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"Mio marito, vittima dimenticata”: l’accusa della vedova di Salvo Failla

Una dolorosa coincidenza ha fatto sì che, proprio quando tre settimane fa veniva annunciata la firma dell’accordo tra Italia e Libia, chi scrive avesse una lunga conversazione telefonica con Rosalba Castro, vedova di Salvo Failla (nella foto), rapito insieme a tre colleghi dalle parti di Tripoli nel luglio 2015 e ucciso insieme a Fausto Piano all’inizio del marzo 2016.

Dell’accordo, contestato anche in Libia, non c’è molto da dire: dopo quelli firmati dai governi Berlusconi, Monti e Letta, per la quarta volta in neanche 10 anni l’Italia affida alla Libia il compito di fermare le partenze di migranti e richiedenti asilo, senza garanzie per i diritti umani, facendo finta d’ignorare le terribili violenze inflitte ai cittadini stranieri in quel paese, addirittura con un peggioramento lessicale.

C’è da raccogliere, soprattutto, il grido di dolore di Rosalba Castro. Sul timore che le indagini, verso la chiusura, non accertino tutte le responsabilità, sull’abbandono da parte delle istituzioni, sulla difficoltà di parlare della vicenda del rapimento di Salvo e degli altri tre tecnici della Bonatti S.p.a: porte che si chiudono, trasmissioni televisive che saltano all’ultimo minuto, accusa Rosalba Castro. E il kafkiano tormento burocratico per ottenere la pensione che spetta ai parenti delle vittime del terrorismo.

Ecco allora due domande: l’Italia, così sollecita a individuare sul terreno un’autorità con cui negoziare per tutelare i suoi principali interessi (petrolio e contrasto all’immigrazione) ha fatto di tutto per salvare la vita di Failla e Piano? Ha fatto e sta facendo il possibile per accertare le circostanze della loro uccisione e assicurare giustizia ai loro familiari?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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