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Mappa del potere mondiale: la svolta irachena

L’offensiva di Al Quaeda in Irak sembra trovare ostacoli inconsistenti e le forze armate governative non in grado di fermarla. Per gli americani è un disastro senza precedenti: 10 anni di guerra in Irak ed altri 13 in Afghanistan, costati un pozzo di soldi, per ritrovarsi con un fondamentalismo islamico più forte di prima ed un Irak a pezzi. Appare assai dubbio che l’esercito irakeno possa farcela da solo a recuperare il controllo della situazione senza un appoggio americano.

Ma l’idea di tornare a impantanarsi nell’eterno conflitto irakeno è cosa da far rabbrividire Obama ed i suoi: dove trovare i soldi per un nuovo sforzo bellico? Si potrebbe provare a dare ai governativi una forte copertura aerea, ma, a parte il fatto che anche questa costa, non è affatto detto che funzioni, per le caratteristiche dello scenario di guerra. E, per di più, va presa inconsiderazione l’ipotesi di una fusione della crisi irakena con quella siriana: ad esempio, i quaedisti potrebbero usare la Siria come linea di arretramento, pronti a tornare all’attacco una volta esauriti i raid aerei.

A meno di inseguirli sino nei “santuari” siriani, ma con il rischio di trovarsi risucchiati di nuovo in un conflitto di lunga durata e con prospettive confusissime.

Gli americani, in questa fase, non possono rischiare di impantanarsi in una guerra mediorientale (si è visto che fine ha fatto la minaccia di intervento in Siria) perché hanno altri due scacchieri strategici da vigilare: Ucraina e Cina. Gli Usa sono impegnati una una sorta di nuovo containement di russi e cinesi per pensare di impegnarsi altrove. Tutto il resto sarebbe un diversivo.

Uno spiraglio viene da dove meno ce lo si poteva aspettare: da Teheran che, per proteggere gli sciiti dai massacri quaedisti, ha proposto un intervento congiunto agli americani. Sulla carta la cosa avrebbe ottime probabilità di riuscita: l’esercito iraniano è uno dei più forti dell’area, avrebbe sicuramente l’appoggio della popolazione sciita e, con l’intervento anche solo dell’aviazione americana, per i quaedisti non ci sarebbe partita. Già ma le conseguenze quali sarebbero?

In primo luogo questo rafforzerebbe tutte le spinte secessioniste dell’area sciita e renderebbe molto più consistente il disegno del “grande Iran”, anche perché l’Iran avrebbe le truppe a terra in tutto l’Irak orientale-meridionale e gli americani sarebbero svantaggiati. Poi, una secessione sciita incoraggerebbe quella curda, con la prospettiva della fine dell’Irak, che era esattamente quello che gli americani hanno voluto evitare sin dal primo giorno dell’invasione. Di fatto, il garante degli equilibri geopolitici dell’area diventerebbe l’Iran, con il quale gli Usa sarebbero costretti a fare i conti. E questo archivierebbe definitivamente le polemiche sul nucleare iraniano.

Ma quali sarebbero le reazioni di Arabia Saudita ed Israele? I sauditi avrebbero subito da temere ripercussioni nel Barhein, gli israeliani la ripresa della campagna contro di sé ed il pericolo di un Iran armato atomicamente e con più peso militare e politico non è cosa che possa rendere tranquilli i sonni israeliani (e lo capiamo perfettamente). E ci sarebbe anche il problema del Pakistan, visto che le sue province occidentali sono sciite e magari l’idea di un tacito accordo indo-iraniano per banchettare sulle sue spoglie potrebbe maturare in fretta. E, comunque, il Pakistan avrebbe ragione di temerlo. Insomma, sarebbe un urto a ricaduta tale da rimettere in discussione tutti gli equilibri dell’area dal canale di Suez ad oriente.

Possono permettersi tutto questo gli americani? Credo di no. Anche perché dovrebbero rimettere in discussione alleanze storiche come quella con Israele o con l’Arabia Saudita.

Potrebbe esserci anche l’idea di una forza multinazionale, coinvolgendo Sauditi e Turchi, ma, a parte le difficoltà del progetto ed i tempi di attuazione necessari, che non vanno d’accordo con l’urgenza, comunque, alla fine, occorrerebbe pur sempre dare qualche riconoscimento all’Iran.

Certo esiste anche la possibilità di un intervento congiunto a due, limitato e concordando precisi limiti entro i quali gli iraniani dovrebbero stare, ma poi come garantirsi dal rischio che la situazione sfugga di mano?

Nel complesso, credo che gli americani sceglieranno l’intervento aereo, sperando che funzioni, e, in caso contrario valuterebbero cosa fare. In ogni caso, un fallimento più completo della strategia interventista di Bush non potrebbe esserci: l’Irak si è rivelato per gli Usa un disastro politicamente molto peggiore del Vietnam.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.89) 22 giugno 2014 12:08

    La versione che descrive il caos attuale in medio oriente, in Iraq nel caso in questione, come frutto della dabbenaggine statunitense la trovo del tutto fuorviante e anche un po’ insultante per l’intelligenza dei lettori.

    Prendiamo il caso più lineare tra quelli in cui avrebbe agito questa presunta dabbenaggine: il cambio di regime in Libia. Francia, UK, Italia, con gli USA a guidare da dietro, hanno preso a pretesto la repressione di alcune manifestazioni antiregime per abbattere Gheddafi e "portare in Libia "democrazia" e "rispetto dei diritti umani".
    Da notare la posizione particolarmente grottesca dell’Italia in questa vicenda. L’attivismo interventista di Giorgio Napolitano, motivato da oscuri "obblighi internazionali", ha portato l’Italia a sparare letteralmente sui propri interessi vitali, dopo aver debitamente stracciato un trattato di amicizia italo-libica solennemente sottoscritto appena due anni prima.

    Abbattuto il regime, spenti i riflettori, la Libia è diventata uno stato fallito e la sua popolazione civile, dopo aver pagato un prezzo ben più elevato di quello imposto dalla repressione per essere "salvata", è ora abbandonata ad ogni genere di arbitrio e condannata a vivere senza le garanzie di uno Stato.
     
    Spezzata in parti etniche, tribali, ideologiche, la Libia è diventata il campo di scorrerie di milizie di ogni genere e, soprattutto, il punto di partenza di estremisti islamici di ogni risma. Per ora verso la Siria e il Mali, domani chissà.

    Ebbene questo esito, l’assetto post guerra "umanitaria" che avrebbe assunto la Libia, era del tutto prevedibile anche a chi avesse avuto una conoscienza superficiale del Paese. Nessuno può ragionevolmente sostenere che gli effetti della guerra contro Gheddafi non fossero prevedibili da quelli che l’hanno organizzata e condotta. Era dunque del tutto previsto che la Libia senza Gheddafi avrebbe fornito la profondità strategica necessaria ad al-Qaeda e alle altre varianti dell’islamismo estremista per muovere verso nuovi obiettivi.

    Lo stesso si può dire della Siria per la quale le analogie con i passi organizzativi attuati in Libia sono talmente evidenti che si potrebbe parlare di "format", come avviene per certe trasmissioni televisive.
    Agenti occidentali che organizzano i gruppi di opposizione; manifestazioni pacifiche che qualche cecchino provvede a far diventare repressione sanguinosa; un gruppo di paesi amici (Amici della Libia - Amici della Siria) che sostiene gli insorti senza troppo preoccuparsi di chi sono in realtà; un osservatorio per i diritti umani (Osservatorio per i diritti umani in Libia; lo stesso per la Siria) basato a Londra e che provvede a fornire ai media notizie sulle atrocità del regime; un bombardamento mediatico con concetti di gusto semplice ed efficace, identici per entrambe le situazioni; un "governo in esilio" prontamente riconosciuto come legittimo rappresentante del popolo (libico o siriano) a prescindere dall’effettivo seguito che ha nel Paese; richiesta al Consiglio di Sicurezza ONU di condurre un "intervento umanitario"; abbattimento del regime, installazione del nuovo governo, spegnimento dei riflettori. L’unica differenza tra i due casi sta nel fatto che Cina e Russia nel caso della Siria non si sono astenute in CdS: hanno posto il veto all’intervento militare. Altrimenti anche l’esito sarebbe stato identico.
    Insomma: bisogna essere ciechi per non scorgere un programma ben preciso negli accadimenti "spontanei" che hanno costituito il presupposto di quanto ora accade in Iraq. Attribuire questo esito a dabbenaggine equivale ad escludere il dolo degli attori che lo hanno determinato.

    Non è così, ovviamente. Nel caso della Siria, non potendo risolvere la questione al modo libico, le frontiere di Turchia, Giordania, Iraq, hanno garantito l’afflusso di materiali e di combattenti di ogni genere confluiti in Siria a supplire la forzata assenza della NATO, fornendogli la necessaria profondità strategica per resistere alla reazione dell’esercito regolare.

    E’ da qui che nasce l’ISIL: dall’addestramento sul campo in Siria; dall’abilità organizzativa maturata combattendo il regime siriano; dal supporto in materiali, intelligence, armi, fornito dagli "Amici della Siria", in particolare da quelli mediorientali.

    Il dilagare in Iraq della nuova versione di al-Qaeda è un esito inaspettato? Ma niente affatto: era un esito scontato, considerata la tenacia e la capacità di resistenza dimostrata dal regime siriano, supportato fortemente dalla popolazione che lo vede come ultimo argine al bagno di sangue in cui (anche questo prevedibilissimo) i tagliagole islamici la immergerebbero in caso di loro vittoria.

    In Iraq i tagliagole islamisti moltiplicheranno i loro effettivi, acquisiranno materiale bellico di ben altra efficacia rispetto a quello di cui hanno fruito in Siria, si ritaglieranno un retroterra sicuro in Iraq e da lì muoveranno di nuovo in Siria per dare la spallata finale ad Assad. Il tutto sotto gli occhi "sorpresi" degli USA, che "non possono" intervenire. Se questa previsione è corretta l’ISIL non si spingerà troppo oltre nella conquista dell’Iraq, a meno che l’Iraq non si arrenda senza resistere.

    Ora, se lei, caro Giannuli, prova a chiedersi: a che pro tutto questo? Probabilmente, escluse tutte le altre, rimarrà sorpreso dalla più probabile delle risposte: per togliere di mezzo Saddam, Gheddafi, Assad. Questo almeno è l’esito della mia personale analisi. Chi, e perché, potrebbe volere questo?
    C’è un’altra risposta, subordinata per rilevanza alla prima: ridurre il Medio Oriente ad una situazione di caos in cui tutti combattono contro tutti, in cui non ci sono più centri di potere compatti ed estesi, significa rendere complessivamente il Medio Oriente una nullità impotente sul teatro internazionale. I prevedibili effetti di questo esito ricadrebbero sull’Africa e sull’Europa, molto marginalmente sugli USA, che ora hanno interesse a coprire un altro scacchiere mondiale.

    Insomma, la dabbenaggine degli USA è solo un comodo paravento per offuscare lo sguardo di chi osserva le cose che stanno avvenendo in Medio Oriente.

  • Di francesco latteri (---.---.---.26) 23 giugno 2014 12:04
    francesco latteri

    Contro l?ISIS e dunque l’intervento in Iraq gl’americani hanno le mani legate: il principe Faisal è stato chiarissimo: no all’intervento e le manopole dei rubinetti petroliferi ce le ha lui. Vuole il sì l’Iran ma questo sarebbe il capovolgimento della politica USA nella regione... 

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