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Pensare locale, pensare provinciale

La FAO, l’organizzazione dell’Onu che si occupa di agricoltura ed alimentazione, comunica che il suo indice mensile dei prezzi alimentari ha segnato in agosto il quinto calo consecutivo. Siamo quindi in presenza di pressioni deflazionistiche dal versante della componente food, che peraltro si associano anche a quelle della componente energy. Ma prima di invocare “la crisi” come determinante della tendenza negli alimentari occorre aguzzare la vista, e spingerla oltre il cortile di casa.

Le cause della perdurante flessione dei prezzi globali dei prodotti agricoli ed alimentari le trovate elencate nel comunicato della FAO. Il 2014 si sta rivelando un anno record per la produzione di grano (soprattutto per Cina, Federazione Russa, Ucraina e Stati Uniti), con tutto quello che ne consegue in termini di pressioni ribassiste sui prezzi, mentre sono in corso continue revisioni al rialzo delle previsioni sui raccolti cerealicoli, con il livello di scorte che quest’anno dovrebbe toccare i massimi da 15 anni.

I prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono stati depressi, secondo la FAO, dai divieti di import imposti dalla Russia e comunque da abbondanti forniture all’export, che non hanno trovato pronto assorbimento. Segnalato anche un indebolimento delle importazioni di latte intero in polvere dalla Cina. In controtendenza il prezzo di carne e riso: la produzione di quest’ultimo, pur se abbondante, appare concentrata in un numero abbastanza ristretto di paesi, e spesso sottoposta a controllo pubblico degli stoccaggi (eclatante è il caso thailandese), quindi con maggiori margini di manovra in termini di manipolazione dei prezzi sui mercati globali.

Tutto ciò premesso, e non prima di avervi segnalato che i prezzi della soia appaiono molto depressi e stanno mettendo nei guai la povera Argentina, con la sua disperata fame di dollari, riteniamo utile mostrarvi la chiave di lettura locale e dickensiana che la nostra Coldiretti ha dato di un fenomeno che appare al momento eminentemente globale. C’è tutto, in questo grido di dolore: la tendenza storica cedente in termini reali, in atto dal 2006 (anche qui, nessuna variabile di controllo in termini di confronti globali); il presunto drammatico crollo della qualità della nostra spesa alimentare, che immaginiamo presto porterà a mostrare italiani che condiscono la verdura con lubrificante per motori rigorosamente esausto; la neppure troppo subliminale pulsioncina protezionistico-patriottica; la strusciata di ordinanza al governo, con il bonus Renzi che nell’ultima parte dell’anno planerà sulla popolazione sofferente, nutrendola.

Eppure, basterebbe buttare un occhio sui mercati mondiali. Troppo difficile, evidentemente. L’ombelico e la sua ossessiva contemplazione sono ormai divenuti il prodotto tipico dell’economia italiana. E pure della sua tavola.

P.S. Siamo comunque lieti di queste flessioni del Food Price Index FAO, che ci evitano le abituali reprimende sul capitalismo affamatore planetario di poveri e deboli. Non tutte le deflazioni vengono per nuocere. Ma questo lo sapevamo già.

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