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Nuove Bolzaneto crescono: la realtà dei maltrattamenti in carcere

Coloro i quali pensino che le torture compiute dalle forze dell'ordine a Bolzaneto nel luglio 2001 rappresentino un caso isolato, dovranno necessariamente ricredersi dopo l'emissione della del sentenza 27 luglio 2012, n. 30780 da parte della VI sezione penale della Cassazione. 

Ecco i fatti. Due agenti di polizia penitenziaria del carcere di Asti erano soliti maltrattare alcuni detenuti, sottoponendoli a un regime di vita tormentoso e vessatorio, spogliandoli e rinchiudendoli in una cella priva di materasso, lavandino, sedie e vetri alle finestre (chiuse soltanto dopo un mese con del cellophane). Qui i reclusi venivano lasciati per due mesi (i primi giorni completamente nudi), tenuti rigidamente a pane e acqua e ripetutamente picchiati - anche più volte al giorno - con calci, pugni e schiaffi su tutto il corpo, fino a riportare lesioni non indifferenti (come la frattura di una costola ed ecchimosi diffuse in sede toracico-addominale). Addirittura i carcerati dovevano subire lo strappo a mani nude dei propri “codini” dei capelli.

Nonostante il reato commesso dagli agenti sia ormai prescritto (maltrattamenti di persona sottoposta all’autorità dell’agente o a lui affidata per ragione di vigilanza o custodia, commessi con abuso dei poteri inerenti a una pubblica funzione), i giudici tengono a sottolineare che i fatti sarebbero stati facilmente qualificati come tortura, se l’Italia avesse dato attuazione all'apposita Convenzione delle Nazioni Unite del 10 dicembre 1984, soltanto ratificata dal nostro Paese con la legge 3 novembre 1988, n. 498.

In ogni caso, la Cassazione ha ritenuto provato ogni oltre ragionevole dubbio che:

- nel carcere di Asti era stata instaurata una prassi di maltrattamenti dei detenuti più “problematici”;

- due di essi avevano subìto non solo singole vessazioni, ma una vera e propria tortura, durata per diversi giorni e posta in essere in modo scientifico e sistematico;

- i due agenti di polizia penitenziaria imputati avevano partecipato a (quasi) tutte le vessazioni fisiche, psicologiche e materiali arrecate ai carcerati. Insomma, all'interno delle mura del penitenziario piemontese alcuni rappresentanti dello Stato, nelle vesti di agenti di polizia penitenziaria, hanno messo ripetutamente e sistematicamente in atto una pluralità di pratiche persecutorie, violente, vessatorie, umilianti e denigranti ai danni dei detenuti, con la piena coscienza e volontà di sottoporli a notevoli sofferenze fisiche e morali.

Tale sistema criminale si è inoltre protratto per così lungo tempo da poter essere qualificato come "abituale". Nuove Bolzaneto crescono.

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