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Perché a Napoli deve vincere De Magistris

In linea di massima, nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di indirizzare un'altra persona su quale scelta fare in vista di un ballottaggio. In linea di massima, nessuno dovrebbe essere ragguagliato da altri su chi sono i due candidati e quale sia il loro passato, le loro fatte e malefatte, essendo suo dovere e nell’interesse suo e della sua città informarsi autonomamente e con largo anticipo. In linea di massima, chi avverte l’uzzolo di dispensare consigli e pressioni sui suoi conoscenti più indecisi può a ragione essere tacciato di prevaricante sfacciataggine. Ma è pur vero che di questa sfacciataggine a Napoli ce n’è un disperato bisogno.

Laddove il confronto elettorale si ponesse tra Tizio e Caio, allora gli sfrontati tentativi di accaparrarsi i voti degli indecisi o dei disaffezionati della politica non avrebbero ragion d’esistere. Uno varrebbe l’altro. Ma trovandoci con Lettieri e De Magistris a contendersi il titolo di sindaco, il discorso diverge. Come diverge il loro passato. Non si dica – mettiamo le mani avanti – che la scelta elettorale debba essere ponderata e motivata dalla qualità dei programmi che i candidati si propongono di realizzare. Lo sanno anche i più grulli che i programmi vengono stesi, spesso, per essere disattesi. E questo, s’intende, può valere tanto per Lettieri quanto per De Magistris. Non potendo nessuno dei due vantare un passato di primo cittadino, bisogna allora giudicarli sulla base delle loro intenzioni. E le intenzioni non si misurano su quanto c’è di scritto nei loro programmi, ché probabilmente non è nemmeno frutto del loro pugno. Ma si pesano sulla base di quanto hanno fatto nel loro passato, nella fattispecie di imprenditore e di magistrato, e della reputazione che si sono guadagnati. La domanda da porsi è: Quali intenzioni potrà mai avere uno che in passato ha fatto questo e quello? È un processo alle intenzioni bell’e buono, ma non può essere altrimenti.

Iscritto alla facoltà di Economia nel 1975, Gianni Lettieri l’abbandona per diventare il direttore commerciale di un’azienda di La Spezia specializzata in abbigliamento militare. Ma storcano pure il naso i laureati in Economia desiderosi di sapere come Lettieri sia riuscito a sfondare così giovane. Non ci è dato saperlo. Di biografie del candidato Pdl non se ne trovano molte in rete, e a ricostruire il suo passato ci si deve armare chi di buona fede chi di scetticismo. Un'inchiesta del L'espresso ha svelato che l'ammistratore dell'azienda, la Confemil Spa, fosse in realtà la madre. Secondo quanto riportato in un’ altra inchiesta de L’espresso, oggi è presidente e amministratore delegato della Meridie, una società finanziaria di investimenti. La Meridie ha investito 2,8 milioni nella Banca Mb, ma l’investimento più che profitti ha portato disgrazie. L’Mb è stata posta in amministrazione straordinaria da Bankitalia, e i soldi sono stati bloccati. Lettieri ha poi investito nella Livingston, una compagnia di charter, puntualmente andata in insolvenza. Le disgrazie tuttavia non hanno interessato solo il candidato Pdl, ma anche i suoi soci in Meridie. Nicola Squillace, titolare del 7%, risulta ancora amministrato dal commercialista Sergio Pezzati, arrestato in America con l’accusa di essere fiduciario del clan Arena di Isola di Capo Rizzuto. ‘Ndrangheta, per intenderci. Un altro socio di Meridie, ben più conosciuto, è Giovanni Consorte, salito alla ribalta delle cronache giudiziarie per la vicenda della scalata alla Banca Nazionale del Lavoro.

La Holding a tenuta familiare, la Mcm, non se la passa tanto meglio, ma il Dottor Lettieri già ha preso provvedimenti per risollevarne le sorti. Sì, dottore, perché nel frattempo gli è stata conferita una laurea honoris causa all’università Parthenope di Napoli. Il preside di facoltà, non si sa se a titolo di ringraziamento o per puro caso, è oggi membro del collegio sindacale proprio della Mcm. Neanche il preside tuttavia ha potuto evitare che la holding sprofondasse alla fine dell’anno scorso in un ammanco di 6 milioni di euro. Il tentativo di ricapitalizzazione avanzato da Lettieri, attraverso acquisizioni di quote in altre società – vedi la SalernoInvest – e avvenuto con metodi poco trasparenti – la trasformazione di terreni su cui Lettieri aveva fabbriche di jeans a uso commerciale e residenziale – gli è costato un processo per truffa, insieme con il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca. Sembra che ovunque sia andato, il candidato del centrodestra abbia lasciato dietro di sé terra bruciata se pensiamo che perfino i membri dell’Unione Industriali di Napoli lo accusano per aver sperperato i soldi dell’Unione negli anni in cui ne è stato presidente, dal 2004 al 2010.

Se i suoi soci in affari non sembrano dei più raccomandabili, tantomeno lo sono i suoi amici. Antonio Bassolino, principale imputato per la spregevole amministrazione di Napoli e della Campania e con il quale sembra andasse a fare jogging, e Nicola Cosentino, colui che lo ha proposto a Berlusconi per la candidatura prima a Governatore campano – finita male – a primo cittadino di Napoli poi, e sul cui capo pende un mandato di cattura per concorso esterno in associazione camorristica con il clan dei Casalesi, sono tra essi. Se i curriculum di un aspirante lavoratore avessero ancora un peso nel nostro paese, quello di Lettieri non è di quelli che si sarebbe fieri di sventolare bussando alle porta di un datore di lavoro. Figuriamoci quando i datori sono ottocento mila elettori.

La storia di Luigi De Magistris è certamente più conosciuta, anche perché più facilmente reperibile in rete. Non è comunque un volto sconosciuto della politica, essendo una punta di diamante nello schieramento Idv. Tuttavia questo non ci dispensa dal metterne in evidenza le contraddizioni e le ombre. A De Magistris si rimprovera, sul piano politico, la doppia morale in base alla quale si sente in diritto di criticare chiunque tenti di difendersi ‘dai’ processi piuttosto che ‘nei’ processi, dispensando la sua persona dalle sue stesse critiche. È risaputo infatti che il candidato a sindaco di Napoli ha più volte fatto ricorso all’immunità parlamentare, in qualità di membro del Parlamento Europeo. Ma per non cedere il passo ad analisi triviali e approssimative, è forse doveroso andare un po’ più affondo nella questione. De Magistris si è avvalso recentemente dell’immunità (la nostra Costituzione la chiama insindacabilità) in seguito alle querele ricevute da parte di Clemente Mastella e dalla Bagnoli Futura spa. La prima denuncia è scattata in seguito a una dichiarazione al freepress Epolis in cui affermava che Mastella “era a capo di un mercato criminale di posti di lavoro”. Una sua opinione personale che, se falsa è diffamatrice, se vera è illuminatrice, ma che secondo la nostra Costituzione rientra comunque nelle prerogative dell’attività parlamentare. L’articolo 68 recita: I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Direte, ma è eletto al Parlamento Europeo, non italiano. Servìti: “To seek to prevent Members of Parliament from expressing their opinions on matters of legitimate public interest and concern and from criticising their political opponents by bringing legal proceedings is unacceptable in a democratic society and in breach of Article 8 of the Protocol, which is intended to protect Members' freedom of expression in the performance of their duties in the interests of Parliament as an institution of the European Union. In quasi tutti i paesi europei è riconosciuto il diritto per gli eletti dal popolo di esprimere le loro opinioni, al fine di mettere in guardia l’elettorato sulle scelte da prendere. Lo stesso discorso vale per la denuncia della Bagnoli Futura spa (società che si occupa della bonifica di Coroglio), che è scattata in seguito alla seguente dichiarazione di De Magistris: “Bagnoli è una pagina vergognosa di commistione tra politica e crimine attorno al denaro pubblico”. Anche in questo caso si tratterebbe, nel caso l’autorità giudiziaria lo ritenesse tale, di un reato d’opinione. Allora occorre fermarsi, e fare una riflessione avulsa dal caso De Magistris. Supponendo che la libertà d’espressione di un parlamentare non fosse tutelata dal legislatore, l’attività politica di chi, mosso da buone intenzioni, si schierasse in prima linea per denunciare malefatte, soprusi, ingiustizie, corruzione e via dicendo, non ne risentirebbe? Qualcuno obietterà che chi scrive parla per partito preso, e il partito è quello di De Magistris. Forse questo qualcuno non è mai stato a Coroglio. Ma non si è perso niente.

Paragonare poi l’immunità avanzata da De Magistris a quella che pretende per sé Berlusconi o altri che come lui sono accusati di reati “comuni” vuol dire buttarla sulla mutanda. C’è un’esiziale differenza tra una denuncia per reato d’opinione connessa (anche se non lo fosse il paragone non reggerebbe) all’attività politica e una denuncia per reati quali finanziamento illecito, falso in bilancio, corruzione, concussione, prostituzione minorile, frode fiscale. Questo lo capiscono tutti, tranne Filippo Facci, giornalista di Libero, e Mastella. Ma quest’ultimo non fa testo. 

Come magistrato De Magistris è stato al centro di numerosi polveroni giudiziari. È questa certamente la fase calda della biografia di De Magistris, la più interessante e la più difficile da ricostruire. Non perché non ci siano informazioni, ma perché ce ne sono fin troppe. Le inchieste più celebri che hanno segnato la carriera e la sua fine sono Poseidone, Why not e Toghe lucane. Ed è bene esserne informati, perché è proprio da queste inchieste che prendono linfa le accuse che gli avversari politici di De Magistris (“ha rovinato la vita di tante persone da magistrato”) gli muovono. Quanto ragionevoli siano queste accuse, che sempre riecheggiano grazie ai tromboni che non hanno mai letto una carta di quei fascicoli, lo giudichi chi legge. A una prima occhiata ci si rende conto che le inchieste sono state un buco nell’acqua. Tutte. L’inchiesta Toghe Lucane riguardava un giro di malaffari denunciato da magistrati lucani nei confronti dei loro colleghi, e ipotizzava l’esistenza di una cupola formata da giudici, politici, imprenditori operante in sfregio alla legalità. I reati ipotizzati per questi imputati eccellenti, tra cui l’ex governatore lucano Filippo Bubbico (Pd), l’ex membro del Csm, ex senatore di An, Nicola Buccico, l’ex procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano, l’ex procuratore aggiunto Gaetano Bonomi, l’ex pm della dda (oggi al tribunale di Roma) Felicia Genovese, l’ex presidente del tribunale di Matera Iside Granese, il procuratore capo di Matera Giuseppe Chieco e altri, erano corruzione, abuso d’ufficio, associazione per delinquere. Tutti recentemente archiviati, il gip ha ritenuto l’impianto accusatorio “lacunoso”. Non si può omettere però il fatto che De Magistris è stato rimosso dall’incarico prima di poter formulare le richieste di rinvio a giudizio, né tantomeno che il giornalista e parte offesa nel processo Nicola Piccenna ha dichiarato che l’indagine è stata poi spezzettata facendo venir meno il quadro accusatorio impostato da De Magistris. Poseidone, invece, riguardava la costruzione di depuratori d’acqua marina in Calabria, finanziati dall’Unione Europea con 800 milioni di euro e mai costruiti, perché pare che i soldi siano spariti. Quest’inchiesta, sempre avviata da De Magistris, e che riguardava personalità di spicco come il potente politico locale di An Domenico Basile, assessore uscente all'Ambiente; l'ex presidente "azzurro" della Regione Calabria, Giuseppe Chiaravallotti; Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc; il senatore di FI (ora Pdl) Pittelli; il generale della Guardia di Finanza Lombardo, non è stata poi portata a termine da lui stesso perché avocata dal Procuratore Capo di Catanzaro Lombardi, recentemente scomparso. Poseidone è tutt’ora in corso.

Il caso Why not non ha precedenti, essendo una vicenda che ancor oggi non smette di gettare ombre sui rapporti presunti tra magistratura e poteri forti della politica e dell’economia. L’inchiesta (che prende il nome da una società di lavoro interinale) riguardava finanziamenti pubblici per sviluppare attività economiche nel settore informatico, attività che non hanno mai visto la luce del sole. Anche qui le indagini andavano a toccare personalità di spicco tra i quali l’ex capo della Compagnia delle Opere in Calabria Antonio Saladino, l’ex Guardasigilli Clemente Mastella, per i suoi rapporti con Saladino, Luigi Bisignani, ex piduista e già condannato per la tangente Enimont, Salvatore Domenico Galati, già collaboratore dello staff del senatore e coordinatore regionale di Forza Italia Giancarlo Pittelli e tanti altri. I reati inizialmente contestati, a vario titolo, erano quelli di associazione a delinquere, corruzione, violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, truffa, finanziamento illecito ai partiti. Secondo l’accusa alcuni di questi personaggi erano iscritti alla Loggia massonica di San Marino, una vera e propria lobby che influenzava la gestione dei finanziamenti pubblici e l’assegnazione di appalti. Tuttavia le indagini di De Magistris non caveranno un ragno dal buco, perché Why Not gli sarà scippata dal Procuratore Generale di Catanzaro Dolcino Favi, per presunta incompatibilità. La richiesta di rimozione dall’incarico era stata già sollecitata dallo stesso Mastella (indagato), e il 19 ottobre 2007 viene eseguita. A quel punto De Magistris ha denunciato l’accaduto alla Procura di Salerno, che è competente per le indagini su eventuali reati commessi dalla Procura di Catanzaro, e che si è subito messa al lavoro. I colleghi calabresi però non sono rimasti con le mani in mano e hanno lanciato accuse e denunce ai danni di De Magistris. Tuttavia il Procuratore Capo di Salerno Apicella, coadiuvato dai pm Nuzi e Verasani, ottiene dal Gip l’archiviazione delle indagini su De Magistris, mentre proseguono quelle sui suoi colleghi calabresi. Infatti, appena De Magistris fu derubato di Poseidone e Why Not, furono emessi a raffica una sfilza di decreti di archiviazione in favore degli indagati, tra cui lo stesso Mastella. L’ipotesi accusatoria dei pm salernitani è che i magistrati calabresi che hanno ereditato le inchieste di De Magistris non abbiano sottoposto al Gip di Catanzaro tutte le carte, tutte le prove, tutto quanto era in loro possesso. Per tali ragioni, e per la competenza che le viene riconosciuta dalla legge, la procura di Salerno ha richiesto per ben sette volte a quella di Catanzaro la trasmissione dei fascicoli Why not e Poseidone, in modo tale da poterli confrontare con i decreti di archiviazione emessi dal Gip e controllare che non mancassero delle pagine. Ben sette volte, perché nel frattempo i giudici calabresi traccheggiavano, prendevano tempo, mandavano solo qualche faldone incompleto. Un vero e proprio ostracismo, che ha gettato molte ombre sulla trasparenza dell’operato dei procuratori di Catanzaro. Si rese perciò inevitabile il sequestro delle inchieste e la perquisizione dei giudici, azioni che furono prontamente denunciate come atti eversivi dal p.g Iannelli. Ma di eversivo, in realtà, ci fu solo il contro-sequestro delle carte e le indagini avviate da parte dei procuratori calabresi nei confronti di quelli salernitani. Un atto evidentemente illegale in quanto, secondo la legge, la Procura di Catanzaro non ha la competenza per indagare su Salerno, ma ce l’ha la Procura di Napoli. Essendo scoppiata una caciara di dimensioni bibliche, è dovuto intervenire il Csm che, in barba alle leggi, ha ritenuto responsabili i procuratori di Salerno, sospendendo il p.c. Apicella e trasferendo i pm Nuzi e Verasani in Lazio con l’inibizione a svolgere il ruolo di pubblico ministero. E poco importa che il comitato del Riesame abbia certificato la correttezza del loro operato.

Ebbene, al loro posto sono subentrati il nuovo p.c. Roberti, famoso per essere stato il procuratore aggiunto di Napoli che ha falcidiato il clan dei Casalesi, e i pm Minerva, Cantarella e Alfano. Che non hanno fatto altro che confermare le stesse accuse presenti nel decreto di perquisizione redatto dai loro predecessori. Nell’avviso di conclusione delle indagini risalente all’anno scorso ce n’è per tutti: l’ex p.c. Lombardi, quello che ha sottratto Poseidone a De Magistris, la sua convivente Maria Grazia Muzzi, il suo figliastro Pierpaolo Greco, il p.a. Salvatore Murone, Antonio Saladino, principale imputato di De Magistris, Pittelli (Pdl) e Galati (Udc), il procuratore generale facente funzioni Dolcino Favi, che ha scippato De Magistris di Why not, Garbati, Curcio e De Lorenzo, sostituti procuratori che hanno ereditato le inchieste di De Magistris e via dicendo. Secondo l’accusa, la Procura di Catanzaro ai tempi di De Magistris è stata corrotta da Saladino, Pittelli e Galati, per favorire lo scippo e l’insabbiamento delle indagini condotte dal pm napoletano.

Allora, chi rimbrotta De Magistris per aver sperperato le risorse della Procura di Catanzaro e per aver causato dolore a tante persone, dovrebbe prima di tutto conoscere la storia, oppure non fingere di non conoscerla. Chi rimprovera De Magistris per il suo ricorso all’immunità, dovrebbe prima di tutto sapere quanto ha fatto nella sua attività di magistrato e a quanti potenti ha dato fastidio, oppure non fingere di non saperlo. Chi accusa De Magistris di essere entrato in politica per i suoi personali interessi, dovrebbe prima di tutto ricordarsi della sorte toccata ad Apicella, Nuzi e Verasani, oppure non fingere di non ricordarla. I turiferari della spinta di delegittimazione ai danni di De Magistris guardassero cosa nascondono sotto il loro letto i ciarlieri che appoggiano, prima di avanzare critiche campate per aria.

Evidentemente, l’unico punto debole di De Magistris è la sua rinuncia al mandato europeo. Si era assunto l’impegno di fronte agli elettori per fare luce sui finanziamenti pubblici che l’Europa eroga nei confronti dell’Italia. Il dietro-front, giustificato dalla necessità di risollevare le sorti di Napoli, ha destato malessere e scalpore, anche negli ambienti a lui più vicini (vedi Grillo) che gli hanno rimproverato di aver lasciato il lavoro a metà. È vero. Ma è anche vero che Napoli versa in una situazione disastrosa, e ha bisogno di un volto nuovo e di un politico deciso, gagliardo, che non abbia tema di affrontare i poteri forti. La candidatura di Lettieri ha reso ancora più urgente la designazione di un uomo integerrimo nello schieramento di sinistra. Laddove dovesse vincere Lettieri, lo stesso Grillo (e chi lo segue) potrà tranquillamente essere tacciato di corresponsabilità, anche solo morale, per la vittoria dell’amico di Cosentino. E potrà fregiarsi della funesta eredità che la politica berlusconiana lascerà, come ha lasciato in tutta Italia, anche a Napoli. Un’eredità che potrebbe rivelarsi il colpo di grazia per Napoli e i napoletani. A babbo morto, Grillo non sarà meno colpevole di Cosentino, perché la scelta di non dare l’appoggio a De Magistris – quando il suo diretto contendente si chiama Lettieri – è un atto irresponsabile bell’e buono.

Forse nessuno può dire con certezza che, qualora dovesse vincere, De Magistris risolleverà davvero le sorti della città partenopea. Ma di una cosa si può pur essere certi. Se Lettieri va a Palazzo San Giacomo, Napoli non vince. Perde.

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