• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Recensioni > Politica pop e politici papponi

Politica pop e politici papponi

"Politica pop" (il Mulino, 2010) è un saggio che prende in esame le relazioni della politica italiana con il mondo dello spettacolo televisivo.

Politica pop e politici papponi

Uno dei due autori è Gianpietro Mazzoleni, docente di Comunicazione politica e Sociologia della comunicazione presso l’Università di Milano, e direttore della rivista “Comunicazione politica” (www.compol.it). La coautrice è Anna Sfardini, esperta di comunicazione e media che collabora con l’Università di Milano .

 

Mi sembra giusto iniziare chiarendo subito una cosa: non è stato Berlusconi ad avviare questo processo di degenerazione, in quanto la spettacolarizzazione della politica è nata in America ai tempi di Ronald Reagan e sta proseguendo ai nostri tempi con Arnold Schwarzenegger (uno dei probabili candidati alla prossima presidenza degli Stati Uniti). “In Italia semmai, questa tendenza si è affermata in ritardo e per questo i protagonisti – della politica, dei media e della comunicazione – hanno potuto disporre di modelli consolidati a cui riferirsi e ispirarsi” (Ilvo Diamanti, www.lapolis.it). E nonostante tutto “i media, l’immagine, la tv, in politica, contano, ma non sono tutto” (Diamanti).

Del resto il politico medio è solo un attore mediocre specializzato nell’arte dell’illusionismo e della menzogna, e non c’è quindi da stupirsi troppo se i politicanti italiani si trovano a loro agio in tv, a recitare la parte del potente di turno che deve infiocchettare e infinocchiare per difendere i suoi interessi e quelli del suo gruppo parlamentare (e a volte quelli dei cittadini che lo hanno votato).

Dunque in Italia le azioni “dei media sono innanzitutto funzionali alle logiche, ai disegni, strategie e idiosincrasie di questo o quel governo, di questa o quella coalizione, di questo o quel leader, di questo o quel partito… non esistono organi di informazione al servizio del cittadino e dell’interesse pubblico (come nel modello liberale), ma piuttosto espressioni di subculture e fazioni… Non è casuale che in Italia l’ambizione più grande dei giornalisti sia quella di diventare politici” (Mazzoleni, p. 65-66).

Per cui alla fine della fiera televisiva, la comunicazione del comico può risultare superiore a quella dei politici e dei giornalisti: “la credibilità della parola del comico si gioca, per paradosso, sul fatto che non è un giornalista, non è vincolato ai legami sacerdotali che le redazioni giornalistiche, invece, hanno con le diverse aree del potere. Indenne dal discredito che colpisce il giornalismo al servizio di qualcuno, il programma di intrattenimento risulta, di nuovo paradossalmente, più libero, obiettivo, onesto… D’altronde la spettacolarizzazione della verità, più che della realtà, ha le sue radici proprio nel teatro e nella narrativa popolari” (Sfardini, p. 53).

In sintesi tutti i processi di spettacolarizzazione della politica e dell’informazione “indeboliscono l’idea della TV come sfera pubblica per eccellenza, suggerendo con sempre maggiore insistenza che l’informazione, la migliore, quella “vera”” risiede altrove” (Sfardini, p. 87). Bisogna però aggiungere che i media sono nati dopo la politica, nel mercato e per il mercato di massa, e rispondono a una domanda di consumo di cultura, divertimento e informazione che come la politica si esprime su larga scala (McQauil, 2005). E il legame con la politica nasce con l’enorme potere dei media di creare la realtà, “ossia di stabilire ciò che è pubblicamente rilevante e ciò che costituirà il bagaglio di conoscenze della gente” (Mazzoleni, p. 25).

Inoltre, quando i generi televisivi si mescolano, il pettegolezzo politico può attirare l’attenzione del pubblico meglio di una partita di calcio. Forse il canto del cigno della politica italiana giungerà quando qualcuno oserà candidare qualche personaggio del Grande Fratello, anche se dopotutto i politici italiani devono i loro voti all’esposizione televisiva incalzante e non allo loro attività politica che quasi nessuno conosce e che in molti casi è, al di là delle chiacchiere, inesistente. Perciò tutti noi dovremmo imparare ad essere meno conformisti e a coltivare “stati disciplinati di consapevolezza alterata” (Ivan Illich).

Oramai tutti possono appurare che i nostri politici e amministratori rassomigliano a dei moderni “papponi” che si appropriano della maggior parte del denaro prodotto da lavoratori e imprenditori. Anzi, sono dei patetici papponi molto incapaci, dato che non riescono a difenderci dalla criminalità organizzata e non ci danno nemmeno servizi tali da poter competere con gli altri paesi a livello mondiale. Infatti, da noi accade che “l’incapacità di restituire servizi ai cittadini da parte della nostra cittadella burocratica sia fra i peggiori esempi al mondo: 113° posto su 117 paesi, in base al “Global Competitiveness Index 2006-2007; e 128° posto su 134 paesi quanto a spreco di denaro pubblico, in base allo stesso parametro per il 2008-2009. Questa macchina inceppata non è affatto a costo zero: costa alle imprese 40 miliardi di euro l’anno, circa il 3 per cento del Pil” (Michele Ainis, La cura, 2009).

Purtroppo le persone anziane si sono fossilizzate nella rassegnazione, ma gli italiani più giovani dovrebbero unirsi nel comune interesse della promozione di una politica italiana più in linea con gli standard europei e più vicina alla modernità e ai cittadini. Si potrebbe creare una Consulta o una Costituente delle Giovani Generazioni per creare un gruppo di giovani attivisti apartitici, in grado di fare pressione sui vecchi gruppi di potere sclerotizzati che stanno facendo regredire l’Italia. Si dovrebbe promuovere l’aggregazione delle diverse ed eterogenee associazioni culturali giovanili e si dovrebbero animare le generazioni più giovani che non leggono i giornali attraverso il giornalismo partecipativo online. Bisogna considerare che se i cittadini non riescono ad rendere i politici precari, saranno i politici a creare dei giovani e dei cittadini sempre più precari.

Un altro problema politico italiano è che non esistono luoghi laici di formazione della classe politica e una persona fuori dal sistema di caste locali e nazionali può sentirsi rivolgere questo genere di frasi: “Ti rendi conto che la tua candidatura al Comune o in Parlamento è debole perché sei competente ma non sei ricattabile? Possibile che non capisci che sei troppo preparato, conosci troppo i problemi di cu parliamo, quindi non sei controllabile in nessun modo dai tuoi dirigenti?” (Nicola Tranfaglia, docente di Storia dell’Europa e del Giornalismo all’Università di Torino, 2010). Anche nell’Italia del 2010 non ci devono essere persone in grado di mettere il bastone o un magistrato tra gli ingranaggi degli intrallazzi poco puliti.

Comunque la nostra casta ha accennato ad un minimo di vera autocritica solo nel lontano 1993, quando Giuliano Amato, presidente del Consiglio uscente, affermò alla Camera: nel ventennio è nata la forma del partito-Stato; una cosa che oggi deve morire, anche se da partito al singolare quella forma si è trasformata in partito al plurale (in “Le nostre storie sono i nostri orti. Ma anche i nostri ghetti”, M. Pannella e S. Rolando, Bompiani, 2009, p. 33). 

Nota finale – I nostri giornalisti e i nostri giudici sono talmente invischiati nel sistema che esiste ancora una legge fondamentale dello stato italiano attiva, inapplicata e sconosciuta alla maggior parte degli italiani. La legge numero 361 del 1957 afferma: “Coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica sono ineleggibili” (Nicola Tranfaglia, “Populismo autoritario. Autobiografia di una nazione”, 2010). Ma la responsabilità maggiore spetta ai cittadini italiani e alla loro immaturità che li rende dei poveri masochisti sempre più poveri, che continuano a pagare e a farsi del male…

P. S. Segnalo l’Assemblea Mondiale dell’Alleanza dei Cittadini: www.civicus.org (Montréal, 20-23 agosto 2010). E ricordo la mostra-convegno internazionale sulle buone pratiche di vita, di governo e d’impresa: www.terrafutura.it (Firenze, 28-30 maggio). E vi lascio con un aforisma su cui riflettere: “Chi non può creare, vuole distruggere” (Erich Fromm).

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares