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Macron, i numeri per governare la Francia

I risultati definitivi delle elezioni legislative in Francia consegnano al nuovo presidente un Parlamento non ostile. Ma pesano l’astensione e lo scetticismo degli elettori su punti chiave del suo programma

di Salvatore Borghese

Con la conclusione del secondo turno di elezioni legislative, la Francia ha ora sia un nuovo Presidente che una nuova Assemblea Nazionale e può avere davvero inizio la legislatura “nel segno di Macron”.

Il partito del neo-presidente ha conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento: insieme agli alleati centristi del MoDem può contare sul 60% dei seggi all’Assemblea Nazionale. Eppure non si è trattato di una vittoria travolgente. Vediamo perché.

Affluenza ancora in calo

La vittoria di Macron e del suo partito rischia di partire con un handicap: la delegittimazione politica data dal forte calo dell’affluenza rispetto al passato, sia in occasione delle elezioni presidenziali che in quelle legislative. In entrambi i casi si è assistito a un forte calo della partecipazione tra primo e secondo turno, un fenomeno che qui in Italia siamo abituati a considerare normale, ma che in Francia capita con frequenza – e intensità – molto minore, come mostra il grafico di Le Figaro:

Come mai ci sono stati tanti astensionisti? Qualcuno ha ipotizzato che sia dovuto alla “stanchezza” di votare per la quarta volta in pochi mesi, dopo una campagna presidenziale iniziata di fatto nel 2016. C’è sicuramente del vero in questa teoria (l’affluenza è scesa intorno al 60% da quando, nel 2002, c’è una coincidenza con le elezioni presidenziali) ma ciò che ha reso peculiari queste elezioni rispetto al passato è probabilmente il venir meno di un forte senso di contrapposizione tra destra e sinistra che aveva fin qui caratterizzato la competizione politica della Quinta Repubblica francese.

Un’indagine di Ipsos France ci dice che l’astensionismo non è stato trasversale: esso ha riguardato maggiormente alcune fasce sociali, ossia giovani e operai. Tra chi ha meno di 35 anni il dato dell’astensione è impressionante: oltre 7 su 10 hanno disertato le urne.

 

Astensionisti per condizione professionale (fonte: Ipsos France)

 

 

Astensionisti per sesso e fascia d’età (fonte: Ipsos France)

 

Maggioranza, ma non schiacciante

Macron raggiunge il suo obiettivo: il suo partito, République En Marche, ottiene la maggioranza assoluta, conquistando 308 seggi su 577. Il suo alleato, il partito centrista MoDem, ne ottiene altri 32, portando il totale a 350, circa il 60% dell’Assemblea Nazionale. Si tratta di una maggioranza presidenziale ampia, ma non eccessivamente, come pure si era previstoalla vigilia del voto (una maggioranza di 400 o più deputati non sarebbe comunque stata una novità nella storia francese).

Il primo gruppo di opposizione sarà quello della destra repubblicana: Les Républicains e i loro alleati dell’UDI conquistano in totale 137 seggi. Dovranno scegliere presto se fare un’opposizione intransigente o se assumere un atteggiamento più dialogante verso Macron (che ha nominato primo ministro proprio un esponente dei repubblicani, Edouard Philippe).

A sinistra il PS e i suoi alleati quasi scompaiono: ottengono solo 44 seggi. Il segretario socialista Cambadélis si è dimesso appena sono state rese note le primissime proiezioni, alla chiusura delle urne. Esulta invece la sinistra radicale, che tra i deputati eletti sotto le insegne di La France Insoumise (il movimento di Mélenchon) e quelli del PCF raggiunge quota 27 seggi, un numero ampiamente superiore ai 15 necessari a costituire un gruppo parlamentare autonomo. Un obiettivo, questo, che il Front National ha invece fallito, eleggendo solo 8 deputati (tra cui, per la prima volta, Marine Le Pen), comunque un passo avanti rispetto al 2012.

Guardando alle differenze con il 2012 emergono diversi aspetti di questo voto su cui vale la pena soffermarsi. Il primo aspetto è ovviamente l’exploit del “fronte macroniano”: REM, un movimento con un anno di vita, è diventato il primo partito, sia come numero di voti che a livello di seggi. Questo exploit è avvenuto senz’altro a scapito di entrambi i partiti maggiori tradizionali (socialisti e repubblicani), ma in modo molto più netto per quanto riguarda il Partito Socialista. Più che ad un passaggio da bipolarismo a tripolarismo è assistito, probabilmente, alla nascita di un nuovo bipolarismo, fondato sulla sostituzione della sinistra socialista da parte del fronte macroniano, similmente a quanto avvenne a inizio ‘900 in UK (quando i laburisti soppiantarono i liberali) o in Spagna all’inizio degli anni ’80 (con la sostituzione dell’Unione di Centro con il Partito Popolare).

Un altro elemento che va sottolineato è la capacità del sistema elettorale francese (maggioritario uninominale a due turni) di “fabbricare” maggioranze, ossia di dare la maggioranza assoluta dei seggi al partito (o alla coalizione) che rappresenta la minoranza più forte. In questo senso, non si può evitare di fare un paragone con le recenti elezioni generali del Regno Unito, dove il maggioritario di collegio funziona a turno unico. Con un sistema di quel tipo, Macron avrebbe potuto contare su una maggioranza ancora più ampia, perché i suoi candidati al primo turno sono arrivati in testa in molti più collegi di quelli che poi hanno effettivamente conquistato. Lo si vede bene anche dal confronto tra le due mappe di Le Monde:

Con un candidato centrista presente quasi in tutti i collegi al secondo turno, ci si poteva aspettare una vera e propria “landslide” macroniana: la caratteristica del doppio turno infatti è proprio quella di premiare il candidato meno sgradito, ed era lecito aspettarsi che sui candidati di REM e MoDem convergessero tanto i candidati di sinistra (dove l’avversario era un candidato repubblicano) quanto quelli di destra (dove invece l’avversario apparteneva a un partito di sinistra). Invece, sembra essere prevalsa, negli elettori, la percezione che fosse meglio non dare a Macron una maggioranza “eccessiva”. Da qui – forse – l’astensione di elettori che, dovendo scegliere, forse avrebbero votato per l’opzione più centrista.

Il nuovo Parlamento (e le sfide del nuovo governo)

Chi sono i nuovi deputati francesi? Ce lo mostra, in numeri, l’infografica di Libération, con cui scopriamo che su 577 deputati ben 224 sono donne (il 39%). Ben 39 deputati hanno meno di 31 anni, il che non sorprende visto che sono solo 147 i deputati uscenti riconfermati e addirittura 200 quelli alla loro prima esperienza parlamentare.

Deputati vecchi e nuovi dovranno votare i provvedimenti del nuovo governo, sul quale il giudizio dei francesi è interlocutorio: è ancora l’indagine di Ipsos France a rivelare che verso il nuovo presidente c’è una fiducia piuttosto trasversale per quanto riguarda i settori della diplomazia, dell’istruzione e della sicurezza (fanno eccezione solo gli elettori di Front National e France Insoumise), mentre i settori in cui fin da ora c’è più diffidenza verso il programma di Macron sono il lavoro e il fisco.

 
 
 
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