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Nessuna rivalità tra bolognesi e napoletani. Ce lo insegna la storia di Andrea Costa

Che poi tutti a commentare le cazzate degli ultras del Bologna, "Vesuvio lavali con il fuoco" e la solita roba. E magari a contrapporre il ragù ai tortellini, o le luci del golfo alla nebbia del Nord. Io propongo invece un altro spunto di riflessione, direi tangente - perché me ne parto un po' per la tangente - e trasversale, perché bisogna pur uscire dall'insensata opposizione bolognesi vs napoletani, provocare entrambe le identità a qualcosa di più grande...

La curva del Bologna si chiama "Andrea Costa". Vabbè, dal 2009 l'hanno dedicata a Giacomo Bulgarelli, ma tutti la chiamano ancora con il vecchio nome... questo - banalmente - perché lo stadio del Bologna sta in via Andrea Costa. Ma chi era questo Costa che in queste ore vediamo associato, suo malgrado, ai cori razzisti contro i napoletani?

Prima di essere un uomo, Costa è un pezzo di storia, bellissima, degli oppressi di questo Paese. Un rivoluzionario di fine Ottocento, anarchico e internazionalista. E allo stesso tempo il primo deputato socialista della storia d'Italia. Uno che incendiò la Romagna e passò anni e anni in galera, uno che incendiò le istituzioni, e fu sempre amato, sostenuto, votato dalle masse. Uno dei più grandi leader del socialismo italiano, che seppe rompere, con una dolcezza infinita nei confronti dei suoi ex-compagni, con l'insurrezionalismo dei gruppetti anarchici e mettere così le basi per una forza di massa che arriverà a smuovere le più arretrate campagne e le più dure officine. "La reazione ci vuole morti, mostriamoci vivi!", scriveva da giovane, quando l'Internazionale era perseguitata ovunque e i militanti che avrebbero trasformato il mondo erano poche centinaia sparse per tutta l'Europa, "noi abbiamo il diritto ed avremo la forza!".

Quando era in libertà Costa veniva spesso a Napoli, dove aveva organizzato una piccola sezione del suo partito rivoluzionario, e amava la città, le lotte dei lavoratori a giornata, la sua umanità, i suoi popolani così schietti e arrabbiati, così simili alla gente di Romagna. E quando guardava il Vesuvio, c'è da scommetterci, sentiva di amarlo. Perché a Costa il fuoco piaceva: tutti i suoi proclami, così come tutti i testi dei socialisti dell'epoca, invocavano un incendio purificatore, che bruciasse questa società di classe, e dalle ceneri facesse nascere qualcosa di davvero nuovo, un'umanità riconciliata con se stessa. Costa, che era ateo, si fece cremare. E Pascoli, sulla sua tomba, pensando al calore dei suoi gesti in vita e alla grandezza dell'impresa socialista, scrisse questi versi:


"Cenere è in quest'urna,
dell'incendio d'amore
[che] arde inconsumabile in mezzo ai terrestri,
sempre più forte, più vasto, più alto [...]
Fiamma di quell'incendio fu questa cenere,
viva fiamma che soppressa e battuta
divampò sempre più bella al vento.
Noi la chiamammo
Andrea Costa"

Ecco, i nomi sono spesso giusto una convenzione per le cose, e di sicuro la curva del Bologna si chiama solo convenzionalmente "Andrea Costa". Ma, anche quando sono convenzioni, i nomi finiscono per abitare le cose come gli spettri abitano le case. Ossessionano, avviano associazioni, fanno pensare. La loro inquietudine di tanto in tanto si palesa, come un rumore di notte o una porta che sbatte, turba gli abitanti, li spinge a rifare la propria vita e il luogo dove vivono.

E mi piace immaginare Andrea Costa apparire come uno spettro fra gli spalti che portano il suo nome, avvicinare qualche ragazzo, e convincerlo - con gentilezza ma senza distanza, lui che aveva diviso le celle con i poveracci e gli assassini - che ciò che va lavato con il fuoco non è Napoli, ma questo sistema infame, che gli oppressi sono tutti uguali e che i veri nemici sono i governanti e i padroni, quelli che ci incarcerano, ci controllano, ci trattano come delle bestie. Che in curva siamo al circo e facciamo ridere, ma per strada facciamo paura. Che se ci mettiamo insieme non avremo più solo il diritto ma anche la forza.

Certo noi siamo atei e socialisti, e agli spettri e ai miracoli non ci crediamo. Ma nel proletariato sì, e per questo sentiamo, contro l'evidenza dei perbenisti e dei saccenti, che quella fiamma che fu la vita di Andrea Costa è ancora viva, e che l'aria calda della Costa troverà prima o poi i giusti inneschi.

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