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Venezia: Il Barbiere di Siviglia al Teatro Malibran

Tutta a righe la scena del Barbiere di Siviglia pensata da Bepi Morassi, come a righe era un tempo l’insegna a spirale dei negozi di barbiere, e molto curata nei costumi, negli arredi e nell’attrezzeria.

Sì, è vero, noi veneziani abbiamo già assistito a questo allestimento, ma chi può rinunciare ad un “Barbiere” a Carnevale? E così siamo tornati!

Già, Carnevale: quest’opera venne commissionata ad un Rossini appena ventitreenne proprio per il cartellone della stagione del Carnevale 1816 del Teatro Argentina di Roma.

In meno di dieci giorni Cesare Sterbini ne ricava il divertentissimo libretto dalla commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, mentre Rossini in una ventina di giorni consegna la partitura.

Numerosi furono gli autoimprestiti che tuttavia non devono scandalizzare poiché ciò era prassi consolidata soprattutto quando si trattava di dover consegnare in tempi così brevi.

La prima del 20 febbraio 1816 ebbe “esito infelice” come riportano le cronache e fu “solennemente fischiata” come scrive lo stesso Rossini alla madre, ma dalla seconda rappresentazione in poi riscuote il successo meritato e da quel momento sarà in scena sui palcoscenici di tutta Europa.

Per chi scrive è stato significativo assistere alla recita nel Teatro veneziano dedicato alla figlia del primo Conte di Almaviva, Maria Malibran che ci sorride dal cameo che sta sopra il palcoscenico.

Dopo la celeberrima sinfonia, la regia si mette subito all’opera con tanta teatralità: Fiorello fatica ad accendere la lanterna e strofina ripetutamente lo zolfanello sul pavimento del palcoscenico, caroselli, molta gestualità, ammiccamenti, gags, trovate spiritose che il pubblico apprezza.

Figaro fa il suo ingresso dalla platea, imbraccia la chitarra espressivamente per mimare la donnetta (sinuosa come la cassa) o il cavaliere (la tastiera all’altezza del pube). Le gag si moltiplicano e il pubblico si diverte un mondo, soprattutto quando non solo Don Bartolo porge ad un professore d’orchestra in buca lo spartito della sua “aria portentosa”. Quanto mi sei vicina amabile Rosina, ma anche quando alla fine dell’arietta scocca un bacio a Figaro che nel frattempo si è sostituito a Rosina!

“Incrostazioni” le avrebbe chiamate Massimo Mila, ma queste regie, in cui sono coinvolti pubblico e buca e dove tutti si divertono, fanno uscire appagati… e se un tempo si andava a teatro col libretto e la lucetta, ora coi sopratitoli si segue i testo e si gusta la scena senza staccare lo sguardo!

Il cast è di prim’ordine: il mezzosoprano Chiara Amarù, grassotta, genialotta, capello nero, guancia porporina, possiede un’agilità frizzante che le consente di rendere il personaggio assai aderente ai desiderata di Rossini. Omar Montanari, baritono, è un giovane che agisce mirabilmente da vecchio tutore, credibilissimo nelle intenzioni vocali. Nel ruolo del titolo il baritono Vincenzo Taormina che il “Factotum” lo è già stato alla Scala nel 2005…a completare il cast il tenore Maxim Mironov, Conte D’Almaviva; Luca Dell’Amico, Basilio e la Berta di Giovanna Donadini, anch’essi applauditissimi.

Il Coro istruito dal maestro Claudio Marino Moretti si immedesima bene nel ruolo della “Forza” .

Ha diretto l’abile orchestra del Teatro il maestro Stefano Rabaglia.

Il Finaletto II si conclude con una gran cornice che scende e racchiude in un tableau i cantanti: Berta e Don Basilio si abbracciano: il “casto connubio” dei due anzianotti si compie.

Scrosci di applausi, uscite numerose, dall’alto Maria Malibran sembra compiacersi…

Immagine via Teatro La Fenice

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