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Puglia e Albania sponde opposte ma vicine

Appunti dalle vacanze a Castro nell’estate 2008.

Assoluta assenza di nuvole, l’azzurro compatto del cielo per tetto, distesa di onde calme e frizzanti salvo qualche increspatura a ridosso della controra, sull’abbrivo di un’apprezzabile tramontana, una barchetta a vela, per sei/sette ore, va filando su e giù dalla costa al largo e spostandosi sin dopo la Marina di Andrano verso Tricase Porto.

Giornata intensa e interessante, non a caso, ma in quanto intrisa di panorami, effetti, sensazioni, ricordi e pensieri del tutto speciali.

Infatti, grazie all’aria particolarmente tersa e limpida, quasi trasparente, lungo la linea dell’orizzonte, in direzione est-nord est, si gode della visione ravvicinata della costa albanese, precisamente del tratto limitrofo a Valona, con nitidezza di rilievi e, a tratti, di declivi, nonché con la conformazione netta dell’isola di Saseno, situata immediatamente di fronte alla baia, appunto, della cittadina di Valona.

La «fotografia», così a portata di mano della terraferma che costituisce l’altra sponda del Canale d’Otranto, pur non costituendo un fenomeno straordinario e isolato, non viene a svilupparsi proprio tutti i giorni.

Invero, da parte di chi scrive, si vantano antiche confidenze con la visione della costa del Paese delle Aquile: da ragazzino, le soste estasiate, gli interrogativi su chi vivesse e come si stesse da quelle parti; la scoperta per la prima volta, sui rilievi montani, della neve, non essendo ancora maturata l’occasione di ammirare le bianche coltri delle montagne italiane, del resto così lontane dal Salento e, quindi, sconosciute.

Nell’adolescenza e da giovane, attraverso testi scolastici e notizie attinte dai giornali e dalla radio, l’apprendimento del differente modello di Stato instauratosi in Albania, dopo secoli di varie dominazioni - ultima quella italiana durante la seconda guerra mondiale - inframmezzati soltanto da saltuarie insurrezioni irredentistiche, in particolare grazie al mitico eroe nazionale Scandenberg.

In Italia, ormai da decenni, si era liberamente scelto il modello repubblicano democratico, mentre lì continuava a vigere un ferreo regime dittatoriale comunista. Malgrado la breve distanza, un braccio di mare di appena cento chilometri fra Otranto e Valona, da una parte all’altra, dunque, un modello di Stato e di società con differenze abissali.

Correvano periodi in cui i responsabili di quella nazione rifuggivano finanche dall’effettuare importazioni «a credito», e ciò per evitare che paesi stranieri, in virtù del saldo avere del loro interscambio commerciale, potessero accampare diritti sulla sovranità nazionale albanese o quantomeno condizionarne l’autonomia. Insomma, acquistavano prodotti e servizi di cui il Paese era privo, con cessione, in contropartita, di materie prime e prodotti albanesi, nella più pura ed assoluta formula del baratto.

Intorno al 1980, al sottoscritto capitò di leggere la cronaca di una piccola spedizione italiana di carattere sportivo, in concomitanza con la disputa di un incontro calcistico di Coppa dei Campioni coinvolgente una squadra milanese e il Partizan di Tirana, e di così apprendere che, insieme con i calciatori, si era recato in Albania, in velocissima trasferta, uno sparuto numero di accompagnatori.

Da tale spunto, l’iniziativa di scrivere all’ambasciatore italiano a Tirana onde manifestare il desiderio - sulla scia della vicinanza ideale e insieme reale sempre avvertita fra la propria terra d’origine del Salento e l’Albania, territori distanti solo per via delle differenti leggi dei due Stati - di visitare il piccolo paese balcanico, privatamente, insieme con i familiari.

Risposta molto cortese del rappresentante diplomatico, il quale però, pur dichiarando di ritenere che per il futuro ci sarebbero potute essere delle «aperture», fece capire che, al momento, non esisteva la fattibilità di scambi turistici singoli e, comunque, precisò che, sull’argomento, si sarebbe dovuto interpellare l’Ambasciata d’ Albania a Roma.

Altra lettera, ma stavolta nessuna risposta.

Quindi, a seguito di trasferimento per lavoro a Roma, ai primi del 1985, visita di persona alla sede diplomatica albanese in Italia, proprio nei giorni della morte del vecchio capo di Stato Enver Hosha: nella Cancelleria, si trovava allestita un’apposita camera ardente, condoglianze di rito all’ambasciatore, cortese offerta di qualche pasticcino e di grappa albanese. Dopodiché, colloquio con l’addetto commerciale dott. Lumo Sehu ma, purtroppo, conferma che, almeno per l’immediato, erano da escludersi possibilità di rilascio di visti di ingresso in Albania per turismo privato.

Negli anni successivi, proseguirono di tanto in tanto i contatti col predetto dott. Sehu, il quale ad un certo punto era stato fatto rientrare in patria e poi addirittura collocato in quiescenza. Verso i primi anni novanta, in realtà si verificarono alcuni spiragli, almeno ai fini dei contatti, ma pur tuttavia, in occasione degli incontri telefonici e di qualche scambio epistolare con l’amico albanese, non arrivava nient’altro che la testimonianza di diffuse condizioni di vita di fame, miseria, disagi e degrado d’ogni genere.

E su siffatte onde, si giunse, ormai è storia, ai giganteschi sbarchi nel nostro Paese e al fenomeno, o meglio alla lunga triste stagione, dei gommoni carichi di clandestini che facevano la spola nel canale, finendo spesso col seppellire, sui relativi fondali, un considerevole numero di poveri disgraziati.

Finalmente elezioni democratiche, aperture sociali, arrivo di operatori dall’Occidente (Italia compresa).
 
Appare indubbio come, negli ultimi anni, stiano intervenendo dei cambiamenti in quel Paese, ma è parimenti indubbio come, fra le condizioni di quella gente ed i livelli di vita della grandissima parte delle altre nazioni europee, corrano anni luce.
Senza dire che, negli anni delle fughe e degli odiosi traffici umani dall’Albania verso l’Europa, si sono succeduti tanti e tanti imbarbarimenti: l’arrivo fra di noi di personaggi poco puliti, di donne e ragazze, indotte e soprattutto costrette a prostituirsi, ormai diffusamente presenti sulle strade italiane, e così via dicendo. In realtà, però, non si tratta dello specchio fedele della globalità della popolazione albanese.

Quella gente oggi è semplicemente informata - attraverso la TV satellitare, dai cellulari, dalle ormai nutrite presenze all’estero di parenti e conoscenti - di quanto sia vistoso il divario tra il loro regime esistenziale e quello degli altri paesi.

Dal momento in cui si ha conoscenza che altrove regna il benessere, anche se alla fine non sempre tutto è reale, non v’è nulla che valga ad arrestare la spinta e la marcia di chi trovasi, al contrario, immerso nel disagio, nella miseria nera, nella mancanza di prospettive.

Si pensi a questi semplicissimi dati desunti da una tabella statistica:

- reddito pro-capite in Italia dollari Usa 24.000

- reddito pro-capite in Albania dollari Usa 5.500.

E parliamo di gente, sì di gente come noi, che vive ad appena cento chilometri di distanza.

L’Albania dispone di risorse naturali, ha una popolazione non di grande rilievo, poco più di tre milioni di abitanti, come la Puglia. Bisogna che qualcosa avvenga, o meglio, si faccia.

Come noto, non è che il nostro Paese navighi nell’oro, non è che si possa permettere di fare regali, beneficenze o dare contributi a fondo perduto ad ogni piè sospinto, ma ciononostante, occorre che si intervenga.

A tale proposito, non si deve guardare tanto allo Stato, quanto invece alla classe imprenditoriale italiana e agli esperti di politiche aziendali ed economiche: si ponga in atto un autentico e serio gemellaggio per la crescita della piccola nazione vicina, attenzione però, badando sì che i capitali investiti ed i relativi rischi siano produttivi dei ragionevoli e giusti ritorni, ma impegnandosi, in pari tempo, a non sfruttare il popolo albanese, specie la manodopera, corrispondendo cioè, mercedi giuste, perseguendo la promozione e lo sviluppo della cultura del lavoro e, pian piano, anche dell’impresa.

Se si tratterà di un lavoro intelligente e paziente in tal senso, non mancheranno i frutti, ovviamente nel medio periodo; il prodotto interno lordo della nazione e il reddito individuale potranno registrare buoni incrementi.

Sta facendo solamente un sogno, l’autore di queste note, un sogno lievitato fra piccole vele amaranto spiegate sulle onde leggere del Basso Adriatico con sullo sfondo le coste d’Albania?

Si augura proprio di no, confortato dalla circostanza che, nel rosario dei pensieri snodatisi in un crepuscolo estivo, finanche la luna, quasi a volerli suffragare, ha voluto metterci il suo bel faccione.

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