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Presa Diretta: il Caso Regeni e il Terremoto in Centro Italia

La prima puntata della nuova stagione di Presa diretta è cominciata col terremoto in centro Italia: il viaggio verso i luoghi del terremoto è stato un deja vu: come Onna, le case di Amatrice erano con un tetto sproporzionato per il peso. Da anni si parla di prevenzione, ora Renzi ha lanciato il “Piano Italia”, vedremo se manterrà le attese.
Ma al centro della puntata l'inchiesta sull'omicidio di Giulio Regeni: morto per le torture, dice l'autopsia. I genitori hanno raccontato della fatica dei suoi studi, all'estero. “Per la nostra generazione studiare era il massimo”: questo era il ragazzo, felice e appassionato nel suo lavoro, morto a Il Cairo a fine gennaio. Doveva tornare a Cambridge il 23 marzo. Ora a volere la verità sulla morte di Giulio Regeni ci sono i genitori in prima fila, ostinati a non volere che questa storia finisca nel dimenticatoio.
 
L'inchiesta ha permesso di scoprire che ci sono altri casi Regeni in Egitto: sono 1600 i ragazzi spariti in questi anni, dicono le associazioni non governative. Allora le domande da farsi sono queste: perché è stato torturato e poi ucciso? Che cosa faceva paura del suo lavoro?
Un'inchiesta difficile, perché dire Regeni in Egitto è pericoloso.
Inchiesta difficile per il ruolo che Al Sisi e l'Egitto hanno verso l'Italia, per la lotta al terrorismo e per le questioni commerciali. Un paese sotto dittatura dove i diritti umani non sono rispettati.
 
Il terremoto del 24 agosto.
Noi non impariamo mai niente, nemmeno dal terremoto dell'Aquila del 2009.
Questa la prima lezione appresa da Riccardo Iacona, nel suo viaggio sui luoghi del terremoto: in proporzione ha fatto più morti de l'Aquila, ha ucciso di più, perché?
Amatrice come Onna: i muri non hanno retto il peso del tetto in cemento armato. Muri senza malta, in ciotoli: in queste case non ci tiri fuori nessuno – raccontava il professor Moretti, venuti qui a studiare il terremoto.Il terreno è saltato in aria durante le scosse, continua il professore spiegando come fosse importante studiare i terreni, le sollecitazioni cui le case sarebbero sottoposte.
Se ci fosse stato questo studio avremmo potuto salvare delle vite.
 
Da Amatrice, ad Accumoli ad Arquata, nelle Marche: paesi abbarbicati sulle colline sulla linea della scossa. Pescara sul Tronto è un borgo del 400: è crollato su se stesso, perché anche qui i tetti, rimasti integri, erano in cemento armato e hanno sepolto le case. E le persone.
Un crollo che non ha lasciato scampo alle persone.
 
A Norcia, in prov. di Perugia i palazzi non sono crollati: molti si sono lesionati ma non ci sono stati morti e la città è rimasta viva. La scossa è stata forte: ma qui le case erano sicure, case ristrutturate con criteri anti sismici, sia le case private che quelle pubbliche. Dopo il terremoto di fine anni '90 si è deciso di mettere la città in sicurezza. Sono interventi che costano un 30-40% in più delle ristrutturazioni normali, ma sempre meno dei costi della ricostruzione, oltre i costi in vite umane.
 
Iacona è tornato anche a L'Aquila: nel centro della città c'è un silenzio che fa paura. Solo 80 case sono abitabili, ma mancano i servizi come l'acqua. Per far entrare le case mancano ancora altri fondi, circa un miliardo.
Questa città è stata abbandonata dai suoi abitanti: la gente è scappata e anche le attività commerciali. Il decreto Barca destinava fondi importanti per la ripresa economica, ma ancora devono arrivare parte dei soldi del 2012.
 
Questo è quello che si rischia a Amatrice e negli altri paesi.
Ma quello cui puntare, oltre a ricostruire in fretta, è ricostruire secondo i principi della prevenzione.
Eppure noi italiani siamo all'avanguardia in queste tecniche: speriamo che siano incluse nel progetto voluto dal governo, il “Piano Italia”, alle parole devono seguire i fatti.
 
Verità per Giulio Regeni.
 
Il racconto sulla morte di Giulio è partito dall'intervista ai genitori: “tutti i nostri sostenitori ci chiedono di andare avanti nella nostra lotta”. L'Italia ha fatto tutto il possibile per salvare Giulio? “Noi speriamo di sì”, la risposta della madre.
 
Giulio Regeni è scomparso il 25 gennaio ed è stato ritrovato ad inizio gennaio: in quei giorni una delegazione italiana era in Egitto. Il ministro Guidi aveva chiesto notizie ad Al Sisi.
La missione viene poi annullata, il 3 febbraio, dopo una telefonata di un funzionario del ministero degli esteri egiziano, comunicato all'ambasciatore Massari.
 
Proprio Massari fu il primo a riconoscere il corpo: i genitori lo videro dopo qualche giorno a Roma. Un corpo martoriato: “sul viso ho visto il male del mondo, che si è riversato su di lui”.
Regeni non aveva documenti con se: come facevano gli egiziani a conoscere la sua identità, ancor prima che qualcuno ne effettuasse il riconoscimento?
Prima anomalia.
 
Il corpo è stato torturato, a lungo: Giulio stava facendo una ricerca sui sindacati indipendenti a Il Cairo per l'università di Cambridge. Aveva un appuntamento con un amico, professore universitario. Un altro amico, ricercatore, ha rilasciato l'intervista, senza mostrare il volto per non essere riconosciuto per strada.
Si sono scambiati un messaggio poi nulla: ha cercato di ricontattarlo ed era preoccupato perché il 25 gennaio era l'anniversario della rivoluzione. Era pericoloso girare per le strade e per le piazze.
Nel 2014, un ragazzo italiano che cercava di riprendere le immagini degli scontri, fu rapito e messo in carcere. È vivo perché è stato visto da colleghi italiani che hanno avvisato il consolato.
Un caso Regeni mancato.
 
A pochi giorni dal rapimento, la polizia egiziana era più interessata a depistare le indagini: lo racconta l'amico egiziano di Giulio. Domande sull'orientamento sessuale.
Le prime ipotesi della polizia parlano di delitto sessuale, poi incidente ..
 
Alessandro Accorsi è un giornalista free lance: era in Egitto ma ora si è trasferito a Londra, perché troppo pericoloso. A lui, amici comuni, hanno raccontato di come i servizi segreti si fossero interessati a Giulio ben prima del rapimento. Perché Giulio era controllato dai servizi? Un altro episodio lo conferma: fu fotografato da un donna durante una riunione sindacale avvenuta a dicembre.
 
La polizia egiziana montò poi la pista dei rapitori, uccisi dalla polizia: la sorella di uno dei ragazzi uccisi ha smontato la tesi, con molto coraggio. I documenti di Giulio furono portati nell'appartamento di uno dei rapitori uccisi dalla polizia stessa.
 
Depistaggi e disinformazione sono montate da polizia e istituzioni governative: i media egiziani, legati agli apparati di sicurezza in buona parte, portano avanti queste ricostruzioni, che identificano Giulio come una spia.
 
Giulia Bosetti è andata a Washington: qui ha sentito l'ex colonnello Afifi, della polizia egiziana. Ora è in esilio in America: le sue fonti in Egitto gli hanno raccontato del rapimento il 25 gennaio, del primo pestaggio e poi il trasferimento in una sede dei servizi.
Il ministro degli Interni e i consulenti per la sicurezza di Al Sisi sapevano del rapimento e delle torture: queste servivano a carpire le sue fonti, come spia, i suoi contatti, i suoi obiettivi.
 
Le fonti di Afifi hanno raccontato come, dopo la morte di Giulio, gli apparati del governo hanno preparato il depistaggio e fatto scoprire il cadavere.
Certo, anche quello che dice l'ex colonnello può essere un depistaggio.
Se fosse vero, però, significa che dentro i servizi egiziani ci sono persone che conoscono la verità.
 
Bosetti è andata così in Turchia, dove sono scappati diversi esponenti dell'ex governo dei fratelli musulmani. Uno di questi, Amd Arrag, ha raccontato dello scontro tra i servizi civili con i servizi militari. Che vedevano nel ricercatore Regeni come una spia pericolosa, perché lavorava sui sindacati, a contatto con le masse dei lavoratori.
 
Bonini, il giornalista di Repubblica, ha scritto un articolo sulla faida dei servizi: in base alle sue di fonti, racconta di come Regeni fosse entrato nel mirino dei servizi nel settembre del 2015.
Era stato aperto un fascicolo, poi passato ai servizi militari.
Dopo la morte, i servizi militari consegnano il corpo ai servizi civili affinché se ne sbarazzino. E questi, per lasciare un segnale preciso, lasciano una coperta militare vicino al corpo.
 
Dopo sette mesi nessuna verità è arrivata dalle autorità: che fare allora?
I depistaggi servono per far passare il tempo e far cadere l'attenzione sul caso. Tutti quelli che si sono avvicinati al caso, a Il Cairo, hanno fatto una brutta fine: non è facile tirare le fila dell'indagine.
 
La giornalista è riuscita lo stesso a raccogliere le testimonianze di persone che sono passate per le celle dei servizi militari: in queste sono passate migliaia di desaparecidos, torturati e poi uccisi.
Per aver partecipato a delle manifestazioni o per aver scritto post su Facebook contro il governo.
 
Le manifestazioni contro Al Sisi sono soffocate col sangue: a venir picchiati e imprigionati sono studenti e lavoratori.
Ci sono altri casi Regeni in Egitto: ragazzi scomparsi, detenuti senza un'imputazione, senza un processo.
Un paese che ricorda il Cile di Pinochet, l'Argentina di Videla: un regime ancora più brutale di quello di Mubarak e dove Al Sisi è preoccupato dal rischio di una rivolta popolare e risponde con la repressione.
 
Il lavoro di Regeni riguardava i sindacati degli ambulanti, una fetta di lavoratori tra i più poveri.
Giulio ha conosciuto anche il capo di questo sindacato, Abdallah: aveva anche fatto un prestito al sindacato, affinché potesse affittare una sede.
Invece questa persona ha dichiarato che Giulio volesse comprare dagli ambulanti delle informazioni sul regime. Ambulanti che sono sospettati di essere degli informatori dei servizi.
Un giornalista egiziano che si è occupato del caso solleva il sospetto che sia stato proprio questo Abdallah ad aver denunciato Giulio ai servizi.
 
È stata proprio la disorganizzazione dei sindacati indipendenti ad aver portato al fallimento della Primavera araba: organizzazioni che controllano milioni di lavoratori e che ora, perché si stanno organizzando come strutture, preoccupano il regime.
 
“E' doloroso pensare che Giulio avesse messo il dito in questa piaga” - racconta la madre.
In che gioco si era infilato, inconsapevolmente, Giulio? Lui era in Egitto per fare solo una ricerca. E l'istituto per cui Regeni lavorava si è rifiutata di collaborare con le nostre autorità.
 
Cambridge Giulia Bosetti ha cercato la tutor di Giulio: lei con gli investigatori italiani è stata reticente, si è rifiutato di parlare con la nostra polizia.
Nessuna intervista nemmeno con la Bosetti, per non mettersi in cattiva luce col regime.
Giulio era in Inghilterra da 10 anni: nemmeno il governo inglese ha avuto una forte reazione dopo la sua morte.
 
L'Italia è il terzo partner commerciale con l'Egitto, ma questo paese è anche importante per gli equilibri internazionali: lo stesso Renzi, in una intervista su Al Jazeera ha definito Al Sisi un grande leader.
Dopo tante crisi, tensioni, l'Egitto sta investendo nel suo futuro: questo diceva Renzi.
Poi è arrivato il rapimento di Regeni: tre fattori influenzano i rapporti con l'Egitto, la questione emigranti, i rapporti geo politici, i rapporti economici.
Questo dicono gli analisti: questi fattori influenzano quello che l'Italia può fare contro l'Egitto. Non possiamo permetterci di rompere del tutto i rapporti con Al Sisi.
Il regime egiziano ha i soldi degli americani, si è avvicinato alla Russia, ha contatti coi paesi europei: Al Sisi può giocare su più tavoli, dunque.
 
Bosetti ha sentito anche il senatore Barani: in un'intervista aveva dichiarato che la morte di Regeni era voluto da qualcuno che intendeva rovinare i rapporti tra Italia e l'Egitto. Un complotto, per sostituire l'Italia, per esempio nell'estrazione del gas dal Mediterraneo.
C'è dietro la mani dei servizi inglesi? Ci sono interessi dei francesi?
 
E i diritti civili? Migliaia di posti di lavoro sono legati alle relazioni con l'Egitto, ci spiega Barani.
E la nomina del nuovo ambasciatore è visto, dal ministro degli esteri egiziano, come un segnale di distensione.
A questo punto la domanda da farsi è se il governo italiano abbia fatto tutto il possibile.
Secondo i genitori non dobbiamo dare nessuna immagine distensiva: ci aspettiamo tante risposte dall'Egitto.
Per l'Egitto passano tante cose – continua la madre: rapporti economici e politici. Chi sono i veri interlocutori del governo? Renzi e Gentiloni oppure Barani?
 
Vogliamo una verità vera e abbiamo bisogno di una politica vera, per raggiungerla – l'appello finale della madre.
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