albanese. Andiamo quindi a citare titolo e sottotitolo da Repubblica.it: “Auto contromano sulla A26. Arrestato il conducente del Suv. Ilir Beti, 35 anni, albanese, imprenditore edile residente ad Alessandria, è accusato di omicidio volontario plurimo aggravato. Ubriaco, al volante di un Suv, aveva ucciso quattro giovani francesi. Contro l'originale decisione di lasciarlo a piede libero si era sollevata la protesta dei parenti delle vittime”. 

L’evento in questione è avvenuto in data 14 agosto, mentre la decisione dell’arresto è venuta ieri, 17 agosto, data in cui appare anche l’articolo sul sito del giornale. A differenza dell’articolo de il Mattino, notiamo subito come esso non si concentri sulle vittime, ma sulle responsabilità del guidatore. Come sappiamo, i titoli giocano un ruolo fondamentale nel processo di framing delle notizie e ciò vale in particolare per la stampa online, i cui fruitori, di solito, si fermano per l’appunto ad una lettura superficiale delle notizie. 

La cornice con cui viene proposta la notizia seleziona in maniera rigida gli eventi e focalizza il lettore sulle intenzioni di quello che appare a tutti gli effetti un ubriaco e folle assassino. La dinamica stessa dell’incidente non viene infatti minimamente messa in dubbio, malgrado quella che dovrebbe essere una naturale prudenza nei casi di indagini ancora in corso. Prudenza che, al contrario, contraddistingue il quotidiano gratuito Leggo in un articolo coevo, nel quale si dà spazio in maniera neutra ed approfondita ai rilievi della polizia stradale sul luogo del delitto.


A differenza dell’articolo de il Mattino, Repubblica non si concentra sulla vittima di 9 anni che muore in quelle che vengono raccontate come circostanze da verificare, ma punta il dito in maniera non contraddittoria contro l’ubriaco imprenditore albanese reduce, insieme ad una seducente compagna russa, da una notte in discoteca. Una coppia deviante, perciò, che, in preda all’alcol “uccide”, volontariamente, come fosse un gioco, quattro giovani francesi. Nell’immaginario del lettore, i due protagonisti del delitto appaiono come dei novelli Diabolik ed Eva Kant, privi di qualsiasi freno etico. 

I toni della narrazione si fanno perciò moralisti, come avviene ogni volta che in un articolo di cronaca appare un potenziale criminale di origini immigrate. La morale, il corredo di valori che è vivere abituale dell’ethnos, viene usato dalla stampa come arma di esclusione, di messa a distanza, di sottomissione simbolica e sostanziale dell’immigrato. I comportamenti dei singoli sono elevati ad exempla di un degrado morale che, più o meno volontariamente, viene associato all’intera popolazione maschile albanese. E ciò anche quando la stampa stessa è apparentemente orientata verso valori diversi, associati ad ideologie sinistrorse, come nel caso de il Mattino e de la Repubblica.

Proseguendo nell’analisi del sottotitolo, la testata romana, non solo non protegge i dati sensibili del guidatore ma fornisce addirittura un identikit completo di “Ilir Beti, 35 anni, albanese, imprenditore edile residente ad Alessandria, è accusato di "omicidio volontario plurimo aggravato”. Si tratta di una palese esempio di discriminazione, basato su di una evidente sproporzione nel trattamento dei dati personali sensibili di un soggetto non ricoprente alcun ruolo pubblico. 

L’anonimità riservata all’“automobilista di Montegrotto” è un attributo morale personale, che non viene riconosciuto a chi, come un immigrato, non fa parte né sostanzialmente né simbolicamente della comunità morale. La violazione della privacy degli immigrati sulla stampa italiana corrisponde quindi ad un misconoscimento dei diritti civili di cittadinanza. Chi non viene riconosciuto come cittadino, non gode, infatti, del beneficio del dubbio, né del rispetto della propria reputazione.

A piena conferma di ciò, sul sito di Repubblica.it, nel pomeriggio di ieri, viene pubblicata una copia degli atti dell’ordinanza di arresto in file pdf scaricabile da tutti gli utenti. Sfogliando le 8 pagine prodotte dal GIP Stefano Montralsio, è così possibile a tutti gli italiani apprendere dove e quando è nato il soggetto, in quale abitazione risiede ad Alessandria, le sue precedenti infrazioni stradali, oltre ad una serie di dati, del tutto personali e gratuite sulle vittime stesse degli incidenti e sui testimoni dell’accaduto. 

Addirittura, il giornale acclude nel pdf anche l’appunto stampa che le questure consegnano ai giornali, con tanto di foto segnaletica del soggetto. Ilir Beti viene così messo alla berlina e la sua immagine viene pubblicata sul web con la stessa incuranza con cui nel vecchio west venivano stampate sulle mura le immagini dei criminali, mentre a tutti gli effetti il soggetto è ancora semplicemente sottoposto ad indagine preliminare. Un caso che ricorda da vicino quello dello stupro della Caffarella nel quale, non più di due anni fa, i giornali pubblicarono le foto segnaletiche di due rumeni i quali, in seguito alle indagini, si scoprirono non essere coinvolti nel delitto. 

Il caso indica, però, anche un abbassamento sostanziale dei diritti di privacy dei cittadini, in particolar modo delle fasce più deboli. È diventato ormai aduso, infatti, utilizzare immagini e dati tratti dai social network per raccontare la vita privata dei soggetti coinvolti nei casi di cronaca; oppure, come in questo caso, sfruttare il supporto informatico per veicolare documenti che dovrebbero essere riservati, esclusivamente, a chi è coinvolto in una indagine. Il giornalismo insegue così un voyeurismo popolare di tipo televisivo che non deriva certo dall’abbattimento mediatico della sfera privata, quanto piuttosto da una cultura provinciale tipicamente italiana, che dà sempre cerca di scavare, tramite il pettegolezzo, nelle vite degli altri.

A farne le spese, come detto, sono soprattutto gli immigrati, dà sempre visti con sospetto come latori di disordine, degrado e povertà e non ancora riconosciuti degni della stessa privacy di cui godono gli italiani. Qualsiasi siano le rispettive responsabilità, per quanto manchi ancora in Italia una significativa esperienza di civil society, sarebbe bene in futuro che l’automobilista di Montegrotto e quello di Alessandria venissero trattati nel medesimo modo, indipendentemente dalla loro nazionalità o stato giuridico.
 
VINCENZO ROMANIA
Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Francesco Finucci (---.---.---.35) 4 settembre 2011 01:13
    Francesco Finucci

    E’ la tecnica dell’infotainment. Ma l’intrattenimento serve a riferire lo stato d’animo dei cittadini, l’informazione a mettere in evidenza ciò che i cittadini non sanno ma dovrebbero sapere. Quando queste due professioni si scambiano e si fondono, tutto s’intorbidisce, e il sistema viene eroso dal di dentro. Credetemi se vi dico che se crolla l’informazione libera nulla rimarrà a proteggere la nostra democrazia.

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