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Pape Diaw: "Dopo la morte dei due senegalesi, tutto è tornato come prima"

Ad un mese dalla morte dei due senegalesi a Firenze, nulla è cambiato e Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese, denuncia il silenzio della politica, la necessità di ricostruire punti di aggregazione, di lavorare nelle scuole, perché la vita delle persone non può aspettare.

E' il 13 dicembre 2011 quando Gianluca Casseri spara su un gruppo di ambulanti senegalesi, nel mercato di piazza Dalmazia, a Firenze: due morti e un ferito gravissimo, questo il bilancio. Non ancora pago, Gianluca si dirige al mercato di San Lorenzo, nel centro della città, e ferisce due ambulanti. Quando si accorge di essere accerchiato dalla polizia, si toglie la vita con una 357 Magnum.

Ci sono tutti in piazza il 17 dicembre a Firenze, Milano, Bologna, Napoli. I volti più o meno noti della politica pronti ad usare frasi ad effetto, slogan che sanno di campagna elettorale, parole retoriche. E dopo lo shock, lo stupore, le manifestazioni, la paura e la rabbia, ora il silenzio. Il silenzio delle istituzioni, della politica, di chi dovrebbe e potrebbe far qualcosa.

Ma loro no, loro non tacciono, perché la morte è necessario che abbia un senso, perché la morte deve servire a cambiare qualcosa, perché da una tragedia può nascere una possibilità. 

“Non si può essere buoni solo a Natale. Bisogna esserlo tutto l'anno. Chiediamo perciò che il Governo risponda concretamente. Gli chiediamo leggi severe contro il razzismo e la discriminazione razziale", aveva tuonato il portavoce della comunità senegalese, Pape Diaw, che nei giorni successivi alla strage aveva chiesto la chiusura di Casapound (Centro sociale di ispirazione fascista – ndr), frequentata da Casseri e aveva rivolto parole dure alla Lega Nord: "Bisogna lavorare davvero per la convivenza pacifica e il rispetto delle persone, ma deve essere una lotta vera, non di facciata. C'è però un partito che si richiama alle radici cristiane ma fomenta l'odio razziale".

Ad un mese dalla morte di due senegalesi a Firenze, cosa è cambiato?

“Diciamo che, per quello che riguarda la Toscana – spiega Pape Diew -, dal giorno successivo alla manifestazione ho notato una apertura positiva ed abbiamo cominciato ad andare nelle scuole a sensibilizzare i ragazzi, perché la scuola è un luogo di formazione importante. Ogni giorno incontriamo gli studenti. Si tratta di un primo inizio. E devo dire che nella mentalità delle persone qualche cosina sta cambiando. Ma, riguardo a ciò che noi chiediamo, la politica non ha ancora dato nessuna risposta. Noi chiedevamo dei cambiamenti legislativi e non c’è ancora nulla. Stiamo chiedendo un incontro con diversi ministri, che speriamo di ottenere a breve”.

Dopo il clamore il silenzio?

“Dopo il clamore tutto è tornato come prima. Ma ciò che ci stiamo domandando ora è come aiutare nell’immediato le famiglie dei due morti. E capire se c’è qualche ente che possa assumersi l’onere di garantire una minima copertura finanziaria. Ciò di cui, purtroppo, non si parla minimamente è il discorso sul razzismo. Spero che le cose cambino. Noi, comunque, facciamo in modo che cambino”.

Il Governo Monti quali speranze vi dà rispetto al precedente Governo Berlusconi? Avete notato delle differenze, un maggiore impegno?

“Per ora dobbiamo dire che si stanno comportando come tutti i politici. L’unica cosa è che quando il Ministro degli Interni è venuto qui, ha pronunciato un discorso che era più di 15 anni che non sentivo, mi ha colpito il suo linguaggio da un punto di vista umano. Ma dobbiamo andare oltre i segnali e le parole: dobbiamo passare ai fatti. Ciò che è capitato capisco che è avvenuto in un momento molto difficile. Ma anche la vita delle persone non può più aspettare: non vogliamo che accada”.

Avete chiesto la chiusura di Casapound: avete ricevuto risposte positive?

“Per ora non abbiamo risposte, ma noi ci stiamo consultando con i legali. Anche senza il Governo, faremo la nostra battaglia contro tutti quei luoghi che sono veicolo di violenza”.

Cosa è cambiato negli occhi della gente?

“La cosa è che mi ha più colpito è proprio la gente che ci guarda con altri occhi. Questo è positivo: è fondamentale l’antropologia visiva che si percepisce per la strada. Ma ora tocca alla politica e noi non dobbiamo aspettare i suoi tempi, perché questa gente non sia morta inutilmente. Non si può perdere questo momento”.

Su quale punto state lavorando?

“Ci siamo resi conto che manca un luogo di aggregazione, dobbiamo tornare a ricostruire quegli spazi in cui la gente si ritrovava per parlare, per confrontarsi. Luoghi che esistevano e che negli ultimi 10 anni sono scomparsi. Inoltre, anche noi senegalesi, se prima eravamo in rete, a livello nazionale, con gli anni ci siamo disgregati. Dobbiamo quindi riorganizzarci. Dopo dicembre molti cittadini a Firenze, e non solo, hanno offerto degli spazi per permetterci di incontrarci. Ma ciò che propongo io è la nascita di centri multiculturali aperti a tutti. Non solo fatta da senegalesi. Dobbiamo ricreare la rete del 1990”.

Perché si è disgregata?

“La colpa è nostra. Forse ci siamo troppo politicizzati. Qualcuno vuole rimanere presidente a vita. Abbiamo imparato il peggio degli italiani e ci siamo chiusi in un individualismo esasperato. E dopo 20 anni, vedendo questa disgregazione, ti passa la voglia. Eravamo più compatti negli anni Novanta. C’è una crisi generazionale”.

La stessa crisi che si vede tra i giovani italiani?

“Sì, anche tra i nostri dobbiamo ricreare fiducia. I giovani con gli anziani non si capiscono. Ci dobbiamo riunire. Dobbiamo cercare di formare e accompagnare i giovani e farli innamorare della politica, della partecipazione”.

Che senso ha la parola integrazione?

“L’integrazione non significa niente in Italia. Ed è una parola che non piace affatto. È assimilazione. Dobbiamo cercare un altro significato”.

Come è cambiata la gente verso lo straniero?

“Per noi le cose sono cambiate. Quando sono arrivato in Italia io, la gente aveva paura. Ora i ragazzi non ti guardano più nemmeno, non ci fanno caso. Questo non basta: possono anche essere cambiati gli sguardi, ma se non cambiano gli atteggiamenti”.

Cosa è cambiato in Italia in questi 30 anni da quando lei vive qui? Siamo sempre stati elogiati per la nostra ospitalità, eppure...

E’ tutto il nostro sistema sociale che è crollato. Il discorso di accoglienza valeva fino agli anni Novanta. Ora c’è una disgregazione e la crisi renderà tutto più difficile. Siamo egoisti e ognuno guarda il suo. E la crisi è economica, di valori e di etica. Abbiamo un po’ da ripensare il nostro modello. L’accoglienza, l’ospitalità non sfamano chi muore di fame. Accogliere significa condividere, tornare a riscoprire.

Dobbiamo riscoprire quella parola e lavorare dal basso. Ognuno di noi è responsabile. Dobbiamo riscoprire i luoghi di aggregazione, la bottega, la parrocchia. E anche il microcredito che è nato a Napoli, non in Africa come tanti pensano: perché non lo rilanciamo nei nostri quartieri? Abbiamo molto lavoro da fare se vogliamo cambiare il nostro Paese. E ricordiamo che ci sono italiani splendidi”.

Quando è arrivato lei in Italia?

Trentadue anni fa per motivi di studio. E devo dire che, secondo me, dal punto di vista sociale, l’Italia è andata indietro. Ed io sono rimasto qui proprio perché c’erano italiani stupendi. Sarei potuto andare in Francia e guadagnare 7 volte di più, ma non ho voluto. Ora, però, l’Italia non la riconosco più, l’italiano non lo riconosco più. Abbiamo seguito il progresso economico e ci siamo dimenticati degli uomini. Al mio arrivo, mi hanno cresciuto mamme che non ci sono più. Rivoglio quelle mamme. Rivoglio quegli italiani”.

Hanno senso le manifestazioni o i cammini di pace, come lei li chiama?

“Una marcia silenziosa è una marcia di riflessione dove tutti camminano per riflette insieme, un po’ come la Marcia per la Pace Perugia-Assisi alla quale noi abbiamo sempre partecipato. Nel silenzio c’è la domanda”.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.37) 23 gennaio 2012 20:27

    L’intervista è bella, profonda, opportuna. Anche se Pape Diaw, che in gran parte ha ragione, la fa un po’ fuori dal vaso.

    Resta una domanda a noi lettori. Sicuro che Casseri non poteva essere fermato prima?

    Più in generale, qualcuno uno volta ironizzò: è marcia la pace?

    Lupo Vecchio

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