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Magisteri non sovrapponibili: scienza e religione possono convivere?

Il biologo statunitense Stephen Jay Gould ha proposto l’idea che scienza e religione possano convivere separatamente poiché ognuna avrebbe un proprio ambito. Eppure in realtà spesso la religione straborda e si pone in contrasto con la scienza. Il chimico e divulgatore Silvano Fuso mette in dubbio questa presunta compatibilità, sul numero 3/23 di Nessun Dogma

 

Il biologo, paleontologo e divulgatore americano Stephen Jay Gould nel 1997 pubblicò sulla rivista Natural History un articolo, divenuto famoso, dal titolo Non-overlapping Magisteria (1), cioè Magisteri non sovrapponibili. Il contenuto dell’articolo, due anni dopo, venne riproposto nel libro Rocks of Ages (2), dove il tema viene più estesamente sviluppato. I due magisteri cui Gould fa riferimento sono quelli della scienza e della religione.

Gould in pratica sostiene che scienza e religione possono pacificamente convivere poiché ognuna ha il proprio dominio, che non si sovrappone a quello dell’altra. Nel libro citato Gould afferma espressamente: «Il magistero della scienza copre la realtà empirica: di che cosa è composto l’universo (il “fatto”) e perché funziona così (la “teoria”). Il magistero della religione si estende sulle questioni del significato ultimo e dei valori morali. Questi due magisteri non si intersecano, né esauriscono ogni tipo di ricerca (consideriamo per esempio il magistero dell’arte e il significato di bellezza)» (3).

Una posizione simile a quella espressa da Gould è stata sostenuta nel 1999 dalla National Academy of Sciences nella pubblicazione Science and Creationism, dove si legge: «Gli scienziati, come molti altri, sono sensibili all’ordine e alla complessità della natura. Molti tra essi sono poi profondamente religiosi. Ma la scienza e la religione nell’esperienza umana occupano due ambiti separati. Tentare di unirli diminuisce lo splendore di entrambi» (4).

La posizione di Gould e della National Academy of Sciences, tuttavia, non rappresenta una novità particolarmente originale. Anche altri autori, nel passato, hanno sostenuto tesi simili. Ad esempio, il filosofo e matematico Alfred North Whitehead, nel 1925 aveva scritto: «Ricordiamo gli aspetti assai diversi dei fatti di cui ci si occupa rispettivamente nella scienza e nella religione.

La scienza tratta le condizioni generali che regolano i fenomeni fisici, secondo le osservazioni; mentre la religione è completamente avvolta nella contemplazione dei valori morali ed estetici. Da un lato c’è la legge di gravitazione, dall’altro la contemplazione della bellezza della santità. Una parte coglie ciò che l’altra non riesce a vedere; e viceversa» (5).

Lo stesso Galileo nella celebre lettera a Cristina di Lorena scritta nel 1615, afferma che esiste una netta distinzione tra le finalità delle Sacre Scritture e quelle della scienza: «[…] non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né se la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuta intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere […] quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole […] ciò è l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo» (6).

Apparentemente la tesi può sembrare convincente. Ma un esame più approfondito ne mette in evidenza i limiti. Limiti che furono immediatamente fatti notare dai diversi interventi critici che l’articolo di Gould suscitò. Tra questi ricordiamo quelli dello zoologo Richard Dawkins, del filosofo e neuroscienziato Sam Harris, del genetista Francis Collins e altri.

È sicuramente vero che la scienza, per sua natura, si occupa solo di entità empiricamente rilevabili. Cerca di comprendere la realtà nell’ambito del “conoscibile”, senza pretendere di raggiungere verità assolute, nella consapevolezza che ogni nuova scoperta non fa altro che allargare la frontiera della realtà a noi sconosciuta. La religione, al contrario, si occupa (o dovrebbe occuparsi) di questioni metafisiche che sfuggono a ogni possibilità di indagine empirica.

In linea di principio quindi, se entrambe si limitassero al proprio dominio di competenza, potrebbe essere possibile una pacifica convivenza. È ovvio che la scienza lascia scoperti numerosi settori della nostra esistenza: nulla ci dice infatti sul senso della vita, su quello della realtà in cui viviamo e su molte cose che appartengono alla sfera puramente umana o, se si vuole, spirituale.

In questi settori, se a qualcuno fa piacere, possono trovare spazio risposte di tipo metafisico in grado di svolgere un ruolo consolatorio e forse migliorare l’esistenza dei singoli individui o per lo meno di coloro i quali trovano deprimente vivere senza certezze assolute. Come ebbe a osservare John Stuart Mill nei suoi Saggi sulla religione: «Finché la vita umana sarà inferiore alle aspirazioni degli uomini vi sarà un desiderio insaziabile per cose superiori, che trova la sua più ovvia soddisfazione nella religione. Finché la vita terrena sarà piena di sofferenze vi sarà necessità di consolazioni, che la speranza del Cielo offre agli egoisti, e l’amor di Dio alle persone miti e riconoscenti» (7).

Si tratta ovviamente di scelte puramente soggettive in cui l’opinione del singolo è sovrana. Significativa a tale proposito è la posizione di un noto scettico e razionalista, il giocologo matematico americano Martin Gardner, che in un’intervista del 1997 affermò: «Il saggio che cito più spesso a difesa del fideismo è La volontà di credere di William James.

In sostanza, James afferma che, se si hanno forti ragioni emotive per credere a un’affermazione metafisica, e la stessa non è definitivamente contraddetta dalla scienza o da qualche argomentazione logica, allora si ha il diritto di compiere il cosiddetto salto della fede se questo procura una sufficiente soddisfazione. Questa posizione fa imbestialire gli atei perché non possono più discutere con te, così come non possono discutere del fatto che ti piaccia o meno la birra. Per me è tutta una questione emotiva» (8).

È interessante sottolineare la condizione posta da James e da Gardner: «se si hanno forti ragioni emotive» si può credere a un’affermazione metafisica «se la stessa non è definitivamente contraddetta dalla scienza o da qualche argomentazione logica». Osserviamo però che se un’affermazione può essere contraddetta dalla scienza non è propriamente metafisica.

Riteniamo che il punto cruciale di tutto il discorso sia proprio questo: definire cosa si intenda per metafisica. L’Enciclopedia Treccani definisce la metafisica nel modo seguente: «Branca della filosofia che, tradizionalmente, mira a individuare la natura ultima e assoluta della realtà al di là delle sue determinazioni relative, oggetto delle scienze particolari».

La metafisica quindi, a differenza della scienza, ambirebbe a una spiegazione ultima della realtà. È però evidente che essa, ammesso che abbia senso parlarne, debba casomai aggiungere qualcosa alle scienze particolari e non può, in nessun caso, entrare in conflitto con esse e tanto meno sostituirsi a esse.

Purtroppo però la storia insegna che il concetto di metafisica delle religioni tradizionali non ha mai soddisfatto questi requisiti. Lo stesso Gould cercò di ribattere a questo tipo di obiezioni affermando: «La religione non può essere messa sullo stesso piano del letteralismo della Genesi, del miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro… o dei codici biblici della cabala e delle moderne campagne pubblicitarie sui media.

Se questi colleghi vogliono combattere la superstizione, l’irrazionalismo, il filisteismo, il dogma e una serqua di altri insulti all’intelligenza umana (spesso convertiti politicamente anche in pericolosi strumenti di morte e di oppressione) allora che Dio li benedica – ma non chiamino “religione” questo nemico» (9).

E come si dovrebbe chiamare? Con buona pace di Gould, la religione reale è fatta anche e soprattutto delle cose da lui elencate. Gould, ateo dichiarato, ha evidentemente in testa un modello ideale di religione che di fatto però non è mai esistito. Forse l’unica religiosità compatibile con le idee di Gould è costituita da alcune forme di teismo di stampo illuministico che ipotizza un dio distante, del tutto distaccato dal mondo e completamente indifferente alle vicende terrene. Un teismo che nella pratica non è poi così diverso dall’ateismo.

Ma quante delle persone credenti accetterebbero una religiosità di questo tipo? Quanti rinuncerebbero all’idea di un dio immanente, un dio che fa miracoli, un dio che si può pregare, un dio che giudica, premia e castiga, eccetera? (L’idea di preghiera merita un commento particolare. Il credente che prega il suo dio lo sta invitando a intervenire per modificare il corso degli eventi. Se si ammette questa possibilità, come si può, contemporaneamente, accettare una descrizione degli eventi come quella fornita dalla scienza?)

Purtroppo nelle forme reali di religiosità si accettano moltissime affermazioni che non sono affatto propriamente metafisiche e che entrano inevitabilmente in rotta di collisione con la scienza e la logica. Prima fra tutte è l’ammissione dell’esistenza del soprannaturale e della possibilità di quest’ultimo di manifestarsi nel reale.

Questo porta spesso i credenti a intraprendere dure battaglie contro le concezioni scientifiche che contrastano con le proprie convinzioni. Se si limitassero a criticare certe eventuali derive metafisiche della scienza, l’intervento potrebbe anche essere legittimo. Può infatti capitare che da certe teorie scientifiche qualcuno tragga impropriamente conseguenze metafisiche e/o ideologiche ingiustificate.

L’esempio più evidente del passato è costituito dal positivismo ottocentesco che aveva elevato la stessa scienza a metafisica, assolutizzando le sue affermazioni. La necessità di non sconfinare dal proprio dominio vale evidentemente per la religione, ma anche per la scienza.

Purtroppo però chi è condizionato da una fede religiosa molto spesso non accetta certe affermazioni della scienza poiché le considera, giustamente, un pericolo per le proprie convinzioni. Uno degli esempi più significativi sono le battaglie che molti credenti hanno condotto e conducono contro la teoria darwiniana dell’evoluzione.

Dal loro punto di vista infatti è comprensibile considerare tale teoria un pericolo per le loro credenze. Chi cerca infatti di conciliare le proprie credenze religiose con le affermazioni della moderna biologia è costretto a rischiosissime acrobazie logiche.

A proposito di evoluzione vi è poi un’altra questione interessante. Molte ricerche che coinvolgono studiosi di evoluzione, neuroscienziati e psicologi cognitivi, da qualche tempo, stanno fornendo interessantissimi contributi che consentono di comprendere come nasca nell’uomo il sentimento religioso (10). Francamente mi resta davvero difficile capire come un credente possa mantenere la propria fede e contemporaneamente accettare questi risultati della scienza.

Discorso simile vale per la morale. Lo stesso Gould ha affermato (vedi sopra) che «Il magistero della religione si estende sulle questioni del significato ultimo e dei valori morali». La scienza tuttavia sta cominciando a fornire interessanti contributi anche per spiegare la nascita dei principi morali, ad esempio riesce a interpretare evolutivamente l’origine dell’altruismo (11). Anche in questo caso la non sovrapponibilità dei due magisteri affermata da Gould viene evidentemente meno.

Per concludere, quindi, la tesi dei due magisteri non sovrapponibili, a un esame più approfondito, non appare molto solida. Scienza e religione appaiono, in ultima analisi, difficilmente compatibili e conciliabili (12). Come ha affermato Richard Dawkins, «Un universo con una presenza soprannaturale sarebbe un tipo di universo fondamentalmente e qualitativamente diverso da uno senza» (13). E la scienza descrive inevitabilmente un universo privo di soprannaturale.

La tesi di Gould appare sostanzialmente come un tentativo diplomatico (14) di salvare capra e cavoli, mantenendo un atteggiamento rispettoso verso la religione. Non per niente questa tesi viene generalmente condivisa dai credenti. Rappresenta infine anche un modo abbastanza elegante per evitare di impelagarsi in lunghe discussioni (confesso di averne fatto uso io stesso, in qualche circostanza, non avendo voglia di discutere).

Silvano Fuso

Approfondimenti

  1. S.J. Gould, Nonoverlapping Magisteria, Natural History 106, 16-22, 1997; consultabile alla pagina go.uaar.it/waz7q12
  2. Traduzione italiana (di M. Papi.): S.J. Gould, I pilastri del tempo. Sulla presunta inconciliabilità tra fede e scienza, Il Saggiatore, Milano, 2000
  3. Ibid.
  4. Science and Creationism: A View from the National Academy of Sciences, National Academy Press, Washington, DC: 1999
  5. A.N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bompiani, Torino, 1945 (p. 265)
  6. G. Galilei, Lettere, Einaudi, Torino 1978 (pp. 128-135)
  7. J.S. Mill, Saggi sulla religione, Feltrinelli, Milano 2006
  8. Intervista di Michael Shermer a Martin Gardner, Skeptic 5 (2), 1997
  9. S.J. Gould, I pilastri del tempo. Sulla presunta inconciliabilità tra fede e scienza, op. cit. (pp. 209-210)
  10. M. Shermer, Homo credens. Perché il cervello ci fa coltivare e diffondere idee improbabili, Nessun Dogma, Roma 2015; J. Anderson Thomson, Perché crediamo in Dio (o meglio, negli dèi), Nessun Dogma, 2015; V. Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Codice Edizioni, 2008; Bruce M. Hood, Supersenso. Perché crediamo nell’incredibile, Il Saggiatore 2010
  11. M. Nowak, Supercooperatori, Codice Edizioni, Torino 2012; P.S. Churchland, Neurobiologia della morale, Raffaello Cortina, Milano 2012
  12. J. A. Coyne, O scienza o religione. Perché la fede è incompatibile coi fatti, Nessun Dogma, Roma 2016
  13. R. Dawkins, When Religion Steps on Science’s Turf, Free Inquiry, 18 (2) 1998; consultabile alla pagina: go.uaar.it/g4h61e2
  14. Lo stesso Gould lo affermò in occasione di un discorso tenuto nel marzo 2000 davanti all’American Institute of Biological Sciences, anche se non riteneva prioritario l’argomento diplomatico; consultabile alla pagina go.uaar.it/u4u77ix

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