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Perché l’Euro divide l’Europa – prima parte

[Abbiamo tradotto il saggio di Wolfgang Streeck, ex direttore dell’Istituto di Studi Sociali del Max Planck Institute e autorevole sociologo dell’economia, apparso su The New Left Review. Vista la sua complessità lo dividiamo in due parti. E’ un importante contributo alla comprensione che l’euro non è solo una moneta, ma un sistema monetario, le cui regole privatizzano totalmente i rapporti economici all’interno del conflitto tra Lavoro e Capitale. Mettendo gli stati e le popolazioni europee le une contro le altre. In una guerra (per ora solo economica) civile europea. Proprio il contrario di quello che tutti credevano]

di Wolfgang STREECK

Per comprendere i conflitti che sono scoppiati dentro e intorno alla zona euro negli ultimi cinque anni, può essere utile iniziare rivisitare il concetto di moneta. E’ questa una delle figure prevalenti nel secondo capitolo della monumentale opera di Max Weber Economia e società, – “Categorie Sociologiche dell’Azione Economica”. La moneta diventa moneta in virtù di un’ “organizzazione regolata”, un ‘sistema monetario’, ha ritenuto Weber. 

Ed è stato seguito da G.F. Knapp con la teoria della Moneta statale [1905], che ha insistito sul fatto che, nelle attuali condizioni, questo sistema sarebbe dovuto essere necessariamente monopolizzato dallo Stato. La moneta è un istituto politico-economico inserito, e reso efficace, in una ‘organizzazione normativa’ – un altro concetto weberiano cruciale; come tutte le istituzioni, essa privilegia certi interessi e svantaggia degli altri. Questo lo rende un oggetto del ‘conflitto sociale’ o, meglio, una risorsa in quella a cui Weber si riferisce come una ‘lotta di mercato’:

La moneta non è "meramente un titolo di acquisto per utilities indefinite”, che potrebbero essere modificate a piacimento senza alcun effetto fondamentale sul carattere del sistema dei prezzi quale lotta dell’uomo contro l’uomo. ‘La moneta’ è, piuttosto, in primo luogo un’ arma in questa lotta, ed i prezzi sono espressioni della lotta; sono strumenti di calcolo solo come quantificazioni stimate delle relative possibilità in questa lotta di interessi.

Il concetto socio-politico di Weber di moneta è sostanzialmente diverso da quella dell’economia liberale.

I documenti fondanti di quella tradizione sono i capitoli IV e V della Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith, in cui la moneta viene spiegata come un mezzo sempre più universale di scambio, che serve una (in definitiva, illimitata) espansione delle relazioni commerciali nelle ‘società avanzate’, cioè le società fondate sulla base di una divisione del lavoro. La moneta sostituisce scambio diretto mediante scambio indiretto, attraverso l’interpolazione di un prodotto intermedio universalmente disponibile, facilmente trasportabile, infinitamente divisibile e durevole (un processo descritto da Marx come ‘circolazione semplice’, Capitale-Merce-Capitale).

Secondo Smith, i sistemi monetari si sviluppano dal basso, dalla volontà dei partecipanti al mercato di estendere e semplificare le loro relazioni commerciali, che aumentano la loro efficienza riducendo continuamente i loro costi di transazione. Per Smith, il denaro è un simbolo neutrale per il valore degli oggetti da scambiare; dovrebbe essere creato nella forma più funzionale possibile al suo scopo, anche se ha un suo valore oggettivo proprio, derivante in teoria dai suoi costi di produzione. Lo Stato fa la sua apparizione solo nella misura in cui può essere invitato dai partecipanti al mercato per aumentare l’efficienza del denaro dal ‘mettere la sua impronta’ su di esso, facendo in modo che appaia più affidabile. A differenza di Weber, che differenzia i sistemi monetari in base alla loro capacità di compensare interessi distributivi, per Smith l’unico scopo a cui la moneta può servire è l’interesse universale del garantire il corretto funzionamento di un’economia di mercato la più ampia possibile.

C’è da sottolineare che la tradizione sociologica del dopoguerra ha scelto di seguire Smith piuttosto che Weber.

La fine della scuola storica tedesca, e il fatto che lo struttural-funzionalismo, soprattutto con Talcott Parsons ad Harvard, ha lasciato l’economia come oggetto di studio solo alle facoltà di economia, sempre più purificate nello spirito neoclassico, in quanto affermatosi nei decenni post-histoire dopo il 1945, portò a rinunciare a una teoria propria della moneta. Si è quindi optato per una vita tranquilla e si è scelto di concepire la moneta, quasi del tutto, nel modo teorizzato da Smith, come mezzo neutrale di comunicazione, piuttosto che come istituzione sociale carica di un potere, come valore numerico, un numéraire, piuttosto che come un rapporto sociale. 

Ciò ha portato a una rottura, sia in sociologia che nella teoria economica, con i feroci dibattiti degli anni tra le due guerre sulla natura della moneta e le implicazioni politiche dei sistemi monetari.

Questi erano stati al centro della teoria keynesiana, in particolare: vedere le battaglie intorno alle implicazioni sociali e politiche del gold standard, guidati in particolare dallo stesso Keynes, o intorno al modello bancario di riserva obbligatoria di Irving Fisher.

Di importanza paradigmatica c’è in questo caso il lavoro di Parsons e Smelser Economia e Società del 1956, sottotitolato ‘Uno studio sull’integrazione della teoria economica e quella sociale‘. Nella teoria dei sistemi parsoniana, il denaro appare come una rappresentazione del potere d’acquisto, la capacità di controllare lo scambio di merci. Ha anche la funzione sociale speciale di conferire prestigio e quindi funge da mediatore tra ‘simboli specifici e una simbolizzazione più ampia’. Storicamente, il denaro crea sviluppo, così come anche teorizzato da Smith, attraverso la crescita della divisione del lavoro, che richiede una rappresentazione astratta del valore economico in modo da rendere possibile l’espansione degli scambi. Il denaro appare in questo processo come un ‘bene culturale’, che, insieme a titoli di credito e titoli di debito, ‘costituiscono diritti o pretese su oggetti di valore economico’- e, quindi, nei termini utilizzati da Weber come «semplici voucher per beni e servizi indistinti”. 

ARMI MONETARIE

Che il denaro sia molto più di questo è qualcosa di cui Parsons, e la sociologia americana in generale, avrebbe potuto trovare ampia evidenza nel suo paese, non solo negli anni tra le due guerre, che dopo il 1945 sono stati in qualche modo dichiarati un’era di eccezione, ma nella sua precedente storia. La scoperta di tali elementi, però, ha dovuto attendere la nascita nel 1990 della ‘nuova sociologia economica’, che ha intrapreso la riabilitazione della visione di Weber della moneta come arma nella ‘lotta di mercato’. Un contributo a questo sviluppo, importante oggi come lo era allora, fu apportato grazie a ‘The Color of Money and the Nature of Value’, uno studio condotto da Bruce Carruthers e Sarah Babb dei conflitti politici interni di un nuovo sistema monetario dopo la Guerra civile. Gli autori hanno adottato una distinzione analitica proposta dal politologo Jack Cavaliere: i sistemi monetari, come le istituzioni in generale, non possono essere giudicati solo in base al ‘coordinamento-dei-benefici-collettivi- secondo la concezione sociale delle istituzioni’ – in altre parole, solo se hanno fornito una simbolizzazione, comunicabile tra i soggetti, dei valori e delle richieste di valore. Era invece legittima e persino necessaria, secondo Carruthers e Babb, la prospettiva del conflitto – come si potrebbe anche chiamare quella avanzata da Cavaliere, in cui un sistema monetario esiste come il risultato di dissidi tra gli attori con interessi in competizione politica tra loro. Come tale, essa può avere più o meno effetti distributivi asimettrici e interessi contrapposti, che sono spesso più importanti nella realtà sociale della loro efficienza. 

‘The colour of money’ ricostruisce le divisioni politiche ed economiche sul futuro regime monetario degli Stati Uniti, e la natura della moneta in generale, durante l’ultima parte del XIX secolo. A quel tempo, il fronte teorico era più o meno centrale tra la concezione smithiana e quella concezioni weberiana della moneta. Il primo, Adam Smith, ha sottolineato l’affidabilità di denaro come mezzo di comunicazione simbolica, per un efficiente coordinamento economico e l’integrazione sociale; questo è stato collegato a una teoria del valore naturalistico e la richiesta di un ritorno al gold standard. Il punto di vista alternativo, basato su una teoria socio-costruttivista notevolmente ben sviluppata del valore della moneta, sposò l’introduzione di carta moneta liberamente creata.

Come c’era da aspettarsi, i fautori dell’oro hanno sottolineato l’interesse del pubblico per un valore-simbolo che dovrebbe ispirare fiducia, mentre i sostenitori dei ‘biglietti verdi’ – banconote stampate – hanno sottolineato gli effetti distributivi divergenti delle due concetti di moneta, che rappresentano diversi interessi materiali. E infatti gli approcci rivali erano radicati in diverse pratiche di accumulo e modi di vita: i sostenitori del gold standard rappresentavano la ‘vecchia moneta’ dell’East Coast ed erano interessati soprattutto alla stabilità; il contingente di carta moneta era basata nel Sud e nell’Ovest e voleva il libero accesso al credito, sia per contribuire a svalutare i debiti che avevano sostenuto o per incrementare l’espansione. Gli interessi contrastanti su quale percorso di sviluppo doveva prendere quell’economia capitalista in rapida crescita sono stati collegati a strutture di potere di classe e di privilegio: il mondo vitale di una classe urbana patrizia, soprattutto a New York, contro quella dei contadini indebitati e dei “cowboy” nel resto del paese.

CONTANTE E AZIONE COMUNICATIVA

A partire dal 1980, la sociologia tedesca ha elaborato il suo concetto di moneta non da Weber, ma da Parsons – e, tramite Parsons, della tradizione economica che risale a Smith. Questo è vero non solo per Niklas Luhmann, nel suo adattamento della teoria dei sistemi, ma ugualmente per Jürgen Habermas, anche se, o forse, proprio perché, Habermas ha sviluppato la sua ‘Teoria dell’azione comunicativa’ in larga misura attraverso una critica immanente dell’opera di Luhmann. Il problema, a quanto mi risulta, sta nel fatto che la critica di Habermas del concetto di un ‘media guida’, che ha preso da Luhmann e Parsons, lascia intatta la sua validità per ‘gli ambiti funzionali della riproduzione materiale’, dal momento che questi ambiti possono, in modo univoco, essere ‘differenziati fuori dal mondo della vita’. Anche se in termini habermasiani nessuno veramente ‘parla’ nei moderni sottosistemi economici – funzione che resta prerogativa del mondo vitale – il “linguaggio” speciale del denaro, è sufficiente perché tale sottosistema svolga la sua funzione.

L’assunzione qui, naturalmente, è che ‘l’economia’ potrebbe essere pensata come un sottosistema tecnico delle società moderne, purificato dalle connessioni col mondo vitale e in grado di funzionare senza di loro in modo strumentalmente razionale, neutrale. All’interno della sfera di competenza dell’economia in una modalità così concepita non c’è costrizione ad agire; è possibile invece semplicemente ‘condurre’. Così l’ ‘economia’ può essere vista come un meccanismo prevedibile di mezzi, interamente nello spirito della teoria economica standard, anche se incorporato in un contesto più globale di comunicazione e di azione, e capace in principio di essere organizzato su base democratica. Con l’aiuto del denaro, un ‘mezzo di governo’ che non è solo adeguato al compito, ma l’ideale per esso, questo meccanismo si limita, anche se con un livello ridotto di comunicazione, a coordinare gli attori coinvolti e a concentrare i loro sforzi sull’impiego efficiente di risorse scarse.

Le conseguenze teoriche sono di vasta portata. L’ incorporazione parziale di Habermas della teoria dei sistemi, il riconoscimento di un diritto tecnocratico di dominio su alcuni settori della società, analoga alla teoria della relatività che permette una limitata applicabilità alla meccanica -depoliticizza l’ambito economico, restringendo il campo ad un accento unidimensionale sull’efficienza, come prezzo di contrabbando per uno spazio di politicizzazione in una teoria post-materialista della ‘modernità’.

L’intuizione fondamentale dell’economia politica è dimenticato: che le leggi naturali dell’economia, che sembrano esistere in virtù della loro efficienza, sono in realtà nulla altro che le proiezioni dei rapporti di potere sociale che si presentano ideologicamente come necessità tecniche.

La conseguenza è che essa cessa di essere intesa come economia capitalista e diventa ‘l’economia’, pura e semplice, mentre la lotta sociale contro il capitalismo è sostituito da una lotta politica e giuridica per la democrazia. L’idea che la moneta funzioni come ‘sistema di comunicazione’ sostituisce il concetto di un sistema monetario, nel senso di Weber; con esso scompare qualsiasi idea del ruolo politico del denaro, in quanto distinto dalla sua funzione tecnica. Lo stesso vale per il concetto che i sistemi monetari, come le istituzioni politiche ed economiche, sono conformi prima al potere e solo secondariamente al mercato. Come regola, quindi, hanno una polarizzazione verso uno o l’altro interesse dominante. Possiamo dire con Schattschneider che, come il ‘coro celeste’ di una democrazia pluralista, il linguaggio del denaro parla sempre con un accento, e normalmente è lo stesso accento della classe superiore del coro.

LA LOTTA DI MERCATO NELLA ZONA EURO

Infatti, se il denaro non fosse altro che un mezzo neutrale di comunicazione, un linguaggio simbolico per facilitare il coordinamento produttivo di alcuni tipi di azioni umane, allora dovremmo aspettarci che, dopo più di un decennio, l’euro avrebbe dovuto condurre i suoi utilizzatori insieme in una identità condivisa. Proprio come si dice che il marco tedesco abbia creato un ‘nazionalismo del marco’, così l’euro avrebbe dovrebbe creare un patriottismo europeo, come previsto dai suoi inventori. Nel 1999, Jean-Claude Juncker, il quale, oltre che primo ministro del Lussemburgo, è stato un consulente fiscale di alto livello di imprese multinazionai – ha dichiarato che, una volta che i cittadini avessero tenuto le nuove banconote e monete in mano all’inizio del 2002, ‘un nuovo sentimento del “noi” si sarebbe potuto sviluppare: noi europei ‘.

Lo stesso anno Helmut Kohl, ormai già un ex-cancelliere tedesco, ha predetto che l’euro avrebbe creato un’identità europea per chi ha aderito alla unione monetaria, e che al massimo entro cinque anni la Gran Bretagna si sarebbe unita a questa valuta, seguita poi direttamente dalla Svizzera.

A un livello leggermente inferiore, ricordiamo gli annunci pubblicitari dei media che hanno sollecitato il sostegno per la moneta unica con le foto di giovani viaggiatori di entrambi i sessi che si guardano negli occhi reciprocamente, in un modo che vi fa immaginare le nazioni più vicine.

I loro sorrisi radiosi hanno espresso la loro gioia dopo aver calcolato quanti soldi avevano risparmiato in commissioni e in perdite di cambio, in viaggio verso il loro appuntamento: teoria dell’efficienza e identità in un colpo solo!

Nonostante l’idea – o meglio l’ideologia degli “Europei”, l’euro ha diviso l’Europa in due.

Come motore di un’unione sempre più stretta il bilancio della moneta unica è stata disastroso. Norvegia e Svizzera non entreranno a far parte dell’Unione europea in tempi brevi, la Gran Bretagna sta attivamente pensando di lasciare tutto. Svezia e Danimarca avrebbero dovuto adottare l’euro a un certo punto; cosa che è ora fuori dal tavolo delle decisioni. L’Eurozona si è diviso tra paesi in surplus e quelli in deficit, nord e sud, la Germania e il resto. In nessun momento dalla fine della Seconda Guerra Mondiale i suoi Stati-nazione si sono trovati di fronte di fronte con tanta ostilità; le conquiste storiche di unificazione europea non sono mai state così minacciate. Nessun governante oggi oserebbe indire un referendum in Francia, Paesi Bassi e Danimarca, anche per piccoli passi verso una maggiore integrazione. Grazie alla moneta unica, le speranze per una Germania europea, per l’integrazione come una soluzione ai problemi sia dell’identità tedesca sia delle sua egemonia in Europa – sono state sostituite dalle paure di un’Europa tedesca, anche nella stessa Repubblica Federale Tedesca. Di conseguenza, le campagne elettorali nell’ Europa meridionale si sono combattute e vinte contro la Germania e il suo cancelliere; sono iniziate ad apparire le immagini della Merkel e di Schäuble che indossano svastiche, non solo in Grecia e in Italia, ma anche in Francia. E il fatto che la Germania si trovi ora a dover affrontare richieste di risarcimento, non solo dalla Grecia, ma anche dall’Italia – dimostra fino a che punto la sua politica di europeizzazione dal dopoguerra sia affondata per il suo passaggio alla moneta unica.

Chi volesse capire come un’istituzione come la moneta unica può provocare tale scempio ha bisogno di un concetto di moneta che va al di là della tradizione economica liberale e la teoria sociologica da essa informata. I conflitti nella zona euro possono essere decodificati solo con l’aiuto di una teoria economica che può concepire il denaro non solo come un sistema di segni che simboleggiano diritti e obblighi contrattuali, ma anche, in sintonia con l’opinione di Weber, come il prodotto di una organizzazione di regole, e quindi come come istituzione con conseguenze distributive cariche di conflitti potenziali.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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