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Maternità surrogata: è laicamente possibile?

In questi giorni infuriano le polemiche sulle trascrizioni anagrafiche per i figli delle famiglie lgbt e diversi esponenti della maggioranza hanno manifestato la loro forte opposizione alle adozioni gay, in particolare scagliandosi contro l’“utero in affitto”. La gestazione per altri è una questione complessa che divide il mondo laico, anche se ci sono buone ragioni per affrontarla in maniera, appunto, laica. Come ha fatto l’avvocato Alessandro Cirelli sul numero 6/2021 della rivista Nessun Dogma

“Utero in affitto”, “maternità surrogata”, “gestazione per altri”: tre locuzioni che identificano la medesima modalità di procreazione medicalmente assistita. Con la gestazione per altri (d’ora in poi Gpa) una donna porta avanti una gravidanza per conto di una o più persone, che diverranno i genitori legali del nascituro, mentre ella non conserverà alcun legame giuridico con quest’ultimo. Facciamo un esempio concreto per chiarire meglio.

Marito e moglie producono gameti fertili ma lei è affetta da una patologia che non le consente di portare a termine una gravidanza (sono noti anche casi di donne che nascono senza utero, oppure che per incidenti o patologie lo devono asportare). Si rivolgono allora a un’altra donna che acconsente all’impianto nel proprio utero dello zigote (l’unione dei gameti fecondati artificialmente).

Tramite un contratto, si precisano gli obblighi delle parti, e si stabilisce che al termine della gravidanza il nascituro sarà figlio in via esclusiva dei genitori committenti. Se per portare a termine la gravidanza la donna richiede un compenso allora si tratta di una cosiddetta maternità surrogata commerciale, se invece la pratica è gratuita (salvo il rimborso delle spese sostenute) trattasi di una maternità surrogata altruistica.

Com’è noto, nel nostro paese la Gpa è vietata, e pertanto il relativo contratto è nullo. La legge 40 del 2004 all’art. 12 comma 6 sanziona penalmente tale pratica, e lo fa in maniera draconiana: chiunque, in qualunque modo, la realizzi, organizzi o pubblicizzi è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.

Molte le osservazioni di carattere penalistico che potrebbero essere fatte su tale reato, ad esempio sulla sproporzione della pena o sulla mancata differenziazione delle condotte. Tantissime le problematiche giuridiche che tale pratica ha sollevato nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, oggi soprattutto correlate al cosiddetto turismo riproduttivo, e cioè quel fenomeno che vede ogni anno centinaia di coppie (in prevalenza eterosessuali, ma anche omosessuali) fare viaggi all’estero, verso quei paesi ove le pratiche di surrogazione di maternità sono consentite, ritornando poi in Italia con figli nati tramite quelle pratiche qui vietate.

Nemmeno possono essere taciute le numerose e delicatissime tematiche (bio)etiche che la Gpa apre. Si pensi solo all’accusa di mercificazione del corpo della donna, usata come un’incubatrice, pagata al fine di ottenere un figlio, come se quest’ultimo fosse un oggetto.

Quel che più ci interessa è comprendere se nel nostro paese, nel nostro ordinamento giuridico, la Gpa sarebbe accettabile da un punto di vista laico e quindi se vi possono essere spazi per una riforma della Legge 40/2004, che renda lecita e disciplini tale pratica.

Anzitutto uno sguardo al di là del nostro naso. A livello internazionale, potremmo dire che vi sono tre diversi modi di approcciare la quaestio concernente la maternità surrogata:

1. Vietarla penalmente. Hanno preso questa strada, ad esempio, Francia, Germania, Italia, Spagna, Austria, Quebec, Malta, Norvegia, Cina (escluso Hong Kong), Turchia e Svizzera;

2. Tollerare la maternità surrogata altruistica, pur non prevedendo, in tutto o in parte, una regolamentazione specifica. Così ad esempio in Belgio, Danimarca, Ungheria, Svezia, Finlandia, Polonia, Lussemburgo, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Giappone e India;

3. Considerarla esplicitamente lecita con una legge, che specificamente e rigorosamente la disciplina, prevedendo limiti e presupposti tassativamente determinati, o consentirla a seguito del vaglio di un giudice. Ad esempio: Regno Unito, Brasile, Portogallo, Argentina, Thailandia, Australia, Sudafrica (commerciale), Grecia, Israele (commerciale), Russia (commerciale), Bielorussia, Stati Uniti (in qualche stato commerciale, in altri vietata), Canada, Georgia (commerciale), e Ucraina (commerciale).

Si può notare che nella quasi totalità dei paesi in cui tale pratica riproduttiva è consentita, il presupposto imprescindibile della liceità è dato dal fatto che sia perseguita la finalità altruistica, nel rispetto del principio di gratuità del dono, dunque in totale assenza di una retribuzione per la donna che porta avanti la gravidanza.

Molte possono essere le differenze anche fra paesi che consentono la pratica. In molti paesi, ad esempio, è vietato agli stranieri usufruire della maternità surrogata (ad esempio il Regno Unito richiede che entrambi i genitori committenti siano residenti in Uk), mentre in altri non è possibile che i genitori richiedenti siano single o omosessuali (ad esempio l’Ucraina permette la Gpa solo a coppie eterosessuali sposate), oppure ancora non è possibile che la madre surrogata doni anche l’ovulo (a Hong Kong, per fare un esempio, si richiede che ovulo e spermatozoo siano della coppia richiedente).

Come si può notare, seppur con una moltitudine di regolamentazioni giuridiche diverse, è certamente possibile un’alternativa al nostro vietare sic et simpliciter. Se il civilissimo Canada e la sempre all’avanguardia California consentono la maternità surrogata, perché qui da noi la regolamentazione e legalizzazione della Gpa non tocca neanche minimamente il dibattito pubblico e anzi semmai si avanzano ipotesi di rendere perseguibili penalmente anche coloro che si recano dove è legale? Eppure non si tratta di una pratica sconosciuta e lontana da noi.

Ci sono noti casi di persone e famiglie felici grazie alla Gpa, e se non personalmente, li conosciamo per via indiretta. Tra coloro che hanno usufruito della pratica possiamo ricordare attori come Robert De Niro, Matt Bomer, Nicole Kidman, Sarah Jessica Parker, Ellen Pompeo, oppure cantanti come Miguel Bosé, Ricky Martin, Elton John oppure ancora calciatori come Cristiano Ronaldo o coppie famose come Kim Kardashian e Kanye West.

Ovviamente le religioni si oppongono a qualunque tentativo di legalizzazione della Gpa. Mettendoci per un attimo (solo uno, promesso) nei panni di un religioso possiamo comprendere facilmente le ragioni che portano a nutrire una netta contrarietà alla Gpa: «la vita deriva solo da Dio, tramite la naturalità del concepimento fra un uomo e una donna uniti in matrimonio».

L’ostilità degli ambienti religiosi alla Gpa, per quanto comprensibile, in realtà dovrebbe fare i conti con il fatto che la moderna Gpa non è altro che una forma migliorata di quanto accadeva in passato: uomini che non riuscivano ad avere figli con le proprie mogli, quando non le facevano decapitare (si ricordi Enrico VIII), spesso riuscivano nel loro intento di avere discendenti (maschi) fecondando altre donne, spesso schiave serventi la famiglia, cui poi veniva subito dopo il parto strappato il neonato, col quale avevano ovviamente un legame genetico.

Anche nella Bibbia si narrano simili episodi: Abramo che non riesce ad avere figli dalla moglie Sarai, finisce per fecondare, in accordo con quest’ultima, la di lei serva Agar (Genesi 16: 1-16), e lo stesso fece Giacobbe con la serva Bilhah, d’accordo con la moglie Rachele (Genesi 30: 1-24). Peraltro, volendo credere alla fantasiosa versione cristiana del concepimento di Gesù di Nazareth, sembrerebbe trattarsi di una Gpa ante litteram.

Eppure la chiesa cattolica, nel documento chiamato Donum Vitae (1987) denuncia che «la maternità surrogata rappresenta un obiettivo fallimento nell’adempiere agli obblighi dell’amore materno, della fedeltà coniugale e della maternità responsabile; offende la dignità e il diritto del bambino a essere concepito, portato nell’utero, portato nel mondo e cresciuto dai suoi stessi genitori; stabilisce, a scapito delle famiglie, una divisione tra gli elementi fisici, psicologici e morali che costituiscono quelle famiglie».

Religioni a parte, dobbiamo impostare la nostra riflessione a partire da alcuni argomenti assai utilizzati per vietare la Gpa.

Molti dicono che sia contro natura, che trattasi di una pratica che «sovverte l’ordine naturale» (oltre che il principio mater semper certa est, codificato nel nostro codice civile all’art. 269 che prescrive che la madre è sempre la partoriente).

Ma cosa c’è di più naturale del desiderio di riprodursi, della volontà di avere un figlio cui poter tramandare il proprio codice genetico, dell’aspirazione ad avere una propria naturale discendenza? E se la tecnica oggi, in modo migliore rispetto al passato, consente di attuare il proprio desiderio di riprodursi anche a quelle coppie che da sole non riescono, perché si grida alla pratica contro natura? Solo perché ci sono medici, donatori esterni di gameti e procedure scientifiche, non significa che si tratti di una pratica demoniaca e dalla quale stare lontani.

Molto spesso si sente dire – e lo abbiamo letto anche poc’anzi nel documento della Congregazione per la dottrina della fede – che la vita del nascituro viene con l’utero in affitto commercializzata, che il bambino diventa una res e può avere per tutta la vita ripercussioni psicologiche del distacco dalla madre surrogata.

Ora, partiamo dalla semplice considerazione che senza Gpa molti bambini nel mondo non nascerebbero proprio. Compresa bene l’alternativa, che già potrebbe escludere qualunque tipo di dibattito sulla salute psicologica del nascituro, dobbiamo osservare che molti studi sono già stati condotti sia sui figli nati da Gpa sia sulle madri surrogate, sia sulle famiglie, e si è potuta verificare l’assenza di danni psicologici o di altro tipo.

Non possiamo non rilevare che un bambino nato da Gpa è assai atteso, voluto strenuamente dai propri genitori, che quindi saranno indubbiamente preparati, anche economicamente, a soddisfare tutte le necessità del figlio. Quanti sono nel mondo invece i figli nati per caso, per disattenzione, per rottura del preservativo, o peggio per violenze sessuali, in ambienti insalubri, con genitori adolescenti impreparati (sempre che si facciano vivi entrambi) e in povertà?

Quanti sono i figli nel mondo che nascono e vivono privi dell’amore dei genitori e privi dei mezzi idonei per vivere? Certo, un bambino non è un oggetto e non può essere commercializzato. Tanto è vero che nella quasi totalità dei paesi in cui la Gpa è consentita, lo si evidenziava poco sopra, è ammessa solo la forma altruistica nella quale una donna decide di aiutare, gratuitamente e per spirito di solidarietà, una o più persone ad avere un figlio sopportando le fatiche della gravidanza.

Molte critiche alla Gpa hanno a che vedere con il trattamento riservato alla madre surrogata, ritenendo che la pratica sia un’intollerabile offesa alla dignità della donna. Sostiene ciò, ad esempio, la nostra Corte costituzionale (Sentenza n. 272 del 2017) che, come abbiamo scritto nel precedente numero di questa rivista, purtroppo su questi temi appare particolarmente bigotta.

Tale critica forse è fondata per la Gpa commerciale ma certamente non per quella altruistica. In quale modo si offende la dignità di una donna che, in modo gratuito e per spirito di solidarietà decide, in via del tutto autonoma e libera, di aiutare altri a procreare? A parere di chi scrive, una donna che si presta a fare da madre surrogata in modo libero e gratuito sta compiendo un enorme gesto d’amore, un gesto che dona la vita e che allo stesso tempo è il prodotto della sua libertà di autodeterminarsi.

La donna è soggetto e non oggetto. Come hanno scritto i giudici californiani quasi trent’anni fa, per una donna libera il divieto di portare avanti una gravidanza per un’altra donna rappresenta il «retaggio di quella impostazione giuridica e culturale che per secoli ha impedito alle donne di esercitare gli stessi diritti economici e di assumere gli stessi status degli uomini» (Corte suprema della California, Johnson v. Calvert, 20/5/1993).

Si utilizza invece l’arma (indefinita) della dignità allo scopo di limitare l’autodeterminazione delle donne, quando al contrario la dignità può esistere solo se vi è libertà di autodeterminazione.

Proprio per tali ragioni – assolutamente non retoriche – non si riescono a cogliere danni sociali dalla legalizzazione della Gpa, e nemmeno si comprende il denunciato rischio per i rapporti umani.

In uno stato laico non dovrebbero esserci etiche di stato che negano libertà alle donne, per salvaguardarle da loro stesse, dalle loro scelte, tutelandone – non si sa come – la dignità. Compito dello stato laico è fare in modo che vi siano scelte autenticamente libere e prive di condizionamenti e non sindacare decisioni private sulla base di un preteso ordine naturale. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (…)» (art. 3 comma 2 della Costituzione).

Venendo a concludere, con il divieto di Gpa oggi non si fa altro che mettere la testa sotto la sabbia, fingendo che il tema non esista. Di peggio potrebbe fare solo la già accennata e paventata ipotesi di riforma, a prima firma Giorgia Meloni, che vorrebbe rendere la Gpa reato universale, giudicando così anche le scelte diverse compiute da altri paesi col falso scopo di tutelare “tutte le donne del mondo” (dichiarando in pratica che paesi come Canada, Regno Unito e California non tutelano le proprie donne…).

Ragionevolmente, da una regolamentazione oggi non si può sfuggire. È impensabile continuare con un divieto ipocrita, che finge di non vedere che il fenomeno della surrogacy è ormai inarrestabile, internazionale e assai diffuso. Peraltro, grazie al divieto, si sta consentendo di accedere alla Gpa solo a coloro che possono sopportarne gli alti costi nei vari paesi del mondo (ad esempio la California).

Certo, una regolamentazione dettagliata di ogni aspetto della Gpa è necessaria per evitare ogni intuibile possibilità di abuso e sfruttamento delle donne. I pericoli di abusi tuttavia si affrontano scrivendo buone leggi, impegnandosi a trovare le migliori soluzioni a tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, e non ponendo un divieto assoluto che poi nei fatti viene aggirato.

È un dovere per uno stato che si definisce laico smettere di abbracciare una particolare etica, una determinata visione del mondo, e regolamentare la pratica della Gpa. Non è più possibile attendere.

Alessandro Cirelli


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