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Occupazione e dati del governo. Propagazia o democraganda?

Ieri, sul Sole, una analisi di Claudio Tucci evidenzia tutta l’inconsistenza del frastuono propagandistico con cui un esecutivo di treccartari sta cercando di ficcarvi in gola il fatto che l’economia del paese sta producendo occupazione aggiuntiva. Conoscere per deliberare, come sempre.

Nell’analisi si dà conto del fatto che il quotidiano di Confindustria avrebbe esercitato pressioni sull’esecutivo per conoscere il dato delle cessazioni di rapporti di lavoro nel primo bimestre 2015 visto che, come noto, Poletti e Renzi hanno segnalato solo il dato delle attivazioni dei contratti a tempo indeterminato, che ha evidenziato un aumento di 79.000 unità sullo stesso periodo del 2014. Incremento ovviamente lordo, mancando appunto del corrispondente dato sulle cessazioni. Scrive quindi Tucci:

«Su pressing del Sole 24Ore l’esecutivo ha fornito anche i dati sulle “cessazioni” dei contratti stabili, che sempre nei primi due mesi dell’anno sono risultate anch’esse aumentate, facendo così scendere il saldo dei contratti a tempo indeterminato a quota 45.703. Un risultato, certamente, positivo»

Positivo, certo, ma comunque ridimensionato rispetto al “lordo”, e con un favorevole effetto confronto con un periodo (il primo bimestre 2014) in cui il mercato italiano del lavoro si trovava in condizioni pre-agoniche. Poi, ieri abbiamo avuto il dato sugli occupati a febbraio, elaborato da Istat, che ha mostrato un calo di 44.000 unità. Che può essere accaduto, quindi, fermo restando che tentare di quadrare le rilevazioni statistiche sull’occupazione con quelle sulle effettive attivazioni e cessazioni di rapporti di lavoro è attività metodologicamente stralunata? L’ipotesi di Tucci (e di quanti hanno una presina di sale in zucca) è semplice:

«Cosa sta accadendo, quindi, al mercato del lavoro? Che probabilmente le segnalazioni di maggiori assunzioni da parte delle imprese hanno riguardato soprattutto trasformazioni di contratti a tempo determinato, con un effetto, quindi, praticamente nullo sul numero degli occupati netti»

Questa l’ipotesi. Andiamo a testarla, verificando attivazioni e cessazioni dei contratti a tempo determinato:

«A gennaio-febbraio 2015 le cessazioni di contratti a termine sono state 491.090. Nello stesso periodo del 2014 ci si fermava a 436.773. Si registra quindi un incremento consistente di mancati rinnovi di rapporti a tempo pari a 54.317 contratti, che quindi potrebbero essere stati trasformati in contratti a tempo indeterminato, che dal 1 gennaio godono di un forte incentivo economico previsto dalla legge di Stabilità 2015 (una decontribuzione fino a 8.060 euro l’anno per tre anni)»

Quindi, nel confronto annuo, aumenta il numero di cessazioni di tempo determinato. Parte di quei rapporti potrebbero essere stati trasformati in tempo indeterminato, con la carota del maxi sussidio alla contribuzione. Incidentalmente, visto che stiamo vivisezionando dati di flusso (tale è il livello ossessivo di propaganda governativa su cui fare debunking), è utile sapere che, nel primo bimestre di quest’anno, sui contratti a tempo determinato sono aumentate le cessazioni ma anche le attivazioni (per circa 70.000 unità) sullo stesso periodo del 2014, verosimilmente grazie al decreto Poletti.

Ecco quindi, “con tutte le cautele del caso”, l’invito alle autorità:

«Quello che emerge, pertanto, e con tutte le cautele del caso, sembra essere un effetto “stabilizzazione” (più che nuova creazione di occupazione); e rispecchia peraltro quello che era legittimo attendersi (annunci troppo enfatici del Governo a parte). Per questo serve prudenza nei commenti, ed è necessario attendere che i dati si consolidino. Certo, sarebbe forse opportuno, anche, che ministero del Lavoro, Inps, Istat - e ogni altro soggetto istituzionale che fornisce numeri - si coordinino per analizzare congiuntamente i dati amministrativi e di indagine e fornire così un quadro integrato (e più chiaro) sull’andamento del mercato del lavoro»

Lei è troppo cauto e polite, caro Tucci. Perché qui siamo di fronte ad un problema che sta aggravandosi quanto più la ripresa economica tarda o - peggio - prende le fattezze di uno sbuffo ciclico di entità del tutto risibile a fronte di condizioni esterne (ripetiamo: esterne. Ancora: esterne) non ripetibili ed eccezionalmente favorevoli. Anche se i numeri potrebbero migliorare nei prossimi mesi. In paesi con una minore innumeracy e con un sistema dei media meno asservito, il comportamento di premier ed esponenti del governo sarebbe già emerso per quello che è: una grave manipolazione dei dati economici in funzione propagandistica. Di una propaganda assolutamente rozza e sterile, che alimenta le jam session a trombette e tamburi di scimmiette, cocoriti, disc jockey e cretinetti (ultima categoria aggiuntasi di recente) che non hanno contezza alcuna di quanto accade ma la cui funzione è quella di fare la ola. Anche questo è un drammatico spread di questo paese ed il marcatore più evidente della sua arretratezza, di analisi logica prima che economica.

Anche perché

«Per esempio, diversi esperti hanno evidenziato un andamento poco comprensibile dell’occupazione negli ultimi tre mesi del 2014, che è data in aumento secondo Istat, mentre il Pil è rimasto in terreno negativo. Ciò può voler dire che la produttività è calante»

Eh già. Eppure, basterebbe così poco: un approccio di comunicazione più sobrio e mirato a presentare gli obiettivi reali del Jobs Act (ridurre il precariato). Ma evidentemente qualcuno ha gravi deficit di autostima.

Foto: Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

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