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Mafia: accusa per Maurizio Marchetta. Dda di Messina: "l’imprenditore era a disposizione del boss Di Salvo"

Notificato al noto architetto e imprenditore barcellonese Maurizio Sebastiano Marchetta l’avviso di chiusura delle indagini preliminari in ordine al reato di concorso esterno (art. 110) in associazione mafiosa armata (art. 416 bis comma 4).

I Pm della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Messina, Angelo Cavallo e Francesco Massara, contestano all’indagato di aver “concorso nell’associazione denominata 'famiglia barcellonese', operante sul versante tirrenico della provincia di Messina, cui aderivano, tra gli altri, Giuseppe Gullotti, Giovanni Rao, Salvatore Di Salvo, Salvatore Ofria, Carmelo D’Amico, Carmelo Bisognano ed altri ancora, per i quali si è proceduto separatamente”. Sempre secondo i due Pm, l’organizzazione mafiosa di cui avrebbe fatto parte pure il Marchetta, “avvalendosi della forza d’intimidazione permanente dal vincolo associativo e dalla condizione assoluta di assoggettamento e di omertà che ne derivava sul territorio, programmava e commetteva delitti della più diversa natura contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e la fede pubblica, con l’obiettivo precipuo di acquisire in forma diretta ed indiretta la gestione e comunque il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri”.
 
In particolare, Maurizio Sebastiano Marchetta, nella sua qualità di socio delle imprese “Cogemar” ed “Archimpresa”, avrebbe svolto attività economiche in “società di fatto e comunque per conto e nell’interesse di Salvatore Di Salvo e di Carmelo Mastroeni”; Marchetta, inoltre avrebbe partecipato “ad una serie di turbative di aste ed appalti truccati anche per conto e nell’interesse” degli stessi Salvatore Di Salvo e Carmelo Mastroeni e di altri imprenditori ad essi vicini, tra i quali – citano i magistrati - il costruttore Mario Aquilia, recentemente condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiestaGotha 1, scattata il 24 giugno 2011.
 
“In tal modo – scrivono i magistrati Angelo Cavallo e Francesco Massara - ricavando vantaggi costituiti, per quanto riguarda Maurizio Marchetta, dallo svolgimento della propria attività imprenditoriale sotto la “protezione” e con l’“ausilio” dell’organizzazione mafiosa di riferimento, nonché potendo partecipare agli appalti pubblici truccati di cui sopra; per quanto riguarda l’associazione mafiosa barcellonese, in particolare Salvatore Di Salvo e Carmelo Mastroeni, ricavando il vantaggio di partecipare agli appalti pubblici truccati di cui sopra e di svolgere attività imprenditoriale “pulita” al riparo dai più penetranti controllo delle forze dell’ordine”. I reati contestati, secondo la Procura, sarebbero stati commessi in un periodo compreso tra il 1993 e il febbraio 2011. Maurizio Sebastiano Marchetta è difeso dall’avvocato Ugo Colonna del foro di Torino che, in attesa della richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura, potrà depositare memorie e la richiesta di interrogatorio a garanzia del proprio assistito.
Enfant prodige della politica e dell’imprenditoria nel Longano a fin anni ‘90, nel 2001 Marchetta ascese alla vicepresidenza del Consiglio comunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in rappresentanza di Alleanza Nazionale, il partito guidato al tempo dal senatore ed ex sottosegretario alle Infrastrutture, Domenico Nania.
 
Nel luglio 2003, con la deflagrazione dell’inchiesta denominata “Omega”, relativa all’infiltrazione della criminalità organizzata nella realizzazione di buona parte delle opere pubbliche della provincia di Messina, i magistrati contestarono all’imprenditore-consigliere di “aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata alle turbative d’asta”. Tre anni più tardi, furono i componenti della Commissione incaricata dalla Prefettura di Messina di verificare eventuali infiltrazioni mafiose nella gestione del Comune di Barcellona a tracciare un profilo tutt’altro che lusinghiero su Maurizio Sebastiano Marchetta. I commissari, in particolare, si soffermarono sugli “stretti rapporti di cointeressenza esistenti” con Salvatore “Sem” Di Salvo, pluripregiudicato ai vertici dell’organizzazione mafiosa del Longano, e le “documentate condotte agevolatrici volte ad introdurlo nella casa comunale per permettergli di sbrigare con facilità e speditezza qualunque tipo di pratica amministrativa”. Del politico-imprenditore furono inoltre evidenziate le frequentazioni con altri due personaggi di punta della criminalità barcellonese, Giovanni Rao e il noto avvocato Rosario Pio Cattafi, condannato in secondo grado nel novembre 2015 a 7 anni di reclusione nell’ambito del procedimento Gotha 3.
 
Nel gennaio 2009, come un fulmine a ciel sereno, trapelò la notizia di una “collaborazione volontaria” del Marchetta con gli organi di polizia sulle conoscenze acquisite come imprenditore e relative ai rapporti esistenti tra politica, mafia e massoneria nel messinese. Riferendo di essere stato oggetto per diversi anni di intimazioni e minacce di origine mafiosa, Marchetta ammise di aver versato denaro a favore di alcuni esponenti criminali barcellonesi per poter svolgere in “tranquillità” le opere ottenute in appalto in diverse località delle province di Messina e Catania. Grazie a quelle “rivelazioni” l’allora sostituto della DDA di Messina Giuseppe Verzera e il Pm di Barcellona Francesco Massara avviarono l’ampia indagine denominata “Sistema” che si concluse con gli arresti e i procedimenti penali nei confronti di Giuseppe D’Amico (al tempo boss emergente della famiglia barcellonese ed odierno collaboratore di giustizia), Pietro Nicola Mazzagatti (a capo della “famiglia di Santa” Lucia del Mela) e Carmelo Bisognano, al tempo boss della feroce cosca di Mazzarrà Sant’Andrea (oggi anch’egli collaboratore).
 
Durante le sue deposizioni ai magistrati peloritani, Maurizio Sebastiano Marchetta si soffermò in particolare sul cosiddetto meccanismo regolatore del “3 per cento”, quanto cioè si doveva pagare alla mafia per continuare a lavorare nella provincia di Messina. “Esiste un gruppo di imprenditori che adotta tale sistema su scala regionale e che fruisce sia di collegamenti con pubblici amministratori, sia con soggetti politici che svolgono una vera e propria funzione di referenti, sia con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata”, spiegò il professionista barcellonese.
 
Marchetta, già affiliato alla Loggia del Grande Oriente d’Italia “Fratelli Bandiera” e poi alla nuova Loggia del Goi “Eugenio Barresi”, entrambe con sede a Barcellona, puntò pure il dito contro le logge e i templi “occulti” della massoneria in cui sarebbe stato esercitato il potere del partito unico trasversale che regolerebbe la vita della fascia tirrenica del messinese. Dopo queste dichiarazioni, la Squadra Mobile della Questura di Messina avviò un’indagine sulla Gran Loggia Ausonia, un’obbedienza “indipendente” fondata a Barcellona il 15 gennaio 2004. “I fratelli dell’Ausonia punterebbero all’acquisizione ed al consolidamento di posizioni di vertice, nei contesti professionali e lavorativi in cui operano, ed incarichi presso strutture sanitarie che forniscono un bacino elettorale a cui attingere di volta in volta nelle competizioni amministrative e politiche, dietro cui staglierebbe, quale promotore e artefice ideatore, la figura del Senatore Domenico Nania”, ipotizzarono gli inquirenti. “Taluni di questi soggetti, inoltre, risulterebbero aver mantenuto rapporti con personaggi legati sia al mondo della politica che della criminalità organizzata barcellonese”. Nel dicembre 2014, tuttavia, il Pm Giorgio Nicola ha chiessto al Giudice per le indagini preliminari di Barcellona Pozzo di Gotto l’archiviazione dell’inchiesta sulle attività della “Gran loggia Ausonia” di Barcellona, non riscontrando la violazione della legge Anselmi che vieta e punisce la costituzione di “società segrete che cospirano contro le istituzioni e la sicurezza nazionale”.
 
Nel gennaio 2014, la credibilità come “testimone” di Maurizio Sebastiano Marchetta fu minata in sede processuale con la decisione della Corte di Appello di Messina di assolvere “per non avere commesso il fatto” Carmelo Bisognano e Carmelo D’Amico, accusati entrambi di estorsione in una costola del procedimento denominato “Sistema” In primo grado, con rito abbreviato, Bisognano era stato condannato a 10 anni e 8 mesi di reclusione, mentre D’Amico a 7 anni e 10 mesi. Nelle motivazioni della sentenza, il presidente del collegio giudicante Attilio Faranda, scrisse che le dichiarazioni dell’ex vicepresidente del consiglio comunale di Barcellona erano ”inattendibili”.
 
Un anno dopo era l’ex boss Carmelo d’Amico a chiamare pesantemente in causa l’imprenditore barcellonese. “Maurizio Marchetta era parte della nostra associazione, diciamo che era il nostro colletto bianco”, riportò D’Amico nel corso di un’udienza del processo Gotha3. Il collaboratore raccontò inoltre di aver saputo dell’esistenza di una loggia massonica coperta nel Longano. “Sem Di Salvo mi disse che a questa loggia massonica occulta apparteneva anche l’avvocato Rosario Cattafi, insieme al senatore Domenico Nania. Era una loggia di grandi dimen­sioni, che abbracciava le regioni della Si­cilia e della Calabria. Sempre Di Salvo mi disse che Cattafi insieme al Nania, amico stretto di Marchetta, erano fra i massimi responsabili di quella loggia occulta”. Carmelo D’Amico ha pure raccontato che il Marchetta si sarebbe speso per raccogliere voti tra i mafiosi barcellonesi in occasione delle campagne elettorali a favore dell’(ex) deputato regionale di Forza Italia, Antonino Beninati. L’ingegnere messinese ha comunque fermamente respinto le affermazioni di D’Amico.
 
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 24 febbraio 2017, http://www.stampalibera.it/2017/02/... 
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