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 Home page > Attualità > Politica > Otto per mille allo Stato, la pubblicità che non vedremo

Otto per mille allo Stato, la pubblicità che non vedremo

«C’è un patrimonio da portare alla luce, c’è un patrimonio da tutelare, c’è un patrimonio da restaurare, c’è un patrimonio da studiare… e c’è un patrimonio che continua a sorprendere. È il tuo patrimonio culturale». 

Quello che avete appena letto è parte del testo di un rarissimo esemplare di spot istituzionale che invita i cittadini contribuenti a destinare l’8 per mille in favore dello Stato firmando nell’apposito riquadro della dichiarazione dei redditi. Lo spot risale al 2021, è stato realizzato dal Ministero della Cultura e il video è stato pubblicato su YouTube. Niente tv pubblica, niente tv privata, ma YouTube dove, in due anni, ha racimolato ben 701 visualizzazioni. Un successone, non c’è che dire, considerando che mediamente i contribuenti ogni anno sono oltre 41 milioni di euro. Questa breve ma significativa (e triste) storia ci ricorda che, come accade ogni anno in questo periodo da oltre 20 anni, lo Stato (cioè il governo in carica) si è nuovamente “dimenticato” di informare adeguatamente i cittadini circa la possibilità di assegnare l’8 per mille della propria dichiarazione dei redditi alla diretta gestione statale. Qualcuno in queste settimane ha per caso avuto la fortuna di intercettare una qualsivoglia forma di pubblicità televisiva, cartacea, via social e altro “timbrata” Palazzo Chigi? Immaginiamo, purtroppo, la risposta.

Quest’anno l’indifferenza del governo di turno alla questione è, se possibile, ancora più odiosa ed è presto detto perché. Apponendo la firma nel box dedicato allo “Stato” è possibile infatti anche indicare il codice per una delle cinque destinazioni specifiche: 1. Fame nel mondo, 2. Calamità naturali, 3. Edilizia scolastica, 4. Assistenza ai rifugiati, 5. Beni culturali. Ebbene, a cosa ci riferiamo? Concentriamoci sul punto 2 e pensiamo a quanto accaduto il 19 maggio e giorni seguenti in Emilia Romagna. Un’alluvione accompagnata da oltre 300 frane che ha provocato in poco tempo almeno 15 vittime, decine di migliaia di sfollati, colture devastate, case distrutte, oltre 500 strade interrotte. In poche parole: devastazione, terrore e danni per miliardi. Come è noto la macchina dell’assistenza e della solidarietà si è immediatamente messa in moto e da tutta Italia sono giunti migliaia di volontari per aiutare la popolazione in difficoltà. Ovviamente Roma, da parte sua, ha decretato lo stato di emergenza e stanziato fondi. Ma quale migliore occasione – anche per la regione e le amministrazioni locali – per incrementarli, o quanto meno per sensibilizzare i cittadini, “pubblicizzando” la possibilità di dare una mano concreta anche a prevenire future (e purtroppo certe) calamità naturali attraverso, appunto, l’apposita voce dell’8 per mille?

Il punto 2. è così descritto sul sito del Governo: «Interventi che si rendono necessari in caso di calamità naturali, diretti all’attività di realizzazione di opere, lavori, studi, monitoraggi finalizzati alla tutela della pubblica incolumità da fenomeni geomorfologici, idraulici, valanghivi, meteorologici, di incendi boschivi e sismici, nonché al ripristino di beni pubblici, ivi inclusi i beni culturali». Non ricalca fedelmente la situazione che si è venuta a creare nel ravennate? Non ricorda drammaticamente quanto accaduto a Senigallia nel settembre del 2022? Quello di fine estate scorsa nelle Marche è stato uno dei 310 fenomeni climatici estremi del 2022, il 55% in più rispetto all’anno precedente (fonte Legambiente), eppure nemmeno di fronte a queste evidenze “lo Stato” ha pensato bene di rompere il silenzio circa la possibilità che hanno i 41 milioni di contribuenti di destinare una parte della ricca torta dell’8 per mille a interventi concreti di matrice laica.

A nulla evidentemente sono servite le quattro successive sonore bocciature da parte della Corte dei Conti, l’ultima nel novembre del 2018 quando l’organo costituzionale nella relazione annuale ha fatto notare senza mezzi termini che «lo Stato mostra disinteresse per la quota di propria competenza». Eppure, per dirla con Totò, non si tratta di bruscolini. In base agli ultimi dati disponibili, l’8 per mille Irpef 2018 ripartito nel 2022 ammonta a un miliardo e 400 milioni. Di questa somma solo 50 milioni sui 237 incassati dallo Stato in base alle scelte dirette espresse (circa il 7% dei contribuenti: 2,8 milioni di persone) sono andati alle 5 voci di cui abbiamo parlato. E nel decreto di ripartizione del 16 maggio del 2022 (l’ultimo emesso in tema) leggiamo che la “quota disponibile per la categoria Calamità naturali” è pari a poco meno di 12 milioni di euro (11.838.307,59€). Per farsi un’idea, la Conferenza episcopale ha ricevuto il 31,8% delle firme (grazie anche a una pubblicità martellante) e nelle casse della Cei è confluito oltre un miliardo. Ovviamente questa somma mostruosa è frutto del perverso meccanismo di ripartizione dell’inoptato, cioè delle scelte non espresse in sede di dichiarazione dei redditi che sempre la Corte dei conti ha più volte “invitato” a modificare giacché «ognuno è coinvolto, indipendentemente dalla propria volontà, nel finanziamento delle confessioni». E il risultato è che il 77% dell’8 per mille è stato intascato dalla Chiesa. Scelte che non vengono espresse anche e soprattutto perché, ribadiamo, «lo Stato mostra disinteresse per la quota di propria competenza».

Sicché dopo oltre 30 anni dall’entrata in vigore della legge che ha istituito l’8 per mille in tanti sono ancora convinti che non indicando un beneficiario i soldi prendano automaticamente la direzione delle casse statali. Se proprio non sono maturi i tempi, politicamente parlando, per modificare la legge 222/85 che ha introdotto l’8 per mille poi entrato in vigore nel 1990, il rapporto con la realtà impone allo Stato come minimo di informare adeguatamente i cittadini. Non è ora di cambiare atteggiamento?

Federico Tulli

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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