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Per il Governo Internet è il competitor economico da fermare

L’Italia è uno dei Paesi in Europa e, forse, persino nel mondo nel quale la pacifica rivoluzione dei nuovi media, Internet in testa, ha, sin qui, lasciato meno il segno.

I cittadini italiani – lo raccontano in modo inequivocabile i dati sull’attuazione dell’agenda digitale pubblicati dalla Commissione Europea – sono tra gli ultimi in Europa in termini di utilizzo regolare di Internet e, sfortunatamente, televisione e giornali di ieri, continuano a rappresentare il principale veicolo di orientamento politico e controllo delle masse.
 
Un destino frutto solo del caso? Siamo meno moderni degli altri? Meno aperti ai cambiamenti magari per colpa del nostro semi-isolamento geografico causato dal nostro essere una penisola? La nostra TV ed i nostri giornali sono così tanto ricchi di informazione libera e pluralista da non aver fatto avvertire – almeno sin qui – ai cittadini l’esigenza di accedere ed utilizzare Internet?
Nulla di tutto questo.
 
L’arretratezza del nostro Paese e la marginalità con la quale l’Italia sta vivendo la rivoluzione mediatica in atto è, piuttosto, figlia di una scelta politico-economico scientifica – anche se miope – e precisa assunta dai Signori del tele-comando a tutela del loro tele-governo e del proprio portafoglio.
 
Più cittadini lasciano la TV per Internet e più loro perdono il controllo politico ed assistono impotenti al trasferimento degli investimenti pubblicitari altrove, sulle grandi piattaforme e nei grandi circuiti di advertising online.
 
E’ difficile, a ricostruire così lo scenario italiano, trovare una sola buona ragione per la quale il Governo di questo Paese dovrebbe investire un solo euro nella realizzazione delle risorse di connettività a banda larga, nell’alfabetizzazione informatica della popolazione e, più in generale, nella diffusione di Internet.
 
Internet è destinata ad erodere la sua posizione di forza mediatica, politica ed economica attraverso un processo naturale ed inarrestabile, Internet è il competitor economico da fermare e, Internet, è soprattutto lo strumento politico alternativo, quello che mancava per consentire al Sig. Bianchi di parlare ad oltre 30 milioni di italiani senza bisogno di chiedere permesso a chi siede nelle stanze dei bottoni del duopolio Raiset.
 
E’ questo il contesto nel quale va inserita la delibera che l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni – una delle tante Autorità semi-indipendenti alla quale lo Stato, con la scusa di un’indipendenza che non c’è, ha progressivamente appaltato ruoli e funzioni sproporzionati rispetto alla condizionabilità delle dinamiche che dovrebbero garantirne la vera indipendenza – in materia, almeno sulla carta, di enforcement dei diritti d’autore.
 
Quello che sta per accadere, in Via Isonzo, è che un pugno – stiamo parlando di quattro o cinque persone – di politici mancati (n.d.r. o forse, invece, perfettamente riusciti per gli standard italiani) si arrogheranno il diritto di decidere in assoluta autonomia cosa e giusto e sbagliato venga trasmesso nella Rete italiana, si riserveranno il potere di vita e di morte su ogni bit di informazione e creatività che, ognuno dei quasi 60 milioni di cittadini italiani, deciderà di condividere in Rete.
 
Una stessa Autorità, semi-indipendente che scrive le regole, le attua e le applica, riunendo su un solo tavolo, i tre poteri dello Stato: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario.
 
E’ un caso di scuola – credo lo si utilizzi ancora nei corsi di educazione civica – di ciò che non deve mai accadere in un ordinamento democratico e di ciò che, invece, caratterizza i regimi oligarchici e dittatoriali.
 
Ancora per qualche ora, val la pena di dire, con forza, “no” alla Delibera che AGCOM si avvia ad adottare.
 
Tra qualche ora, invece, se le parole non saranno servite, non resterà che utilizzare il diritto per delegittimare l’operato di un’Autorità che se legherà il suo nome a quello di uno dei provvedimenti più antidemocratici che il Paese abbia mai conosciuto, evidentemente, si chiamerà fuori dalla nostra straordinaria democrazia.

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