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Protesi mammarie Pip: dopo l’allarme, il silenzio e la confusione

Le protesi Pip a due anni dallo scoppio della psicosi: il ritiro dal mercato, la "pericolosità", la circolare del Ministero della Salute, gli interventi dell'Associazione Periplo che tutela le vittime di malasanità, la campagna Sex Bomb e il risarcimento danni...

Qualche tempo fa è iniziata a serpeggiare la notizia della possibile tossicità delle protesi mammarie Pip (Poly implants prothesis). L’allarme, partito in Francia e Inghilterra dove i Governi avevano preso i primi provvedimenti, si è successivamente diffuso anche in Italia.

Per questo, il Ministro della Salute Renato Balduzzi era intervenuto sulla vicenda parlando al Consiglio Superiore di Sanità affermando che «non esistono prove di maggior rischio di cancerogenicità, ma sono state evidenziate maggiori probabilità di rottura e reazioni infiammatorie». Questa la sentenza. «Le protesi Pip sono in materiale non regolare - aveva confermato il Ministro della Salute Balduzzi -. Siamo in contatto con le autorità francesi dove il problema è più grave perché interessa circa 30 mila pazienti».

Il lavoro del Consiglio Superiore era già cominciato: nell’aprile del 2010, dopo le prime segnalazioni francesi, in Italia è scattato il ritiro. Poi una seconda circolare che disponeva un sistema di monitoraggio anche con i medici di famiglia. Alle parole del Ministro, avevano fatto seguito quelle dell’Associazione italiana di chirurgia plastica estetica, che chiedeva al Ministero «una risposta urgente per prevenire il panico ingiustificato». È probabile, però, che le protesi low cost siano state acquistate anche da ospedali e case di cura convenzionate. Il guaio è che non risulta sia mai stata avviata un’indagine specifica sul tema.

Dalla diffusione del contenuto della circolare è scattato un allarmismo che ha portato le donne a recarsi nei centri in cui erano state operate, centri che non si sono dimostrati pronti ad affrontare la questione, nonostante sarebbe stato loro dovere contattare le pazienti alle quali erano state impiantate quelle protesi…

A causa della confusione sorta, molte donne preoccupate hanno pensato di procedere alla rimozione della protesi, pensando – anche grazie ad un crescente processo di sensibilizzazione sul tema – che quelle protesi fossero cancerogene. Da quel momento all'Associazione Periplo Familiare, che tutela a livello nazionale le vittime degli errori in sanità, sono cominciate ad arrivare numerose mail, richieste di aiuto e assistenza da parte di donne che hanno subito l’intervento di impianto delle protesi mammarie messe sul mercato dalla casa produttrice PIP. In Italia sono oltre 4.500 le donne su cui sono state impiantate le protesi dal 2001 al 2010 (quando sono state ritirate dal mercato). Per sensibilizzare e informare, laddove si naviga ancora a vista in un clima di incertezza, Periplo Familiare ha lanciato una campagna, “Sex Bomb”.

“Le PIP rappresentano un pericolo, ed in alcuni casi possono rivelarsi una vera e propria bomba ad orologeria - dichiarano i rappresentanti dell’Associazione - essendo stata riscontrata una elevata probabilità di rottura e di reazioni infiammatorie, dovute alla fuoriuscita del gel PIP, che ha un potere irritante. Tali rischi sono alla base delle richieste di aiuto, prevalentemente psicologico, e di informazioni che quotidianamente giungono all’Associazione Periplo Familiare”.

 Di chi è la colpa?

“Le responsabilità maggiori sono a nostro avviso rinvenibili a carico delle Istituzioni nazionali ed europee per omesso controllo circa il materiale utilizzato ed il rispetto degli standard qualitativi minimi in grado di garantire la sicurezza circa l’impiego di tale tipo di protesi; secondariamente è ravvisabile una responsabilità concorrente dei soggetti che hanno commercializzato ed utilizzato le PIP, colpevolmente confidando nel giudizio espresso dalle Istituzioni. Peraltro la Società produttrice si era resa anche in passato responsabile della produzione ed impiego nelle protesi di componenti rivelatisi alterati”.

Qual è il consiglio che date a chi si trovi con una protesi PIP?

“Il consiglio è quello di contattare la Struttura o direttamente il medico chirurgo che ha proceduto all’impianto per essere sottoposti ad esame ecografico, dal quale riscontrare eventuali anomalie. Sulla base dell’accertamento è possibile valutare se sia opportuno procedere all’espianto, ovvero sia sufficiente monitorare la situazione programmando controlli periodici”.

Cosa è stato fatto dopo il ritiro dal mercato delle protesi e cosa ci si aspetterebbe fosse fatto?

“Il Ministero della Salute ha avviato una serie di azioni in accordo con le Regioni e Province autonome per la tutela delle persone a cui è stata impiantata la protesi mammaria PIP; i medici sono tenuti a ricontattare le proprie pazienti per sottoporle ad un follow-up al fine di diagnosticare precocemente eventuali rotture, mentre il servizio sanitario nazionale si fa carico degli interventi medico chirurgici laddove vi sia indicazione clinica specifica. Purtroppo tali provvedimenti non sembrano essere stati recepiti dai medici e dalle strutture interessate, talché si sta procedendo a rilento e sono ancora rarissimi i casi in cui si è proceduto con la rimozione”.

 Oltre all’espianto è prevista la sostituzione con una nuova protesi?

“E’ questo uno dei punti chiave della vicenda. - afferma la direttrice di Periplo Familiare, Dott.ssa Francesca Piroso - Il costo dell’eventuale nuovo impianto (necessario a seguito dell’asportazione) è, infatti, al momento interamente a carico del paziente. Al danno fisico e psicologico per il secondo intervento e per il rischio di cancerogenicità, ancora non escluso, si aggiungerebbe pertanto l’onere del costo da sostenere per la nuova operazione. L’impegno assunto dalla Associazione è quello di raggiungere un accordo con le Istituzioni che preveda nei casi di rimozione l’impianto gratuito di una nuova protesi, che almeno in parte ricompensi la paziente dal grave disagio psicofisico subito”.

 Che ruolo sta svolgendo l’Associazione in tale vicenda?

“Oltre al ruolo di informazione, Periplo sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma soprattutto le Istituzioni, affinché trovino applicazione i provvedimenti adottati in modo da assicurare una tutela effettiva a chi incolpevolmente si trovi a dover convivere con un problema del quale non si conoscono ancora gli effetti ed i cui contorni sono per certi versi oscuri.

L’Associazione Periplo Familiare ha quindi chiesto alle Autorità preposte di fare chiarezza e di assumere provvedimenti univoci e concreti in tempi stretti che considerino l’aspetto psicologico, oltre che medico, per cui sia considerata la possibilità di procedere con l’espianto anche quando il rischio di rottura non sia effettivo, tuttavia la paziente desideri liberarsi dalla preoccupazione con la quale si trova costretta a convivere”.

 

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