Quando accettare le regole liberiste non cambia la situazione, il caso Sud Africa
Mentre scorrono le immagini dei mondiali vale la pena chiedersi cosa è cambiato da quelle parti. Sconfitto l’apartheid rimane irrisolto il nodo della giustizia sociale.
Tra i casi proposti voglio riprendere ciò che avvenne in Sud Africa dopo la fine del regime d’apartheid e la riconquista della democrazia da parte di quel popolo.
Partiamo da qualche numero: rispetto al 1994 (dati al 2006), il numero delle persone che vivono con meno di 1 (uno) $ al giorno è raddoppiato. Il tasso disoccupazione è passato dal 23 al 48%. Il numero degli abitanti nelle baracche è aumentato del 50%. 1 milione di persone sono state sfrattate dalle fattorie. Su una popolazione di 35 milioni di neri, 5 mila vivono con un reddito superiore ai 60mila $, su una popolazione di bianchi inferiori ai 5 milioni il numero è 20 volte superiore.
In buona sostanza la liberazione ha prodotto un risultato, in termini di qualità di vita e di ricchezza, peggiore rispetto al periodo in cui vigevano le leggi razziali.
Cosa è successo in questi anni e quali politiche sono state fatte per arrivare ad una situazione di questo tipo?
Le rivendicazioni politiche, su cui l’ANC aveva focalizzato le lotte della popolazione di colore, erano rappresentate e scritte nei principi della “Freedom Charter”. Questa carta era stata il frutto di una massiccia iniziativa politica che aveva portato migliaia di cittadini ad esprimersi su quelle che erano le richieste ed i punti su cui fondare un’azione di governo.
I punti principali erano:




Il sistema economico dell’apartheid aveva garantito alle aziende che investivano in Sud Africa l’accumulo di ricchezze a fronte dello sfruttamento di manodopera a basso costo, con orari di lavoro massacranti ed in assenza di qualsiasi tutela di tipo sindacale. I colletti bianchi, dei vari consigli d’amministrazione, si erano ingrassati con le loro famiglie a spese della popolazione nera.
La lotta di liberazione produsse i suoi frutti e Mandela poté ottenere la libertà.
Uno dei punti chiave della politica economica dell’ANC doveva essere la nazionalizzazione d’importanti aziende del paese. Ingenuamente la leadership pensava, in questo modo, di rendere possibile una redistribuzione delle ricchezze accumulate disonestamente e di avere, nel contempo, la possibilità di gestire la fonte della produzione di risorse da destinare ad investimenti a favore della popolazione.
Il modo per ottenere, in via pacifica, elezioni a suffragio universale e la possibilità di contare nel sistema politico, passò da una serie di negoziazioni che furono fatte tra i soggetti coinvolti. Il confronto si ebbe, in modo separato, sia sotto il profilo politico istituzionale che sotto il profilo economico. L’errore maggiore fatto da quei leader fu di trattare la questione delle “regole”, con cui si sarebbero prodotte le politiche economiche, secondo una logica tecnica non legando il confronto al tavolo in cui si discutevano le regole di convivenza “politica”.
In questo modo il sistema dell’apartheid mentre perdeva al tavolo “istituzionale” vinceva su quello economico.


Riforma agraria? Una clausola garantiva ogni forma di proprietà privata. Creazione di posti di lavoro? Illegale il finanziamento d’aziende (settori auto e tessile) da parte dello stato. Farmaci gratis? Violazione di un accordo promosso dal WTO per la tutela dei diritti della proprietà intellettuale. Costruire case? I sodi devono essere destinati alla copertura del debito pubblico. Aumento dei salari? Gli accordi presi con il FMI lo impedivano.
La rete a supporto delle “regole” del libero mercato poteva contare su azioni destabilizzanti sul fronte dei cambi e del valore borsistico delle aziende quotate.
Subito dopo la liberazione di Mandela il Rand perse il 10% del suo valore e la borsa ebbe un tracollo. Fuga di capitali e de localizzazione degli head quarter delle maggiori aziende seguirono a fronte della stabilizzazione del nuovo quadro politico.
Il sistema globale, e le sue istituzioni, impedirono con i loro vincoli lo sviluppo di politiche economiche in antitesi a quelle liberiste.




Il disastro prodotto sulla pelle degli ultimi ha consentito a molti di applaudire al modo in cui, pacificamente, un popolo si era liberato dalle sue catene. Le regole ed il diritto internazionale, gli accordi economici ed il modo in cui stare al tavolo hanno salvaguardato la forma. La sostanza non è cambiata per chi abita nelle bidonville.
La lezione da trarre da vicende di questo tipo è duplice: nessuna rivoluzione, pacifica o meno, produce risultati se non può contare su una leadership in grado di gestire il dopo.
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