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Oggi e sempre: Obiezione!

A 40 anni dall'approvazione della legge che introduceva in Italia l'obiezione di coscienza al servizio militare, ripercorrerò (sono stato tra i primi obiettori a svolgere il servizio civile a Napoli) quella stagione di battaglie antimilitariste e nonviolente. Da allora molte cose sono cambiate ed anche le conquiste del movimento per la pace e la difesa civile e nonviolenta sono state a poco a poco svuotate e vanificate. Ma chi è obiettore lo resta sempre, per testimoniare che un'alternativa c'è alla guerra ed alla violenza.

Sono passati 40 anni dal lontano 15 dicembre in cui il Parlamento approvò la c.d. “Legge Marcora” (n. 772/1972), con la quale la Repubblica Italiana riconosceva, pur con riserve e taglio punitivo, il diritto d’un giovane a fareobiezione di coscienza” al servizio militare di leva, senza per questo finire in prigione. Me ne sono reso conto, in effetti, solo quando mi è giunto l’invito al meritorio convegno organizzato a Firenze in questi giorni (15-16 dicembre 2012) dal Movimento Nonviolento e dal CNESC, il cui titolo è particolarmente stimolante: “Avrei (ancora) un’obiezione! Dal carcere al servizio civile. Percorsi per una difesa civile, non armata, nonviolenta”.

Per ragioni di lavoro e familiari, non ho potuto parteciparvi e me ne dispiace non poco, visto che sarebbe stata una bella occasione per incontrare, dopo tanti anni, persone che sono state compagni di strada per un non breve periodo della mia vita. Erano, infatti, gli anni in cui ho partecipato attivamente alle iniziative del Movimento Nonviolento e del M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) e, soprattutto, quelli della mia militanza nella L.O.C. (Lega degli Obiettori di Coscienza), di cui sono stato coordinatore per Napoli e la Campania e, nel 1977, membro della Segreteria Nazionale.

Erano gli anni (1975-77) del mio servizio civile presso il centro comunitario della Casa dello Scugnizzo, un’esperienza che mi ha maturato e segnato a lungo, dando il via al mio impegno sociale. La mia natura, d’altra parte, mi porta ad essere poco nostalgico ed i ricordi m’interpellano solo perché mi costringono a fare dei bilanci. C’è da chiedersi, infatti, che cos’è rimasto, dopo 40 anni, di quell’esperienza antimilitarista e nonviolenta. Dove sono finiti quelli che allora, come me, rivendicavano il diritto non solo ad obiettare, ma a svolgere un servizio civile veramente ‘alternativo’? Dove e perché si è arenato il travagliato percorso che aveva portato l’Italia ad essere uno dei pochi paesi dotati di una legge sulla difesa civile, non armata e nonviolenta?

Stamattina – nel corso dell’esibizione dell’orchestra composta dai ragazzi/e della scuola media dove insegno – è stata eseguita la nota canzone di J. Lennon e Y. Ono: “War is over” (la guerra è superata). Ebbene, in quel momento, mentre a Firenze stavano iniziando i lavori del convegno, mi sono chiesto se quella frase abbia ancora senso, o se non ci resta che cantare: “Peace is over".

 Certo, è difficile spiegare a chi non ha vissuto quella stagione di battaglie e di speranze che cosa cercava di costruire quel gruppo di persone che – pur partendo da ispirazioni molto diverse – aveva trasformato la propria scelta personale in un’obiezione più generale al complesso militare-industriale e al concetto stesso di difesa della patria col fucile in mano. Non si trattava di marciare per la pace o di svolgere un qualunque servizio sostitutivo, pur di schivare la morsa d’un anno di naja (versione abbreviata del veneto tenaja, cioè “tenaglia”). L’ambizione, allora, era quella di fare della nostra Repubblica un Paese degno della sua Costituzione, che all’art. 11 recita “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Una Costituzione che, quando all’art. 52 recita che: “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” non ne esclude affatto una caratterizzazione alternativa a quella di tipo militare, come sarà sancito in seguito dalla stessa Corte Costituzionale.

Per anni ho detto e scritto che il solo servizio civile non era sufficiente a qualificare quella scelta ed a costruire la pace dal basso. Bisognava passare, insistevo, dalla pura e semplice ‘obiezione di coscienza’ ad una vera ‘coscienza dell’obiezione’. Però allora non avrei immaginato che sarebbe giunto il tempo in cui, con l’abolizione del servizio militare di leva, sarebbe stato spazzato via anche il servizio civile e, con esso, il diritto/dovere ad obiettare ad uno stato dove una finta difesa divora risorse destinabili ad uno sviluppo equo, solidale ed ecologicamente sostenibile. Sì, sono stati anni di lotte nonviolente, di azioni dirette, di manifestazioni ma, soprattutto, di discussioni e di elaborazioni di un modello alternativo ma realistico di difesa, ispirandosi al satyagraha gandhiano, ma anche alla nonviolenza di Capitini ed alle proposte di Ebert, Sharp, Muller, Galtung e tanti altri teorici di un’impostazione sociale, oltre che non-armata, di resistenza.

Sono stati anni in cui sarebbe stato forse opportuno evitare di parcellizzarsi eccessivamente in base a troppi distinguo ideologici, ponendo le basi d’un movimento debole, un po’ elitario e scarsamente capace d’interagire con forze politiche ed istituzioni. Purtroppo i risultati si sono visti in seguito quando, parallelamente ad un positivo percorso legislativo per riconoscere l’o.d.c. come diritto positivo a svolgere per il proprio Paese il servizio ritenuto più idoneo e coerente,sono andate avanti l’istituzionalizzazione del servizio civile ed un contraddittorio iter di riconoscimento giuridico della difesa civile e senza armi come componente della solita “Difesa”, in uniforme e stellette. Fatto sta che quelle norme, sancite dalla legge n. 230/1998, si areneranno solo un paio di anni dopo con l’approvazione della legge n. 331/2000, che istituiva il servizio militare professionale e, nel giro di altri 4 anni, porterà a quella n. 226/2004, che ‘sospendeva’ il servizio militare obbligatorio, quando già era stata approvata la legge n. 64/2001, che dava vita al “servizio civile nazionale”.

In pochi anni, quindi, di obiezione di coscienza, non si è sentito più neanche parlare, mentre il sistema italiano di difesa ha continuato a procedere esclusivamente in direzione dell’accresciuta efficienza, professionalità e flessibilità delle forze armate – imposta dalla NATO – lasciando arenare l’opzione civile e non armata nelle secche della burocrazia e dell’ostilità delle gerarchie militari. “Conscientious objection is over?” – verrebbe da commentare, se ciò non suonasse quasi offensivo di fronte alla testarda tenacia di amici e compagni che, nonostante tutto, hanno continuato ad impegnarsi ed a testimoniare le loro idee.

Lo hanno fatto nelle poche organizzazioni pacifiste e nonviolente rimaste, oppure si sono dedicati a quei peace studies che anche in Italia hanno trovato una discreta diffusione a livello accademico. Il guaio è che tutto ciò, purtroppo, non è bastato a rianimare un movimento per la pace sempre più asfittico, residuale e stretto fra priorità e compatibilità della realpolitik ed un’opinione pubblica spaventosamente disinformata, distratta e poco consapevole, nonostante la rivoluzione della multimedialità e l’informazione globalizzata. Il grande fratello mediatico, al contrario, è servito a diffondere in modo pervasivo il pensiero unico di una pseudociviltà neocapitalista, che produce saccheggi ambientali, disparità economiche ed ingiustizie sociali e poi attiva il suo sistema repressivo, in nome d’una difesa sempre più aggressiva ed esplicitamente finalizzata a salvaguardare i propri interessi.

Lo so: state pensando che parlo come un vecchio sessantottino, ancorato anacronisticamente a vecchie ideologie ed a visioni utopistiche. Beh, non mi offendo anzi, tutto sommato, sono fiero che questi 40 anni non mi abbiano privato delle mie convinzioni, pur spingendomi ad adattarle ad un contesto sicuramente molto diverso. Mai come adesso, comunque, appare evidente il dramma d’una società sempre più etero-diretta e militarizzata, dove si combattono guerre sanguinose chiamandole “missioni di pace” e si è giunti ad impiegare l’esercito per difendere orribili discariche di rifiuti da pericolosi cittadini che non le vogliono più subire passivamente. Mai come adesso – se non ci si è lasciati spappolare del tutto il cervello dall’idiozia dei luoghi comuni e dell’informazione a senso unico – è impossibile non notare che, mentre la scure dei tagli governativi si è abbattuta su istruzione sanità e servizi sociali, la spesa militare italiana è stata addirittura aumentata del 5,3% per i prossimi cinque anni. Mai come adesso chi, come me, abita in Campania resta maledettamente stretto nella morsa dell’occupazione militare di NATO ed USA che, dopo 60 anni, consolidano addirittura la loro ingombrante e non richiesta protezione armata.

“Che fare?” si sarebbe chiesto l’attivista politico d’una volta. Certo, oggi potrebbe apparire un po’ patetico, coi suoi volantini ed il suo megafono, mentre i veri politici twittano o si azzuffano nei salotti; mentre sugli schermi televisivi scorrono le immagini delle varie ‘primarie’ o ammiccano le facce di colorati leader in cerca di seguaci, cui non hanno più uno straccio d’idea da proporre. Che fare?, però, è una domanda che merita risposta e credo che quel che resta del movimento per la pace non possa più tergiversare, se non vuol esaurire del tutto la propria capacità di analisi e di proposta alternativa ad una società sempre più ingiusta e violenta.

Spero proprio che al convegno di Firenze non sia prevalsa la pur comprensibile tendenza al felliniano amarcord , ma si si sia riusciti a trovare le coordinate giuste per far ripartire le battaglie per una difesa civile, popolare e nonviolenta e per la smilitarizzazione del territorio. Per quanto mi riguarda, ho festeggiato l’anniversario della legge 772/1972 con un buon, vecchio, volantinaggio contro le spese militari ed il nuovo comando NATO di lago Patria nelle strade del quartiere dove abito e lavoro, in mezzo a bancarelle e melodie natalizie. “War is over?” Se lo vogliamo davvero non sarà più solo un augurio di circostanza.

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