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Perché Renzi NON si deve dimettere

Nelle elezioni del 1976 il Psi, che sperava in un balzo dal 9,6 al 12% si ritrovò con una flessione al 9,2%: tragedia e psicodramma. Mi trovai per caso a passare dalla sede del Psi, per incontrare un compagno, e capitai durante una riunione del direttivo di federazione, nel quale le correnti di sinistra (manciniani e lombardiani) reclamavano a gran voce le dimissioni del segretario Francesco De Martino (il più inutile dei segretari di tutta la storia del Psi). Ad un certo punto andò a parlare un vecchio militante della sinistra lombardiana, che esordì come se parlasse con il segretario, dicendo in tono molto british, “De Martino, non ti devi dimettere!” Stupore ed incredulità fra i compagni, che ne conoscevano il carattere sanguigno e l’odio personale per De Martino e poi, in crescendo, : “Tu non di devi dimettere: tu ada iess accis d’mazzat!!” (traduco dall’inglese: non ti devi dimettere, devi essere ucciso di botte!). Mi è tornato in mente.

Ma veniamo all’oggi: nelle prossime ora co sarà l’ennesimo inutilissimo “chiarimento” nella direzione del Pd e, come si sa, la minoranza bersaniana chiede una svolta dopo aver accennato, per un secondo, a possibili dimissioni di Renzi. Ovviamente tutto finirà con la solita calata di braghe della “sinistra” Pd, ma poniamoci un problema: Renzi deve dimettersi o no? Ovviamente parliamo di dimissioni dalla segreteria del partito e non sa Presidente del Consiglio.
Certo i risultati delle amministrative sono una mezza catastrofe (e lo sarebbero stati del tutto, se gli opportunisti alla Marco Cappato ed alla Basilio Rizzo non avessero soccorso Sala e, quindi, Renzi) e, in condizioni normali, un segretario che riceve una sberla del genere dovrebbe considerare l’ipotesi di dimettersi. 

Ma queste sono condizioni normali? Direi proprio di no.

C’è un referendum alle porte su una bazzecola come la riforma di 1/3 della Costituzione e il progetto è stato fatto dal governo. Direi che è un obbligo morale che questo governo si presenti al referendum con la piena assunzione di responsabilità e poi tragga le conseguenze in caso di esito negativo. Vero è che qui si tratterebbe di dimissioni dalla segreteria del partito e non del governo, ma le dimissioni da segretario (anche per le norme dello statuto del Pd che tendono ad unificare le due cariche) indebolirebbe politicamente Renzi di fronte al referendum. Personalmente non amo affatto Renzi ma riconosco il suo diritto ad affrontare la prova nelle condizioni più agevoli, anche per evitare un successivo scaricabarile. Renzi deve andare nella pienezza delle sue attribuzioni e dopo, nel caso auspicabile di una sconfitta deve dimettersi da entrambe le sue cariche.D’altro canto, se lo facesse prima ci farebbe un grave dispetto: ci toglierebbe il nemico da colpire.

A proposito: circola voce di un rinvio della data a da definire, perché dopo le amministrative e la Brexit il governo ha paura. Ed ha ragione di temere, e questo vi fa capire quanto avrebbe pesato una sua sconfitta anche a Milano, perché non era sulla città che stavamo votando, ma sugli equilibri nazionali ed in prospettiva del referendum. La cosa però mi lascia perplesso: la Costituzione dice che si dà luogo al referendum, se, entro tre mesi dalla proclamazione ne facciano richiesta cinquecentomila elettori, un quinto dei membri di una Camera o 5 consigli regionali. La richiesta è stata avanzata per prima dai parlamentari del Pd e, credo, da un paio di mesi. Anche a voler attendere le altre richieste (ma non si vede perché) di cui è in corso la raccolta delle firme, comunque, considerando che la legge è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 12 aprile, calcolati i tempi della vacatio legis, significa che il termine è il 27 aprile. Vero è che la Costituzione non dice entro quali termini debba svolgersi il referendum e che di mezzo (vado a memoria) c’è la pronuncia della Cassazione sulla regolarità dei quesiti (mentre è da discutere se la Corte Costituzionale debba pronunciarsi sull’ammissibilità o meno, ma direi di no), però non è necessaria la verifica delle 500.000 firme in quanto già c’è quella dei parlamentari e questa basta. In effetti un termine entro la fine di ottobre apparirebbe congruo, ma ancora non si dice nulla. La cosa non è da poco, perché dopo qualche settimana si entra nel periodo natalizio, quindi nel periodo invernale sconsigliato per votazioni di interesse generale.

Comunque, non credo si possa andare tanto in là, anche perché la Costituzione dice che la revisione costituzionale non è promulgata se “non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”, dunque, quando il referendum è richiesto, deve svolgersi e debba esserci la maggioranza dei favorevoli perché la legge entri in vigore. Ma, nel frattempo, potrebbe esserci una crisi di governo con elezioni anticipate dove, sempre che la Corte Costituzionale non bocci l’Italicum, andremmo con leggi elettorali divaricanti fra Camera e Senato. Ed in caso di nuove elezioni, il referendum slitterebbe di diversi mesi. Insomma, un ingorgo costituzionale senza precedenti.

E credo che il termine di ottobre non sia valicabile. Prepariamoci ad uno scontro feroce e senza esclusione di colpi. Baionetta in canna e niente incertezze: si fa sul serio.

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