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Myanmar, oltre 90 prigionieri di coscienza. Repressione in aumento in vista delle elezioni

Secondo un rapporto diffuso da Amnesty International, i prigionieri di coscienza sono attualmente almeno 91 e centinaia di altri sono sotto processo. Contro ogni evidenza, le autorità birmane si ostinano ad affermare che nessuno è in carcere per aver espresso le sue opinioni.

Quella dietro le sbarre è una nuova generazione di prigionieri di coscienza. La precedente era tornata quasi del tutto in libertà a seguito di una serie di amnistie, l’ultima delle quali risalente alla fine del 2013.

Il rapporto di Amnesty International segnala, tra i tanti casi di persone ingiustamente arrestate e condannate, quelli di Phyoe Phyoe Aung (nella foto), una studentessa condannata a nove anni per aver organizzato all’inizio di quest’anno una protesta pacifica contro la nuova legge sull’istruzione; e di Zaw Win, un avvocato che rischia una lunga condanna per aver chiesto di porre fine alla corruzione dei giudici all’esterno di un tribunale, nel corso di un sit-in solitario, armato solo di un megafono.

Oggi nel paese chiunque sia visto come una “minaccia” al potere – giornalisti, avvocati, sindacalisti, studenti, attivisti e difensori dei diritti umani – rischia di finire in prigione. È sufficiente che i giudici sfoglino il codice penale per trovare il “reato” adeguato: riunione illegale, disturbo alla tranquillità dello stato, offesa ai sentimenti religiosi e così via.

Oltre ai processi, ci sono le intimidazioni e la sorveglianza ossessiva: gli attivisti – e sovente anche i loro familiari – vengono pedinati, fotografati mentre prendono parte a eventi pubblici e sottoposti a pretestuose perquisizioni notturne negli uffici e nelle abitazioni private.

Dal 2014, dopo anni di pressioni politiche, la comunità internazionale ha chiuso gli occhi nei confronti della situazione dei diritti umani in Myanmar, forse illudendosi che con l’ultima amnistia del 2013 ogni problema fosse stato risolto.

Le vicende dei 91 prigionieri di coscienza (che da qui a novembre potrebbero diventare molti di più) ci dicono che così non è. Le elezioni del mese prossimo costituiscono un’opportunità importante per chiedere il loro rilascio e l’abolizione delle norme repressive.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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