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Nigeria, quando il petrolio è una maledizione

Com’è che una popolazione che galleggia sopra il petrolio non solo non ne trae vantaggio ma è arrivata a maledirlo?

 

La domanda chiama in causa le responsabilità delle compagnie petrolifere e dei governi locali, le une interessate a trarre profitto dall’intensa attività estrattiva e gli altri inclini a non prendere le difese dei loro cittadini quando tali attività procurano gravi danni all’ambiente.

Torniamo a parlare della Nigeria, “una terra che perde, una terra che brucia”, in cui milioni di persone hanno imparato sin da piccole termini tecnici come oil spills e gas flaring.

 C’è infatti un aggiornamento rispetto a un post dello scorso 10 novembre. Amnesty International e il Centro per l’ambiente, i diritti umani e lo sviluppo (Cehrd) hanno ricevuto un rapporto indipendente secondo il quale una fuoriuscita di petrolio avvenuta nel 2008 nella zona di Bodo (una città di 69.000 abitanti del Delta del Niger), causata da un guasto a un oleodotto della Shell, fu assai più grave di quanto ammise la compagnia.

Le fonti sono tre, e notate le clamorose discrepanze.

Secondo i dati resi noti dalla Shell, la fuoriuscita iniziò il 5 ottobre 2008 e andarono persi in totale 1640 barili di petrolio. La società statunitense Accufacts Inc., in un’analisi che non è stata mai resa pubblica, stimò sulla base dei materiali filmati ricevuti che ogni giorno erano fuoriusciti da 1440 a 4320 barili di petrolio. Fate attenzione: non in totale, ma ogni giorno.

Il rapporto indipendente giunto ad Amnesty International e al Cehrd dice che fuoriuscirono da 103.000 a 311.000 barili di petrolio.

C’è un altro problema. Se tutti sono d’accordo che la Shell sistemò il danno il 7 novembre, ponendo fine alla perdita di petrolio, si discute sulla data d’inizio: per la Shell il 5 ottobre 2008, per gli abitanti di Bodo e l’organismo di controllo locale il 28 agosto.

Ci sono circa sei settimane di scarto, che però non giustificano l’abissale differenza: anche prendendo in considerazione la stima più bassa fornita da Accufats Inc., la quantità di petrolio fuoriuscita sarebbe 60 volte superiore a quella dichiarata dalla Shell. Anche se volessimo usare la data d’inizio fornita dalla Shell, il volume di petrolio fuoriuscito è assai maggiore di quello ammesso dalla compagnia.

Proviamo a convertire i barili in litri: la Shell parlava di poco più di 260.000 litri mentre la stima più bassa fornita da Accufacts Inc., ammesso che la fuoriuscita fosse iniziata quando dichiarato dalla Shell, sarebbe di 7 milioni e 800.000 litri. Prendendo come riferimento la data d’inizio della fuoriuscita fornita dai residenti e dall’organismo di controllo locale, i litri di petrolio fuoriusciti supererebbero 49 milioni.

Non finisce qui. A Bodo nel 2008 si verificò una seconda fuoriuscita, anche in questo caso per un difetto di funzionamento degli impianti della Shell. Iniziò il 7 dicembre e fu fermata solo il 19 febbraio 2009. Secondo la Shell fuoriuscirono2503 barili di petrolio su un’area di 10.000 metri quadrati. Il metodo per calcolare questo dato è sconosciuto. Secondo un rapporto d’indagine e la stessa comunità di Bodo, quella fuoriuscita fu persino più ampia della prima. Amnesty International e il Cehrd ritengono che la quantità di petrolio riferita per la seconda fuoriuscita di Bodo sia, a sua volta, probabilmente non corretta.

La grave sottovalutazione della fuoriuscita di Bodo ha implicazioni ancora più ampie: la Shell ha ripetutamente detto ai suoi investitori, ai clienti e ai mezzi d’informazione che la maggior parte delle fuoriuscite era dovuta a sabotaggio.

Questa tesi si regge sulle procedure d’indagine sulle fuoriuscite, che sono profondamente inadeguate e prive di attendibilità. Le cause delle fuoriuscite, la quantità di petrolio perso e altri importanti parametri come le date d’inizio delle fuoriuscite non sono registrati in alcun modo credibile.

Quello di Bodo è solo un esempio. Amnesty International e il Cehrd denuncia gravi manchevolezze in altre indagini sulle fuoriuscite. Le due organizzazioni chiedono da tempo che vi siano procedure indipendenti per indagare sulle fuoriuscite e che si ponga fine al sistema che consente alle compagnie petrolifere d’influenzare le indagini.

La Shell inizialmente aveva detto ai mezzi d’informazione che l’85 per cento delle fuoriuscite di petrolio verificatesi nel 2008 nel Delta del Niger era stato causato da sabotaggio. In seguito, aveva ammesso che questa percentuale non aveva tenuto conto di una grande fuoriuscita poi attribuita a problemi dell’impianto.

Sulla base delle nuove prove ottenute da Amnesty International e dal Cehrd sulla fuoriuscita di Bodo del 2008, oltre la metà, e forse persino l’80 per cento, delle fuoriuscite di quell’anno nel Delta del Niger sarebbe da attribuirsi al cattivo funzionamento degli impianti. Per avere dati più precisi, tutte le fuoriuscite di petrolio avrebbero dovuto essere sottoposte a un’analisi indipendente, cosa impossibile a causa delle gravi carenze nelle procedure d’indagine vigenti sulle fuoriuscite.

Non c’è dubbio che il sabotaggio sia un problema reale e grave nel Delta del Niger, non riscontrabile nelle sue dimensioni in altri paesi dove operano le compagnie petrolifere. Ma la Shell lo usa come scudo nelle sue attività di pubbliche relazioni e fa affermazioni che semplicemente non reggono al confronto.

Trascorsi oltre tre anni dalla fuoriuscita di petrolio di Bodo, la Shell deve ancora fare una bonifica adeguata e non ha versato alcun risarcimento ufficiale alle comunità colpite. Pure le Nazioni Unite l’accusano: nell’agosto 2011 il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto sull’impatto dell’inquinamento da petrolio nell’Ogoniland, una delle regioni del Delta del Niger. Il rapporto ha riscontrato un esteso inquinamento e ha mosso molte critiche nei confronti delle procedure di bonifica della Shell.

Dopo aver tentato a lungo la strada della giustizia in Nigeria, gli abitanti di Bodo hanno presentato denuncia alle autorità britanniche. La Shell, che pure fa sapere di non poter commentare in quanto la causa è in corso, ha comunque fatto sapere il suo punto di vista sulla denuncia di Amnesty International e del Cehrd, e noi la rendiamo nota.

Naturalmente, in Nigeria non c’è solo la Shell. Prossimamente, parleremo di altre compagnie che operano nella zona.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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