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Perché Bergoglio dice che il suo sarà un “pontificato breve”?

Annunciando l’anno giubilare straordinario, Papa Francesco ha detto che ritenere che il suo sarà un “pontificato breve”. Cosa ha voluto significare? L’interpretazione più ovvia è che abbia in mente delle dimissioni dopo un certo periodo.

Certo, non l’automatismo degli 80 anni che porta fuori del conclave i cardinali, ma forse dimissioni entro un termine non prestabilito, ma non lontano, quando sentirà che le forze non lo assistono più. D’altra parte, l’uomo non è giovane, a dicembre entra negli ottanta, per cui è ragionevole che, dimissioni o meno, il suo pontificato non abbia probabilità di essere lungo come quello di Pio XII, o lunghissimo come quello di Giovanni Paolo II.

Ma parlare di un pontificato breve fa pensare a qualcosa che durerà altri tre o quattro anni (come per Giovanni XXIII che fu papa per 5 anni). Ed allora: decisione di dimettersi? Modo per dire di aver scoperto una grave malattia?

C’è un’altra interpretazione possibile, che abbia voluto lanciare un messaggio ai suoi oppositori, sempre più numerosi nella Curia e fuori: la riforma della Chiesa procederà a spron battuto, perché il Papa non ritiene (a torto o a ragione) di avere molto tempo davanti a sé. Forse, la suggestione del parallelo con Giovanni XXIII porta a pensare al preannuncio di un Concilio.

Tutte cose possibili, l’unica cosa certa è che lo scontro in Vaticano e nella Chiesa è sempre più acuto ed aperto e si capisce il perché: quella di Bergoglio non è una semplice riforma della Curia o del sistema di governo della Chiesa, ma una profonda mutazione dello stesso ruolo di essa.

Dal primo Medioevo sin qui, la Chiesa si è proposta come maestra di verità di fede e di morale. Questo perché il “sapere socialmente necessario” in una formazione economico-sociale a dominante religiosa, quale era quella europea dal V secolo in poi, era appunto il sapere di fede e di morale, per guadagnarsi il premio della vita eterna. Tutta la vita del fedele era orientata a questo fine e guidata dalla Chiesa e tutta la vita quotidiana era profondamente permeata dai riti, dalle devozioni, dalle preghiere, dalle ricorrenze religiose. E la produzione di sapere teologico rispondeva in primo luogo all’esigenza di giustificare il ruolo del clero e della sua gerarchia cui spettava in esclusiva il compito di leggere le Scritture ed interpretarle. Ed il magistero morale fu una forza pervasiva di controllo sociale, diventata tanto più cogente, dopo l’XI secolo, con l’istituzione della confessione auricolare.

E’ ovvio che, in un simile contesto, il potere della Chiesa di stabilire cosa fosse vero e cosa no nella fede, e di stabilire i precetti morali era un potere primario, a mala pena contrappesato (e non sempre con efficacia) da quello secolare.

Il trono era spesso in conflitto con l’altare ma è significativo che l’insediamento del nuovo sovrano avveniva con una cerimonia religiosa nella quale era una autorità ecclesiale ad incoronare il re. Roscellino da Compiegne giunse a sostenere che l’unzione regale fosse l’ottavo sacramento. Ma, nei secoli, il sapere socialmente necessario divenne quello del sapere secolare umanistico e scientifico, si affermava il pluralismo religioso e, con esso, anche il sorgere di codici morali diversi, il potere politico si affrancava definitivamente da quello religioso, man mano le istituzioni sanitarie e scolastiche divennero laiche.

Già nel XIX secolo, nella maggior parte dei paesi europei, la “presa” ecclesiale sulla società era ridotta a fatto residuale, per diventare del tutto marginale nel secolo successivo. La Chiesa, nonostante tutto, ha proseguito nel suo ruolo di “Mater et Magistra”, senza curarsi del crescente disinteresse dei suoi stessi fedeli. E’ per lo meno dubbio che la maggioranza dei cattolici conosca i principali dogmi (da quello trinitario al culto mariano alla natura umana e divina di Cristo ecc.) se non per averle orecchiate durante l’infanzia o l’adolescenza e di cui serba una memoria abbastanza sfuocata. La pratica dei sacramenti ormai riguarda una parte del tutto minoritaria dei fedeli (soprattutto la pratica della confessione) mentre la stessa frequenza alla messa domenicale (almeno in Europa) riguarda molto meno di un quinto dei fedeli. Quanto alla morale, la grande maggioranza dei cattolici si comporta esattamente come tutti gli altri, in particolare per quel che attiene alla morale sessuale e matrimoniale.

Benedetto XVI coltivò il disegno della “ri-evangelizzazione d’Europa” ma, a quanto pare senza il minimo risultato. Per di più, la Chiesa ha perso molta della sua credibilità per i troppi scandali sessuali e finanziari, per l’inaudito ed ingiustificabile lusso della Curia, per l’opportunistico silenzio di fronte a clamorose ingiustizie. Su questa strada, il futuro più probabile della Chiesa è quello di una setta povera di credenti ma ricchissima di denaro e potere, destinata comunque a scomparire.

Papa Francesco sta cercando un destino diverso per la sua Chiesa, accettando anche un secco ridimensionamento del suo potere finanziario e del suo apparato. Come si è capito, Bergoglio non ha nessun particolare interesse per la teologia dommatica, quanto alla morale egli ha accettato implicitamente che i fedeli si regolino individualmente in un personale dialogo con Dio (“Chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?”) e, infatti, apre su tempi come la comunione ai divorziati.

Sintomaticamente, il giubileo è indetto all’insegna del perdono e dell’accoglienza in Chiesa anche dei gay, dei divorziati e di ogni altro peccatore. Bergoglio centra la sua attenzione sulla funzione pastorale della Chiesa, riprendendo il tema centrale del Vaticano II, il cui cinquantenario celebra con questo giubileo.

Ridimensionando la funzione di ministero teologico e morale, Bergoglio ripropone la Chiesa come portatrice di una particolare visione antropologica. Non i dogmi stratificati in duemila anni, ma l’antropologia cristiana sono il centro del discorso della Chiesa di Bergoglio. Questo potrebbe essere un discorso puramente religioso, di interesse per i membri della Chiesa cattolica, ma che potrebbe riscuotere limitato interesse da parte dei laici e non credenti (come chi scrive queste riflessioni), ma, a parte il fatto che una evoluzione interna alla principale confessione organizzata del Mondo è pur sempre un discorso di interesse generale, non sfuggano le implicazioni geopolitiche di questa svolta.

Infatti, in questo modo, Bergoglio lancia la Chiesa come principale agenzia di mediazione culturale nel mondo globalizzato. Sarà interessante, a questo proposito, notare se nei prossimi discorsi riprenderà il tema dell’inculturazione che fu uno dei principali nel Vaticano II.

Ovviamente, questo mutamento di funzione non è indolore per la Chiesa ed impone una svolta organizzativa che va verso una autonomizzazione delle Chiese locali che hanno un loro punto di riferimento unitario nel Papa ma senza più la necessaria mediazione della Curia (“L’ultima corte europea” l’ha definita). In una struttura di questo tipo, il Papa esercita un ruolo soprattutto carismatico che non ha bisogno di un apparato elitario come la Curia.

E’ comprensibile che i diretti interessati non siano così disposti a rinunciare al loro ruolo ed ai connessi privilegi. E si capisce anche come mai lo scontro verta soprattutto sullo Ior che è la garanzia della sopravvivenza economica del sistema. Francesco, forse, ha mandato a dire che i tempi sono brevi, non solo quelli del suo pontificato.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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