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Modello tedesco, modello egoista

Ieri mattina ascoltavo alla radio la notizia secondo cui la Germania continua a puntare su export e compressione dei salari, contrariamente a quanto chiede il fondo monetario, l'Unione Europea e la BCE.

Le cifre fornite dallo Statistisches Bundesamt ribadiscono che la Germania sembra voler continuare a ignorare raccomandazioni, richieste, pressing rivoltile dal Fmi, dalla Banca mondiale, da Bruxelles, dai partner nell'eurozona, per un riequilibrio del suo commercio in modo che maggiori import tedeschi aiutino i paesi più deboli. Al momento, non accade. E tale realtà pesa e peserà ai prossimi vertici europei (nel semestre italiano in corso) creando dissensi e tensioni tra la prima potenza Ue e gli altri. E magari problemi alla nuova Commissione europea diretta da Jean-Claude Juncker. 

E tra i paesi a cui esporta c'è proprio la Russia di Putin, quella che si vorrebbe sanzionare per i fatti dell'Ucraina. Di prima mattina, notizie così fanno pensare. Che credibilità ha un'Europa se uno dei suoi membri autorevoli è così legato commercialmente con un paese da sanzionare?

Stesso discorso vale per l'Italia, che con la Russia ha firmato i contratti capestro per il gas: merito di Berlusconi e dell'Eni di Scaroni (a proposito, un manager così bravo e così ben pagato avrà trovato subito un altro posto a pari stipendio).

Altra riflessione: tutti parlano di modello tedesco, ma se in Europa tutti puntassero sull'export (e non sulla domanda interna) che fine faremmo? Sarebbe la fine dell'Unione, tutti i paesi contro tutti. Per non parlare della compressione dei salari: fino a quanto si può sostenere? Insomma, la Germania si sta facendo i fatti suoi, non sostiene l'economia dei paesi più deboli, limitando le importazioni e fa affari col diavolo. Forse non ci sono tutti i torti a protestare contro questo modello europeo, un tantino ipocrita.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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