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Politica economica: produttività in discesa libera

Mentre si attende che il governo spieghi all’Ufficio parlamentare di bilancio ed a noi poveri mortali per quale motivo il prossimo anno il nostro Pil subirà una rabbiosa accelerazione rispetto allo scenario tendenziale (da +0,6% a +1%), che Pier Carlo Padoan, da keynesiano dell’ultim’ora, attribuisce all’efficacia delle misure governative ma anche all’elevato moltiplicatore che si avrebbe in condizioni prossime alla trappola della liquidità (welcome!), scopriamo che i nostri eroi hanno difficoltà non solo e non tanto con la realtà quanto con la coerenza delle tesi che presentano.

Prendete lo stesso Padoan. Due giorni addietro, intervenendo ad un convegno dal titolo “Obbligati a crescere“, il ministro dell’Economia ha scoperto che abbiamo un serio problema con l’elemento alla base della crescita economica:

 

“Non sono né il debito né le sofferenze”, ha spiegato Padoan, “l’indicatore che preoccupa di più è la produttività che ha cominciato a scendere, continua a scendere e non ha incontrato il punto di inversione, questa è la grande sfida della politica economica”

Perbacco. E noi che ci eravamo accorti di questo dettaglio mesi addietro, mentre il governo e Padoan medesimo stavano celebrando i grandi successi del Jobs Act, come dovremmo commentare? Forse invitando il ministro a leggerci di più, compatibilmente con i suoi impegni? No, anche perché ci legge il suo portavoce. Però forse qualcosa si riesce a cogliere, anche da un piccolo blog animato da apparentemente severa inimicizia verso i discendenti del dottor Pangloss.

Altra seria perdita di consapevolezza la ritroviamo proprio nella Nota di aggiornamento al Def, che quest’anno, a differenza dello scorso, appare in evidente affanno nella ricerca di una quadratura al nuovo maggior deficit necessario per disattivare la clausole di salvaguardia. Prendete le variabili esogene internazionali, quelle su cui si costruisce ampia parte dello scenario di previsione. In particolare, prendere le previsioni sull’andamento del commercio estero. Che, come noto, non sta vivendo un momento esaltante, visto che cresce meno del tasso di crescita del Pil mondiale, per la prima volta da lustri. Cosa dicono le previsioni incorporate nell’aggiornamento al Def, quindi? Questo:

Una notevole accelerazione nei prossimi tre anni, quindi. E che ti va in giro a dire, invece, il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, spalleggiato a ruota da Padoan? Questo:

Il ministro dello Sviluppo, Calenda, ha affermato che nel 2017 il commercio internazionale subirà “un crollo“. “Non c’è una sede in cui si discute di commercio internazionale. Il Wto non va, gli accordi internazionali non vanno, non ci sono più strumenti e luoghi dove si fa governance”, lamenta Calenda a un convegno sulla crescita. Gli fa eco il ministro dell’Economia Padoan, secondo cui “il dato più preoccupante è l’andamento pauroso del commercio internazionale che cresce meno del Pil”e “non si intravede all’orizzonte” una ripresa.

Voi capite, quindi, che se un ministero vede un’accelerazione del commercio estero, mentre un ministro vede un “crollo”, ed il titolare del ministero che ha presentato la previsione vede un “andamento pauroso” della variabile che il suo ministero ha previsto in accelerazione nel prossimo triennio, è dura che le previsioni governative possano essere considerate attendibili, dentro e fuori dal paese. Ma il problema siamo noi, che non abbiamo ancora deciso il colore della pillola da prendere. La guerra tra gemelli prosegue, sempre più cruenta.

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