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Qatar, lavoratori migranti sfruttati per i mondiali di calcio

In un nuovo rapporto , Amnesty International ha denunciato le gravi forme di sfruttamento cui sono sottoposti i lavoratori migranti assunti dalle imprese di costruzione e impiegati in progetti spesso multimilionari relativi agli impianti dei Mondiali di calcio del 2022 in Qatar.

Sotto gli occhi della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa) e di un governo inerte se non addirittura complice, le grandi imprese e quelle in subappalto operanti in uno dei paesi più ricchi del mondo ricorrono a forme di sfruttamento che in alcuni casi equivalgono ai lavori forzati.

Per il momento, il “boom” delle costruzioni collegato all’assegnazione dei mondiali di calcio del 2022 al Qatar ha prodotto unicamente una forte richiesta di manodopera e un impressionante livello di abusi. La popolazione del Qatar aumenta di 20 persone all’ora: 20 persone provenienti quasi sempre dall’Asia meridionale e sudorientale, piene di speranze che si sbriciolano in brevissimo tempo.

Durante due visite in Qatar, nell’ottobre 2012 e nel marzo 2013, Amnesty International ha intervistato circa 210 lavoratori migranti del settore delle costruzioni, 101 dei quali individualmente. L’organizzazione ha avuto contatti – mediante incontri, conversazioni telefoniche e scambio di corrispondenza – con 22 imprese di costruzione. Vi sono stati inoltre almeno 14 incontri con rappresentanti del governo del Qatar, compresi funzionari dei ministeri degli Affari esteri, dell’Interno e del Lavoro.

Il rapporto di Amnesty International denuncia l’assenza di controlli per far rispettare le pur blande norme in materia di tutela dei lavoratori e sicurezza sul lavoro, il mancato pagamento dei salari, condizioni alloggiative sconcertanti e i crudeli effetti del sistema dello “sponsor”, che impedisce ai lavoratori migranti di lasciare il paese o di cambiare impiego senza il permesso del loro datore di lavoro.

Le ricerche di Amnesty International hanno rivelato come alcuni dei lavoratori che avevano subito abusi erano stati assunti da imprese che avevano preso subappalti da compagnie globali come Qatar Petroleum, Hyundai E&C e OHL Construction.

L’organizzazione per i diritti umani ha contattato diverse grandi imprese per segnalare i casi che aveva documentato. Molte hanno espresso seria preoccupazione e alcune hanno detto di aver a loro volta compiuto indagini. Una ha affermato di aver deciso di migliorare il sistema di ispezioni sul lavoro. Ma non basta.

Ecco una parte di ciò che ha scoperto Amnesty International in Qatar: il direttore di un’impresa di costruzione che chiama le sue maestranze “gli animali”; operai costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, sette giorni su sette, anche durante i torridi mesi estivi; 11 lavoratori costretti di fronte a funzionari del governo a firmare una dichiarazione falsa – ovvero, di aver ricevuto il salario – per riavere indietro i passaporti e poter così lasciare il paese; alloggi squallidi e sovraffollati, senza aria condizionata, circondati da rifiuti e da fosse biologiche scoperte e in diversi casi privi di acqua potabile; mancata previsione di caschi di protezione e altre misure di sicurezza.

Inevitabili le conseguenze sulla salute psicofisica. Un dirigente del principale ospedale della capitale Doha ha dichiarato che, nel 2012, oltre 1000 persone erano state ricoverate nel reparto traumatologico dopo essere cadute dalle impalcature e che il dato era in aumentoIl 10 per cento dei ricoverati era diventato disabile e il tasso di mortalità era definito “significativo”.

Di fronte a debiti crescenti e impossibilitati a sostenere economicamente le famiglie a casa, molti lavoratori migranti maturano gravi disturbi psicologici e in alcuni casi arrivano sull’orlo del suicidio.

Insomma, se non verranno subito adottati cambiamenti profondi nella legislazione sul lavoro e nella sua applicazione, se le imprese di costruzione non rispetteranno gli standard internazionali, se la Fifa dirà che la questione non è affar suo, i mondiali di calcio del 2022 rischiano di diventare, da qui ai prossimi nove anni, un calvario per centinaia di migliaia di lavoratori migranti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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