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Quanto siamo laici, noi italiani?

Quanto siamo laici, noi italiani? Dipende da chi o cosa vogliamo prendere come riferimento. Se ci paragoniamo ai nostri vicini, dobbiamo prendere atto che lo siamo meno di loro.

È quanto emerge da una meta-ricerca del Pew Research Center condotta in 34 paesi europei. Il dato più rilevante è che, come ai tempi della guerra fredda, l’Europa è visibilmente divisa in due: la parte occidentale è prevalentemente laica, mentre quella orientale lo è molto raramente. In questo quadro, ci tocca purtroppo constatare come l’Italia si giochi con il Portogallo il ben poco invidiabile primato di paese meno laico e secolarizzato dell’Europa dell’ovest.

Il nostro stato, tra quelli occidentali, risulta infatti quello in cui vive la più alta percentuale di oppositori al matrimonio gay (38%) e di persone che affermano di partecipare alla messa almeno una volta al mese (43%). Siamo all’ultimo posto, alla pari col Portogallo, nel numero di chi non si identifica in alcuna religione (15%) e secondi, dietro al Portogallo, nel ritenere che l’aborto va considerato illegale sempre e comunque (32%) e che la religione è una caratteristica importante dell’identità nazionale (53%: la maggioranza assoluta). Siamo secondi, questa volta dietro la Svizzera, per il livello di clericalismo (43%). Risultiamo essere anche quelli meno disposti ad accogliere tra i componenti della nostra famiglia fedeli musulmani o ebrei.

Siamo dunque stati sorpassati da nazioni, come l’Irlanda e la Spagna, che qualche decennio fa ci lasciavamo comodamente alle spalle. E siamo spesso dietro anche a qualche nazione orientale, finendo quindi quasi sempre nella seconda metà della classifica. Dobbiamo preoccuparci?

Qualche altra risposta ci può risollevare il morale. Ce la siamo cavata un po’ meglio con la domanda sull’importanza della religione nelle nostre vite: solo il 21% ha risposto “sì”, ponendoci davanti a Portogallo, Irlanda e Spagna. È un dato identico a quello di chi dice di pregare quotidianamente e corrisponde, creando una perfetta simmetria, anche a quello dei non credenti nell’esistenza di Dio. Nel confronto (positivo) tra le percentuali di chi è cresciuto in una famiglia cristiana e di chi cristiano non lo è più, ci lasciamo indietro Austria, Svizzera e Regno Unito. Infine, crediamo nel malocchio un po’ meno dei francesi, e risultiamo essere il popolo meno fatalista dell’intero continente. Da non crederci.

Tirando le somme, sembra che tra di noi abbondino i finti/non tanto credenti, che però ci tengono parecchio a mostrarsi fieri della propria identità cattolica. Nulla di nuovo, a ben vedere. Il risultato costituisce un’ulteriore conferma alla risposta data a un’inchiesta sociologica realizzata una decina di anni fa dal sociologo Franco Garelli: la maggioranza relativa (e in continua crescita) della popolazione italiana ammette di aderire alla Chiesa «per tradizione e per educazione». Un atteggiamento che potrebbe essere l’onda lunga della martellante campagna wojtiliana in favore delle radici cristiane, lanciata in occasione dell’approvazione della Costituzione europea, che da noi fu acriticamente ripresa da tanti mezzi d’informazione. Non dobbiamo dunque stupirci del successo di Matteo Salvini: dovrebbero farlo soltanto quegli organi di stampa che hanno aiutato a creare il clima identitarista in cui è stato allevato il “mostro” che ora combattono. Clima che peraltro alimentano ancora oggi, non avendo mai nulla da ridire sulla presenza nelle scuole pubbliche, in nome di quelle stesse radici, del crocifisso, delle statuette del bue e dell’asinello e di Astro del ciel / pargol divin.

Dalla ricerca emergono tuttavia anche numerose conferme di cui possiamo soltanto rallegrarci. Viviamo nel continente più laico e secolarizzato del mondo. I due processi, la laicizzazione e la secolarizzazione, stanno ulteriormente avanzando. E stanno avanzando (benché più lentamente) anche in Italia. Nel nostro paese la maggioranza della popolazione è favorevole alla legalizzazione dell’aborto (65%), ai matrimoni gay (59%) e persino alla separazione tra governo e religione (55%).

È una maggioranza di cittadini (e di elettori) che non ha ancora trovato canali adeguati attraverso cui farsi finalmente valere. L’Uaar può e deve essere quel canale.

Raffaele Carcano

Questo articolo è stato pubblicato qui

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