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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Masabum Kikuchi, “Black Orpheus”

Masabum Kikuchi, “Black Orpheus”

Amato ed apprezzato da colleghi illustri – due nomi per tutti, Paul Motian e Gary Peacock -, ma forse poco conosciuto da chi ascolta o s’interessa alla musica Jazz, Masabumi Kikuchi si è spento lo scorso 6 luglio in un’ospedale di Manhasset, nello stato di New York, a poco meno di 76 anni. Dopo essersi cimentato con numerosi stili jazzistici, a partire dagli anni Novanta, il pianista ha incominciato a sperimentare e quindi a trovare un originale modo di suonare, molto intimo, rarefatto, pieno di silenzi che inducono a riflettere e a scavare dentro di sé. E ciò succede anche a chi ascolta, non una, ma più volte, le incantevoli improvvisazioni che compongono “Black Orpheus”, il secondo e purtroppo ultimo album uscito a suo nome per l’etichetta ECM. Riproduce un recital tenuto dall’artista nella terra natale il 26 ottobre 2012 alla Tokyo Bunka Kaikan Recital Hall.

E’ una lunga Suite in nove parti, a metà della quale si inserisce “Black Orpheus” (titolo originale “Manha de Carnaval”), musica di Luiz Bonfa, liriche di Antonio Maria, un brano che fa parte della colonna sonora di “Orfeo Negro”, una pellicola diretta dal francese Marcel Camus, tratta da una piéce teatrale di Vinicius De Moraes, “Orfeu da Conceiçao”, che trasporta in tempi moderni il mito di Orfeo ed Euridice.

Il tema brasiliano è eseguito a tempo incredibilmente lento. I tasti del pianoforte vengono percossi o accarezzati. Spesso una nota è mantenuta finchè il suo suono è percepibile. Arriva il silenzio e questo spazio di tempo induce la mente al rilassamento. Si respira un’atmosfera per così dire fatata, accanto ad una tensione positiva, nient’affatto nervosa, perché ci si domanda quali sviluppi il pianista darà alla sua improvvisazione. E’ una versione mai ascoltata, non c’è nulla che induca al romanticismo o a sdolcinatezze che spesso si ritrovano nei brani plurinterpretati. Potrebbe succedere di provare un brivido nel corpo. Dipende dalla situazione personale di ognuno. La musica, dunque, agisce in maniera terapeutica. Le improvvisazioni riprendono, finchè il CD si conclude con “Little Abi”, deliziosa , delicata ballad, dedicata dall’autore alla figlia allora ancora bambina. Un modo di congedarsi dagli affetti con serenità da parte di un musicista sensibile, forse schivo, che rifugge il virtuosismo, preferendo comunicare attraverso un’emozione.

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