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 Home page > Attualità > Religione > Manca il crocifisso agli esami, e l’inquisizione arriva a scuola

Manca il crocifisso agli esami, e l’inquisizione arriva a scuola

La testimonianza di un professore chiamato come Commissario esterno in un istituto di Caserta. 

La stenua difesa del crocefisso imposto nelle scuole e negli uffici pubblici as­su­me spes­so con­no­ta­ti grot­te­schi, so­prat­tut­to quan­do gli in­te­gra­li­sti e i cle­ri­ca­li si at­ti­va­no ze­lan­te­men­te per pre­ten­der­ne il man­te­ni­men­to, smuo­ven­do mari e mon­ti e la­men­tan­do chis­sà qua­le dan­no. Con un astio e un fa­na­ti­smo pre­oc­cu­pan­ti, tali da in­ti­mi­di­re chi si li­mi­ta a chie­de­re il ri­spet­to di un mi­ni­mo sin­da­ca­le di lai­ci­tà. Nem­me­no si trat­tas­se di un rea­to di lesa mae­stà. O me­glio, “lesa cle­ri­ca­li­tà”. Come emer­ge an­che dal­la sto­ria tra­gi­co­mi­ca da ita­liet­ta che ci è sta­ta rac­con­ta­ta da un no­stro sim­pa­tiz­zan­te, un pro­fes­so­re chia­ma­to come com­mis­sa­rio ester­no per gli esa­mi di sta­to che si sono svol­ti nel­le scor­se set­ti­ma­ne in un isti­tu­to di Ca­ser­ta, e che ri­por­tia­mo di se­gui­to.

Uaar

 

Du­ran­te la riu­nio­ne pre­li­mi­na­re, nel­l’au­la del­la com­mis­sio­ne, al muro non era ap­pe­so al­cun cro­ci­fis­so, c’e­ra solo un chio­do. Nel cor­so del­la mat­ti­na­ta un bi­del­lo ne ha por­ta­to uno (in­sie­me ad al­tre sup­pel­let­ti­li: ven­ti­la­to­re, ar­ma­diet­to, etc) per ap­pen­der­lo. Io e la col­le­ga in­ter­na pro­fes­so­res­sa C lo ab­bia­mo in­vi­ta­to a non far­lo, e lo ab­bia­mo mes­so in un cas­set­to. La col­le­ga C, che co­no­sce gli al­lie­vi, mi ha spie­ga­to che ce ne sono due di con­fes­sio­ne mu­sul­ma­na e un te­sti­mo­ne di Geo­va, e inol­tre che a lei non sem­bra op­por­tu­no espor­re il cro­ci­fis­so in una scuo­la pub­bli­ca e lai­ca. Sen­za ag­giun­ge­re com­men­ti, io mi sono ma­ni­fe­sta­to pie­na­men­te d’ac­cor­do: era­no pre­sen­ti solo al­cu­ni de­gli al­tri col­le­ghi del­la com­mis­sio­ne, che non solo non han­no par­lato, ma mi è sem­bra­to che nem­me­no si ac­cor­ges­se­ro del­l’e­pi­so­dio.

Nel gior­no del­la pri­ma pro­va (quel­la d’i­ta­lia­no) i can­di­da­ti e la com­mis­sio­ne si tro­va­va­no in un’al­tra aula, più gran­de; an­che qui il cro­ci­fis­so non era ap­pe­so al muro, ma era nel cas­set­to, fin dal mo­men­to in cui sia­mo en­tra­ti nel­l’au­la. Il col­le­ga in­ter­no, pro­fes­sor M, si era oc­cu­pa­to di rac­co­glie­re i cel­lu­la­ri dei can­di­da­ti in una sca­to­la di car­to­ne; an­dan­do a ri­por­re la sca­to­la nel cas­set­to, vi tro­va il cro­ci­fis­so, lo rac­co­glie di­cen­do le pa­ro­le “ma tu guar­da dove l’han­no fat­to fi­ni­re…” e fa il ge­sto di riap­pen­der­lo; io gli dico “me­glio di no: la­scia­mo­lo do­v’è”, e lui lo la­scia nel cas­set­to.

Il pro­fes­sor M, però, ri­ma­ne mol­to tur­ba­to an­che per­ché si ac­cor­ge che pure nel­l’al­tra aula il cro­ci­fis­so è sta­to la­scia­to nel cas­set­to; chia­ma in di­spar­te il pre­si­den­te del­la com­mis­sio­ne, pro­fes­sor N, e par­la con lui a lun­go. Igno­ro cosa si sia­no det­ti ma ho avu­to l’im­pres­sio­ne che ri­te­nes­se la man­ca­ta af­fis­sio­ne cosa gra­vis­si­ma (si ri­fe­ri­va al sim­bo­lo chia­man­do­lo “no­stro si­gno­re”). Il pre­si­den­te N è im­ba­raz­za­to, non vuo­le as­so­lu­ta­men­te pro­ble­mi, vor­reb­be solo che l’e­sa­me pro­ce­des­se sen­za in­top­pi; così vado nel­l’au­la del­la com­mis­sio­ne dove in­vi­to M, C ed N a dia­lo­ga­re per tro­va­re la so­lu­zio­ne mi­glio­re. Ma M ri­fiu­ta qual­sia­si dia­lo­go, è ar­rab­bia­tis­si­mo e mi­nac­cia di ri­vol­ger­si (nel­l’or­di­ne) al pre­si­de, al­l’i­spet­to­re, al­l’av­vo­ca­to, ai ca­ra­bi­nie­ri. Ri­fiu­ta quin­di di par­la­re e va a chia­ma­re il vi­ce­pre­si­de pro­fes­sor R.

Il vi­ce­pre­si­de R so­prag­giun­ge, ed esor­di­sce di­cen­do che “quan­do noi an­dia­mo nei loro pae­si non ci fan­no co­strui­re le chie­se”: ba­ste­reb­be que­sto per in­do­vi­na­re il se­gui­to… Io e la col­le­ga C ri­bat­tia­mo che for­se si ri­fe­ri­sce a re­gi­mi teo­cra­ti­ci, men­tre l’I­ta­lia è uno sta­to lai­co. Il “dia­lo­go” però, come si può fa­cil­men­te im­ma­gi­na­re, è di­ven­ta­to aspro. Il vi­ce­pre­si­de R ri­met­te con la for­za il cro­ci­fis­so al muro, cosa che in­di­spet­ti­sce non poco la col­le­ga C. Poi ci in­vi­ta, con tono mi­nac­cio­so, nel suo uf­fi­cio per par­la­re. Nel­l’uf­fi­cio del vi­ce­pre­si­de io e C ri­ba­dia­mo (o ten­tia­mo di ri­ba­di­re) che la pre­sen­za del­la cro­ce non ci era sem­bra­ta op­por­tu­na, che la scuo­la è pub­bli­ca e lai­ca e che la de­ci­sio­ne di “non af­fig­ge­re” (che è di­ver­so da “to­glie­re”) era sta­ta pre­sa di co­mu­ne ac­cor­do e non era sta­ta con­te­sta­ta.

Gli ar­go­men­ti di R era­no in­ve­ce di un al­tro te­no­re: “Loro ven­go­no nel no­stro pae­se e de­vo­no ac­cet­ta­re le no­stre re­go­le e i no­stri sim­bo­li”; “quan­do io sono an­da­to in Tur­chia a por­ta­re sol­di e ci­vil­tà non mi fa­ce­va­no mo­stra­re nean­che la cro­ce che por­to al col­lo”; “quan­do han­no iscrit­to i loro fi­gli a que­sta scuo­la i ge­ni­to­ri sono ve­nu­ti a lec­car­mi i pie­di e a rin­gra­ziar­mi, quin­di ora il cro­ci­fis­so gli sta be­nis­si­mo, e nes­su­no si è mai la­men­ta­to”; “in que­sta scuo­la sia­mo tut­ti cri­stia­ni”. As­se­ri­sce di es­se­re egli stes­so un “ateo di mer­da”, pro­nun­cia­no però la fra­se a voce così alta che, se qual­cu­no l’a­ves­se sen­ti­ta fuo­ri dal­la stan­za, avreb­be po­tu­to pen­sa­re a un in­sul­to nei miei con­fron­ti. E co­mun­que il cro­ci­fis­so è an­che il “sim­bo­lo del­la su­pe­rio­ri­tà del­la no­stra cul­tu­ra”. Sic­co­me que­ste ar­go­men­ta­zio­ni ci sem­bra­va­no osce­ne e inac­cet­ta­bi­li, il vi­ce­pre­si­de R, ar­rab­bia­tis­si­mo, ha mi­nac­cia­to di far in­ter­ve­ni­re una ispet­tri­ce di sua co­no­scen­za. La col­le­ga C ha mi­nac­cia­to di chia­ma­re il suo av­vo­ca­to. Io mi sono fat­to una ri­sa­ta. Quel gior­no, co­mun­que, nes­su­no ha osa­to ri­met­te­re al suo po­sto il cro­ci­fis­so nel­l’au­la in cui si sta­va svol­gen­do la pro­va scrit­ta, per cui la gior­na­ta si è con­clu­sa con una cro­ce nel cas­set­to.

Nei due gior­ni suc­ces­si­vi, in­ve­ce, tro­via­mo tut­te le cro­ci ap­pe­se a tut­ti i muri. Il pre­si­den­te N e al­tri col­le­ghi, fra cui al­cu­ni as­sen­ti il pri­mo gior­no, mi pren­do­no in di­spar­te e spie­ga­no che l’ot­tu­si­tà dei pro­fes­so­ri M ed R è ben nota e che sa­reb­be me­glio da par­te mia evi­ta­re di fo­men­ta­re bat­ta­glie, fare buon viso a cat­ti­vo gio­co e ti­ra­re avan­ti con se­re­ni­tà per il bene del­l’e­sa­me di sta­to. In­som­ma, mi di­co­no di non dare fa­sti­dio, bi­so­gna an­da­re avan­ti con il la­vo­ro e non c’è tem­po per que­ste scioc­chez­ze ideo­lo­gi­che. Pur con­tra­ria­to, ac­cet­to e mi pren­do l’im­pe­gno di non aprir boc­ca sul­la que­stio­ne e di non sol­le­va­re più pro­ble­mi. Le cro­ci sa­reb­be­ro ri­ma­ste al muro e zit­ti tut­ti. Man­ten­go l’im­pe­gno, fac­cio bat­tu­te di al­tro ge­ne­re e scher­zo ami­che­vol­men­te con tut­ti, come se nul­la fos­se ac­ca­du­to.

Ar­ri­va­ti al fine set­ti­ma­na, in­ve­ce, il pre­si­den­te N mi te­le­fo­na a casa e mi dice che, già da al­cu­ni gior­ni, è in cor­so una ispe­zio­ne. L’i­spet­tri­ce a quan­to pare è sta­ta chia­ma­ta dav­ve­ro, an­che se nes­su­no ne era sta­to in­for­ma­to (N, in quan­to pre­si­den­te di com­mis­sio­ne, è mol­to sec­ca­to di non es­se­re sta­to av­vi­sa­to!) e ha già con­fe­ri­to in se­gre­to e se­pa­ra­ta­men­te con al­cu­ni mem­bri del­la com­mis­sio­ne. Do­ma­ni (sa­ba­to) vuo­le sen­ti­re an­che me, sem­pre da solo e in pri­va­to. L’i­spet­tri­ce ascol­ta la mia ver­sio­ne dei fat­ti, ma si con­cen­tra su un uni­co aspet­to del­la vi­cen­da: “E' sta­to lei a to­glie­re il cro­ci­fis­so?” è la do­man­da che ri­pe­te più vol­te nel cor­so del col­lo­quio. Io ri­spon­do di no, l’i­spet­tri­ce tor­na a chie­der­me­lo come se vo­les­se una ri­spo­sta di­ver­sa, una con­fes­sio­ne. Ma non si può co­strin­ge­re un uomo li­be­ro a con­fes­sa­re ciò che non ha fat­to, al­me­no da quan­do non è più le­ga­le l’u­so del­la tor­tu­ra, con­ti­nuo quin­di a ri­spon­de­re di no.

L’i­spet­tri­ce mi chie­de di met­te­re per iscrit­to una di­chia­ra­zio­ne in cui af­fer­mo di aver scon­si­glia­to al col­le­ga di riap­pen­de­re il cro­ci­fis­so, di fron­te ai ra­gaz­zi. Lo fac­cio (e for­se com­met­to un er­ro­re, avrei do­vu­to ri­fiu­tar­mi o chie­de­re il pa­re­re di un av­vo­ca­to o di un sin­da­ca­li­sta). Poi chia­ma “a te­sti­mo­nia­re” an­che il vi­ce­pre­si­de R e un bi­del­lo, da­van­ti a loro mi chie­de “lei di dove è?”, io ri­spon­do “di Ca­ser­ta”… “si ma dove è nato?” e io “a Ca­ser­ta! Sono ita­lia­no” (qui ca­pi­sco che for­se pen­sa­va­no che fos­si uno stra­nie­ro), poi an­co­ra mi chie­do­no “di che re­li­gio­ne sono” e io mi ri­fiu­to di ri­spon­de­re di­cen­do che, vi­ste le do­man­de, ho fon­da­ti mo­ti­vi di te­me­re la di­scri­mi­na­zio­ne in base al­l’o­rien­ta­men­to re­li­gio­so.

Il gior­no del­la ter­za pro­va scrit­ta nel­le aule tro­via­mo una no­vi­tà: un fo­gliet­to at­tac­ca­to al muro, sot­to al cro­ci­fis­so, con una pre­ghie­ra di umil­tà; in tut­te le aule. Non ba­sta: pri­ma del­l’i­ni­zio del­la pro­va, nel­l’an­dro­ne del­la scuo­la, il pro­fes­sor M ha fat­to fir­ma­re ad al­cu­ni dei can­di­da­ti una di­chia­ra­zio­ne scrit­ta in cui essi so­sten­go­no di es­se­re tur­ba­ti dal­l’as­sen­za del cro­ci­fis­so. La pro­fes­so­res­sa C si ac­cor­ge di que­sto fat­to e ne è tal­men­te in­di­gna­ta da scri­ve­re im­me­dia­ta­men­te una let­te­ra al pre­si­de e al pre­si­den­te N, che poi pre­ten­de di far pro­to­col­la­re alla se­gre­te­ria del­la scuo­la (riu­scen­do­ci, ma non sen­za no­te­vo­li dif­fi­col­tà).

Que­sto pro­vo­ca un nuo­vo in­ter­ven­to del­l’i­spet­tri­ce, che di nuo­vo ci con­vo­ca a grup­pet­ti per par­la­re se­pa­ra­ta­men­te; al col­lo­quio più lun­go, con la pro­fes­so­res­sa C, non ho po­tu­to as­si­ste­re; so solo che la col­le­ga C è usci­ta dal­la stan­za in la­cri­me, scon­vol­ta e ha chie­sto di es­se­re ac­com­pa­gna­ta in ospe­da­le. L’i­spet­tri­ce chie­de an­co­ra di sen­tir­ci tut­ti in pre­si­den­za. Esor­di­sce ri­vol­gen­do­si a me con que­ste pa­ro­le “la­sci che le par­li come da ma­dre a fi­glio…” (lei è più an­zia­na e io gio­va­ne). Ri­bat­to: “No. Mi par­li come da ispet­to­re a com­mis­sa­rio e mi spie­ghi se è qui in ve­ste in­for­ma­le o se qual­cu­no l’ha chia­ma­ta e qua­li sono i mo­ti­vi del­la sua ispe­zio­ne”. Nien­te da fare, con­ti­nua chie­den­do­mi in­si­sten­te­men­te se sono sta­to io a ri­muo­ve­re il cro­ci­fis­so. Ov­via­men­te con­ti­nuo a ri­spon­de­re di no… e al­lo­ra sbot­ta con “ba­sta con le bu­gie, ho tut­te le re­gi­stra­zio­ni e le de­po­si­zio­ni!” Le ri­spon­do “come si per­met­te di dar­mi del bu­giar­do? Mi fac­cia ve­de­re le re­la­zio­ni di chi dice il con­tra­rio, bu­giar­do è lui e lo de­nun­cio”, ma si ri­fiu­ta di dir­me­lo.

Le chie­do se era sta­ta sua l’i­ni­zia­ti­va di far fir­ma­re di­chia­ra­zio­ni scrit­te agli alun­ni, si ri­fiu­ta di ri­spon­der­mi. Glie­l’ho chie­sto più vol­te nel cor­so del­la mat­ti­na­ta, si è sem­pre ri­fiu­ta­ta di ri­spon­de­re. A un cer­to pun­to si of­fen­de per­chè le fa­ce­vo do­man­de, so­stie­ne che a fare le do­man­de do­ves­se es­se­re solo lei. Mi dice che avrei poi let­to la re­la­zio­ne che avreb­be pre­sen­ta­to ai su­pe­rio­ri a fine que­stio­ne. Poi mi mi si ri­vol­ge di­cen­do che “come lei sa be­nis­si­mo la nor­ma­ti­va dice che…”: io le chie­do a qua­le nor­ma­ti­va si ri­fe­ri­sce, di ci­tar­mi la leg­ge (mol­to sem­pli­cie­men­te, vor­rei che mi dicesse che “la leg­ge” è una cir­co­la­re fa­sci­sta del 1926), ma qui non solo si ri­fiu­ta di ri­spon­der­mi ma, stig­ma­tiz­zan­do il mio at­teg­gia­men­to, in­ter­rom­pe il col­lo­quio.

L’i­spet­tri­ce riu­ni­sce poi tut­ta la com­mis­sio­ne da­van­ti a sè (a ec­ce­zio­ne del­la col­le­ga C che nel frat­tem­po era sem­pre in ospe­da­le), e fa un lun­go pre­di­coz­zo sul­la scar­sa op­por­tu­ni­tà di fare bat­ta­glie ideo­lo­gi­che in sede d’e­sa­me. Nel si­len­zio di tut­ti i com­mis­sa­ri, sono io l’u­ni­co che ha il co­rag­gio di pro­va­re a ri­spon­de­re, sem­pre in­ter­rot­to con suo stu­po­re per­ché stra­na­men­te non me la fac­cio sot­to di fron­te al­l’au­to­ri­tà come pre­vi­sto…

Di fron­te a que­sto at­teg­gia­men­to tut­ti i miei col­le­ghi, ma pro­prio tut­ti (tran­ne il prof M) si schie­ra­no dal­la mia par­te, mo­stran­do una blan­da osti­li­tà al­l’i­spet­tri­ce. Vi­sto che “in­ter nos” era­va­mo già ad­di­ve­nu­ti al­l’op­por­tu­ni­tà di pla­ca­re gli ani­mi e an­da­re avan­ti, e il suo in­ter­ven­to non ha fat­to al­tro che peg­gio­ra­re le cose. In­som­ma ho in­cas­sa­to la so­li­da­rie­tà di tut­ti i col­le­ghi, so­prat­tut­to del pre­si­den­te N. L’e­sa­me è poi an­da­to avan­ti con gli ora­li sen­za pro­ble­mi, fi­ni­to l’e­sa­me ho chie­sto al prov­ve­di­to­ra­to di Ca­ser­ta di pren­de­re vi­sio­ne dei rap­por­ti com­pi­la­ti dal­l’i­spet­tri­ce e dal pre­si­den­te N (vi­sto che mol­te del­le mie do­man­de era­no ri­ma­ste sen­za ri­spo­sta, e che mi era sta­to det­to che avrei do­vu­to aspet­ta­re le re­la­zio­ni per ave­re quel­le ri­spo­ste). Il fun­zio­na­rio del prov­ve­di­to­ra­to con cui ho par­la­to mi ha det­to che que­sti do­cu­men­ti non sono in loro pos­ses­so e che devo ri­vol­ger­mi ad un uf­fi­cio di Na­po­li (cosa che farò dopo le fe­rie esti­ve, cre­do).

Se­con­do me, ciò che ren­de uni­ca tale vi­cen­da è che si trat­ta di un sin­go­la­re caso di “non af­fis­sio­ne” piut­to­sto che di “ri­mo­zio­ne”: non a caso mi sono op­po­sto du­ra­men­te al tono in­qui­si­to­rio con cui mi si chie­de­va di con­fes­sa­re di aver ri­mos­so il cro­ci­fis­so, as­su­men­do­mi solo la re­spon­sa­bi­li­tà di aver omes­so l’af­fis­sio­ne, e di aver scon­si­glia­to (solo ver­bal­men­te) al­tri a far­lo. Co­no­sco bene le vi­cen­de (e gli in­suc­ces­si) dei vari To­sti, Cop­po­li e Lau­tsi. Ho so­la­men­te chie­sto di non ap­pen­de­re un sim­bo­lo con­fes­sio­na­le.

Una cosa che ho im­pa­ra­to da que­sta vi­cen­da è che il sim­bo­lo del­la cro­ce, va­len­ze re­li­gio­se a par­te, è a vol­te un pre­te­sto per per­met­te­re a fa­sci­sti fru­stra­ti e xe­no­fo­bi di far sen­ti­re a di­sa­gio gli alun­ni stra­nie­ri, non cre­den­ti o di un’al­tra re­li­gio­ne. Ma que­sta è solo un’im­pres­sio­ne per­so­na­le. Se pri­ma la cro­ce in aula era sol­tan­to una que­stio­ne di prin­ci­pio, ora è per me una que­stio­ne di co­scien­za pro­fes­sio­na­le. Ora an­cor più di pri­ma sen­to che il sim­bo­lo è inop­por­tu­no: non solo per­ché pri­vi­le­gia una re­li­gio­ne, ma per­ché si pre­sta a di­ven­ta­re il sim­bo­lo del­la “cul­tu­ra ita­lia­na”, uni­ca, im­po­sta a chi ha una “cul­tu­ra di­ver­sa” come sim­bo­lo di su­pe­rio­ri­tà. Il che, so­prat­tut­to a scuo­la, non è bel­lo.

 

Foto: L. Torregiani/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.210) 17 agosto 2013 21:28

    Permetto che non sono di idee di destra, ne tanto meno mi ritengo cattolico. Sono italiano e sono nato con la cultura cristiana, ma il fatto che mi definisco "non cattolico", sostengo che, tale cultura cattolica, non mi abbia forzato in alcun che. Però io sono più dell’idea che le tradizioni vanno rispettate e nessuno deve imporre ad altri l’abolizione delle proprie tradizioni. Quindi, piuttosto che costringere a togliere un simbolo che è più costume che simbolo religioso, inviterei, chi vuole, ad appendere un simbolo nel quale si riconoscono come cultura o credo, (certo che non vada contro le leggi italiane) non dimenticandosi mai il rispetto reciproco. Ripeto, non sono di destra e non penso di essere xenofobo. Ho diversi amici mussulmani che rispetto e che mi rispettano, però se io ospito qualcuno a casa mia, questo qualcuno non può impormi di eliminare dalle pareti di casa mia ciò che fa parte della mia cultura e delle mie tradizioni (non ho crocefissi in casa). Ad esempio io aborro la tv,...ma non per questo quando visito un amico gli impongo di non accenderla. E’ sempre una questione di rispetto che, per funzionare, deve essere necessariamente bilaterale. 

    • Di (---.---.---.154) 17 agosto 2013 23:54

      Quella non è casa tua, non è casa mia, non è casa di tizio o di caio, è casa di tutti ed è proprio per rispettare tutti che non deve esserci nessun simbolo religioso. Io sono italiano, sono stato educato alla religione cattolica ma già dai primi anni di liceo sono diventato non credente e poi ateo convinto e il crocefisso appeso era per me semplicemente un’imposizione senza senso. 

  • Di (---.---.---.44) 18 agosto 2013 12:36

    ma poi ancora con questa storia del: "a casa loro non ci fanno costruire neanche le chiese" e la maggior parte di quelli che affermano cose del genere non conoscono un fico secco della "casa loro"…Ma poi quale "casa loro"???

    Che ignoranza, l’Islam, se di questo parliamo, dato che vi sono altre mille fedi al mondo, è talmente vasto e vario che si passa sì dall’intolleranza radicale alla tolleranza per le chiese Cristiane ( vedi Egitto ).
    Ma se anche fossero tutti solo e soltanto estremisti intolleranti che c’entra?
    Siccome loro fanno così noi rispondiamo per difenderci e mostriamo orgoglio culturale col crocefisso?
    No, tutti i cittadini Italiani, di qualunque credo, UGUALI di fronte alle leggi dello stato LAICO Italiano..
    Le religioni dividono più che unire, ma ancora non ve ne siete accorti?
  • Di (---.---.---.242) 18 agosto 2013 12:47
    « La politica scolastica del partito clericale non può essere in Italia che una sola: deprimere la scuola pubblica, non far nulla per migliorarla e più largamente dotarla; favorire le scuole private confessionali con sussidi pubblici, e con sedi d’esami, con pareggiamenti; rafforzata a poco a poco la scuola privata confessionale e disorganizzata la scuola pubblica, sopprimere al momento opportuno questa e presentare come unica salvatrice della gioventù quella. Programma terribilmente pericoloso perché non richiede nessuno sforzo di lotta attenta ed attiva ma solo di una tranquilla e costante inerzia, troppo comoda per i nostri burocrati e per i nostri politicanti, troppo facile per l’oligarchia opportunista che ci sgoverna. »(Gaetano Salvemini, Che cosa è la laicità (1907), in Scritti sulla scuola, in Opere, Vol. V, a cura di L. Borghi e B. Finocchiaro, Milano, Feltrinelli, 1969, cit., p. 891)

    Parole tanto semplici quanto profetiche, purtroppo.

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