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Predappio: fare o no il museo del fascismo?

Il sindaco di Predappio (che è del Pd) ha proposto di istituire un museo del fascismo nella sua città, ricevendo l’incoraggiamento di Renzi; ne è nata una prevedibile polemica che, sinora, non ha superato gli argomenti più scontati: “No perché sarebbe apologia del fascismo” “Si perché il fascismo fa parte della storia e lo si deve studiare scientificamente”.

Al dibattito hanno partecipato storici di varia tendenza come Giovanni Sabatucci, Alfonso Belardelli e Beppe Vacca (che propone di fare un museo del fascismo e dell’antifascismo per garantire la scientificità del lavoro).

In teoria, fare un museo del fascismo, al pari di qualsiasi altra cosa, sarebbe una cosa positiva, purché si rispettino i criteri di scientificità e la gente lo visitasse con uno spirito di conoscenza critica, ma il fatto è che la cosa sarebbe vissuta da tutti come una iniziativa di propaganda. Tanto più se il museo fosse allocato a Predappio dove diventerebbe rapidamente “la fiera del nostalgico”.

E poi, diciamocelo francamente, al signor sindaco della storia interessa come una protesi dentale e una lumaca, lui vuole solo fare un po’ di soldi per il suo comune lucrando sull’”industria della buonanima”: visite guidate, ristoranti, souvenir, ecc come già è ora ma al quadrato. Questi del Pd hanno sempre alte idealità.

Devo dire che la controversia non mi appassiona molto di più di una becera rissa di paese e non solo per il bassissimo profilo della proposta cui fa seguito una polemica di non eccelso livello, ma perché trovo di scarsissimo interesse il tema del fascismo. Confesso che ormai il blocco fascismo, antifascismo, nazismo, shoah, Resistenza, seconda guerra mondiale, mi annoia da morire. Siccome immagino le reazioni sbalordite di molti lettori, voglio spiegarmi meglio.

All’antifascismo ed alla Resistenza sono affettivamente legato e sono parte costitutiva della mia identità, ma come storico il tema ormai mi pare freddo. La ricerca storica parte sempre da uno o più quesiti, ma, perché essa abbia una utilità sociale, questi quesiti non dipendono dall’uzzolo ideologico dello storico o dalle esigenze della propaganda politica, ma dai quesiti che pone il tempo in cui si vive. Oggi stiamo vivendo il tempo della globalizzazione e dobbiamo spiegare cosa sta producendo questo incontro fra Asia ed Occidente, quali dinamiche si dischiudono, quali problemi di mediazione culturale si pongono. Ed allora Confucio o la storia della colonizzazione o la dissoluzione dell’impero ottomano, mi interessano molto di più dei campi di concentramento o la “discutibile armonia della Resistenza”, perché Confucio mi serve a capire la cultura cinese, il colonialismo mi spiega come ci vedono i popoli ex colonizzati e la caduta dell’Impero ottomano mi fa capire i percorsi del fondamentalismo islamico.

Mentre la questione della Shoa o le tecniche dell’Ovra o come è andato al potere il nazismo sono tutti terreni arati troppe volte per cui valga la pena di insisterci ancora e, soprattutto, mi pare che non abbiano molto da dirci rispetto alle dinamiche della globalizzazione. Anche l’idea di un risorgente pericolo fascista in paesi come la Grecia, l’Ungheria o l’Ucraina, mi pare che sia più un inganno ottico che altro: i fenomeni nazionalistici ed autoritari che abbiamo davanti possono richiamarsi al fascismo storico, ma rispondono a dinamiche diverse ed hanno meccanismi completamente diversi, anche se magari persiste l’elemento della violenza: e non è andando a ristudiare gli orrori della divisione Galizia delle Ss che riusciremo a contrastarli. In ogni caso, si tratta di un aspetto circoscritto e non centrale nell’attuale scenario.

Dunque, un museo sul fascismo non aggiungerebbe e non toglierebbe nulla a quello che già sappiamo: ormai sul fascismo c’è un canone storiografico consolidato e non c’è negazionismo che tenga. E da questa storia non si cava granché di utile per rispondere ai quesiti del presente. Semmai, non sarebbe male pensare ad un grande museo del Novecento che sia capace di ripensare e far ripensare il grande secolo in cui c’è anche il fascismo, ma ci sono anche tantissime altre cose, dalla fisica quantistica alla bomba atomica, dalla secessione viennese al sessantotto, dalla rivoluzione russa alla scienza della complessità, dall’esistenzialismo alla guerra del Vietnam, dalla parabola del welfare state alla rivoluzione criminale, dal Nasakom di Soekarno al peronismo, dall’esplosione demografica alla decolonizzazione. Vedete quanta roba c’è da ripensare e da mettere in relazione per capire il secolo più complesso e “affollato” della storia umana. In questo quadro, e con le proporzioni giuste, bisogna inserire e capire anche il fascismo, ricordandoci di aver a che fare con un fenomeno essenzialmente europeo e che è il momento di abbandonare l’eurocentrismo.

Ma dubito che siamo pronti a farlo e che, pertanto, continueremo a razzolare su queste che ormai sono piccole polemiche nella provincia del Mondo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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