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Mascolinità tossica: anche uomini “si diventa”

Se come sostiene Simone de Beauvoir, “l’umanità è maschile”, e la donna è definita soltanto in contrapposizione all’uomo, che cos’è l’uomo? E se donne non si nasce, ma si diventa, com’è di-ventare uomini oggi?

Achille Lauro, in quella che è diventata la più celebre performance del festival di Sanremo degli ultimi anni, si è presentato vestito e truccato come la Divina Marchesa Luisa Casati Stampa, con il fine di criticare pubblicamente gli schemi omologanti di una sessualità binaria che non permette una reale libertà di espressione.

Come lui, diversi artisti negli ultimi cinquant’anni si sono attivamente mossi al fine di sostenere questa causa ma purtroppo ancora oggi il tema di un’identità di genere libera e fluida vista indipendentemente dall’identità sessuale dell’individuo si mostra di complessa trattazione, negli uomini in particolare.

La letteratura femminista, fin dagli esordi delle sue trattazioni, imputa all’uomo la costruzione di quelle regole sociali e culturali androcentriche contro le quali le donne sentono di dover combattere. Ma anche ammesso che questa impostazione culturale alla base del sistema patriarcale sia stata inizialmente dettata dall’uomo, per ragioni di forza, potere, religione, oggi che influenza ha sugli uomini 2.0, ossia sugli uomini “in divenire”?

Tra gli anni ‘80 e ‘90, Shepherd Bliss coniò il termine “mascolinità tossica” al fine di indicare una serie di norme e comportamenti che, nell’immaginario comune, vengono associati all’idea di “essere uomini”, mostrando come questa tendenza non solo sia inadatta, ma perfino dannosa.
In particolare, i tratti che Bliss definiva come “tossici” per la mascolinità, includevano “l’evitare di esprimere emozioni”, il “trasporto esagerato per il predominio fisico, sessuale e intellettuale” e la “sistematica svalutazione delle opinioni delle donne, sul loro corpo e sulla loro esistenza”.

Il modello di “maschio” ideale disegnato dalla nostra società infatti richiede forza (fisica e psicologica), indipendenza, orgoglio e controllo. All’uomo, perché di uomo si parli, non è ammessa alcuna forma di debolezza: l’uomo non piange, non parla dei propri sentimenti per lasciare spazio alla competizione e alla forza. Quello del “maschio alpha”, dotato delle caratteristiche appena espresse, non è neanche un modello da seguire, bensì il minimo sindacale da rispettare per essere riconosciuti come uomini.

Questo tipo di descrizione di virilità maschile ha tolto agli uomini la possibilità di esprimere libera-mente una virilità emotiva, ha tolto loro il diritto alla fragilità, alla gentilezza, alla sensibilità o all’empatia richiedendo invece costanti dimostrazioni di rivendicazione e esercizio del potere.
La mascolinità tossica è dunque l’idea che ci sia solo un modo di essere uomini, mentre tutti gli altri sono meno uomini. Effeminati o “emasculated“, ossia “smascolinizzati”, ponendo al di fuori della categoria uomo, tutto ciò che non rientra nella categoria in possesso delle caratteristiche sopra descritte, rendendo inaccettabile il fatto che chiunque si senta uomo possa esserlo a modo proprio.

A riguardo, uno studio recente (Sileo & Kershaw, 2020) ha esaminato il ruolo delle norme di ma-scolinità come “status maschile” “tenacia e forza” e “antifemminilità” sulla depressione e sull’utilizzo dei servizi di salute mentale tra gli uomini adulti mostrando come circa il 29% e il 25% del campione soddisfacesse i criteri per la depressione. Al contrario, una maggiore approvazione delle norme antifemminili e di tenacia era associata a un minore utilizzo dei servizi di salute mentale; per gli uomini che sostenevano le norme di tenacia e forza fisica, questo effetto era maggiore per coloro che erano depressi.
Come è possibile dedurre da questi risultati, le norme maschili di cui abbiamo appena trattato, hanno una forte influenza sulla costruzione del sé del soggetto, tanto da andare a divenire fattori predisponenti per la depressione.

A lungo si è creduto che uomini e donne fossero completamente diversi e che quindi ogni differenza sessuale fosse codificata a livello neurobiologico nel cervello, negli ormoni o nelle caratteristiche anatomiche.
Rimane innegabile che la forza fisica sia una caratteristica più frequentemente distintiva dell’uomo, ma questo non rende scontato il fatto che sia una prerogativa maschile in quanto conseguenza della potenza anatomica, o soprattutto che questa venga necessariamente espressa e utilizzata a discapito di altre tipi di competenze.

Da numerose ricerche è stato confermato che la plasticità del cervello consente alle connessioni cerebrali di rafforzarsi o morire a seconda dell’esperienza e questo presuppone che le cose su cui il bambino si concentrerà maggiormente (o sarà spinto a concentrarsi) diventeranno i suoi punti di forza, che siano l’idea di una mascolinità “forte”, o che siano domini di empatia, abilità spaziali o verbali.

Il fatto che la nostra cultura ci induca a pensare all’identità di genere come una questione binaria, sostiene quella che Butler chiamerebbe il “praticare una performance”, ossia ci spinge ad imitare
quei modelli e quegli stereotipi, quelle norme che definiscono e rappresentano ciò che è maschile e ciò che, all’opposto (visto che i due termini vengono sempre pensati e riprodotti in maniera oppositiva) rappresenta e incarna il femminile. Chi fuoriesce da questo binarismo soffocante rischia di rimanere inintelligibile agli occhi dei più, e spesso anche ai propri.
Come sostiene Bourdieu ne “il dominio maschile” questa polarizzazione dei generi, e di conseguenza degli stereotipi e delle aspettative a loro assegnati, consente una maggior tranquillità da parte della società.

Aggiunto a ciò, il continuo avanzare della nostra società ricorda costantemente all’uomo che quel-la forza che da lui è pretesa, al contempo non è più necessaria nel mondo odierno come probabilmente risultava nel mondo antico, e lo spinge perciò a concorrere con la donna che esprime diversi modelli di forza, più utili e spendibili oggi.
All’interno di questo antagonismo, l’uomo risulta drammaticamente mancante ma contempora-neamente incapace e privo di quegli strumenti che gli permetterebbero una maggior comprensione, scoperta ed accettazione di alcuni propri lati, grazie ai quali potrebbe sviluppare delle competenze più plastiche e fluide.

L’educazione, da parte delle famiglie e delle scuole, senz’altro possono essere funzionali ad una ristrutturazione dei ruoli di genere. Bliss, a riguardo propone un ritorno a quella che lui stesso ha definito come “mitopoietica”, ovvero la concezione di mascolinità che possiamo ritrovare nell’Odissea. Odisseo è un eroe, eppure piange pensando all’amata patria, e quando riabbraccia il figlio Telemaco, entrambi si commuovono. Tutto ciò non intacca assolutamente l’eroismo dei due uomini, anzi, aggiunge loro una fondamentale componente umana, che li porta più vicini anche ad un pubblico moderno.

Contemporaneamente una formazione del personale didattico e sanitario sensibile alle tematiche di genere che riconosca le risorse degli uomini, senz’altro potrebbe contribuire alla costruzione di una maggiore libertà, per l’uomo in primis, di scoprire, riconoscere ed esprimersi in tutta la sua complessità.

Da sempre l’umanità si modifica in eterne evoluzioni che raccontano la nostra storia e traggono origine da ciò che eravamo per trasformarsi in ciò che saremo. L’uomo in questo contesto ha il potere (e il dovere, per se stesso e per gli altri) di caricarsi di quelle istanze che la nuova traiettoria umana disegna, al fine di mostrarsi come un uomo consapevole della sua forza. Una forza che non è più riscontrabile nelle braccia o nelle gambe, ma nell’agilità e nella leggerezza, al fine di mostrarsi un uomo in grado di capire, cambiare e soffrire.

 

Tirocinante: Stivè Margherita

Tutor: Fabiana Salucci

Bibliografia

Bourdieu, P. (1990). La domination masculine. Actes de la recherche en sciences sociales, 84(1), 2-31.

Butler, J. (2011). Gender trouble: Feminism and the subversion of identity routledge.

Fiorino, V. (2006). Una storia di genere maschile: riflessioni su un approccio storiografico. Con-temporanea, 9(2), 381-390.

Jeffords, S. (1995). The curse of masculinity. From mouse to mermaid: the politics of film, gender, and culture, 161-173.

Ottaviano, C., & Mentasti, L. (2015). Oltre i destini: attraversamenti del femminile e del maschile. Ediesse.

Quattrini, F. (2017). Il piacere maschile.

Sculos, B. W. (2017). Who’s afraid of ‘toxic masculinity’?. Class, Race and Corporate Power, 5(3), 1-5.

Sileo, K. M., & Kershaw, T. S. (2020). Dimensions of Masculine Norms, Depression, and Mental Health Service Utilization: Results From a Prospective Cohort Study Among Emerging Adult Men in the United States. American Journal of Men’s Health, 14(1), 1557988320906980

 
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