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Ma una volta la Merkel era comunista

La “Lady di ferro” tedesca, nonostante le sconfitte patite nelle consultazioni regionali, è in rimonta nei sondaggi elettorali. E nessuno ricorda più i suoi trascorsi Ddr.

Angela Dorothea Kasner, meglio nota come Angela Merkel (cioè col cognome del primo marito), è il personaggio politico attualmente più in vista nell’Unione europea e contro di lei si rivolgono gli strali di chi vorrebbe un’inversione di tendenza nella conduzione dell’economia comunitaria, ancorata ai principi neoliberisti della scuola dei Chicago Boys. Non molti, in verità, conoscono i trascorsi “comunisti” di colei che da taluni è considerata la nuova “Lady di ferro” del panorama politico europeo e che anche nei modi, pragmatici e sbrigativi, ricorda un po’ Margaret Thatcher.

Pur essendo nata nel 1954 ad Amburgo da Horst Kasner, pastore luterano, e da Herlind Jentzsch, insegnante di Lettere, Angela ha trascorso gran parte della sua giovinezza in Germania Orientale, precisamente a Templin nel Brandeburgo, dopo che il padre era stato nominato pastore della chiesa evangelica della vicina località di Quitzow. La Merkel, da ragazza, ha fatto parte del movimento Libera gioventù tedesca, l’organizzazione giovanile del Partito socialista unificato tedesco (il Sed, al potere nella Repubblica democratica tedesca-Ddr dal 1949 al 1990), diventando pure segretaria dell’Agit-prop (il settore per l’agitazione e la propaganda) presso l’Accademia delle scienze. L’attuale cancelliera tedesca ha studiato fisica all’Università di Lipsia con brillanti risultati e, dopo la laurea, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca presso l’Istituto centrale per la Chimica fisica dell’Accademia delle scienze di Berlino, risposandosi con Joachim Sauer, docente universitario di Chimica quantistica.

Nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, la Merkel ha cambiato schieramento politico, aderendo a Risveglio democratico, un nuovo partito di orientamento liberale moderato. Dopo le elezioni svoltesi in Ddr nel 1990 (le prime secondo regole democratiche), è diventata portavoce del governo guidato da Lothar de Maiziére, leader tedesco-orientale dell’Unione cristiano-democratica. La sua metamorfosi politica si è conclusa l’anno seguente, quando, in seguito alla riunificazione tedesca, Risveglio democratico è confluito nel Cdu: appena trentasettenne, la Merkel è stata nominata ministro della Condizione femminile dal cancelliere Helmut Kohl. Nel 1998 è diventata segretaria del Cdu, prendendo l’eredità di Kohl (dimessosi in seguito a uno scandalo) e, dopo le elezioni del 2005, è riuscita ad ascendere alla carica di cancelliere, restando in sella fino ad oggi.

Non ci scandalizza il repentino spostamento, da sinistra a destra, che la Merkel ha operato dopo il 1989. Come disse il poeta statunitense James Russell Lowell, «solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione». Tuttavia, ci pare che l’attuale leader del Cdu possieda un carattere un po’ troppo rigido e autoritario, forse proprio perché cresciuta sotto il regime di Erich Honecker, che resse con ferrea disciplina la Germania Est dal 1971 al 1989. La Merkel, infatti, si dimostra spesso indisponibile ad accogliere le richieste dei partner europei, trincerandosi dietro la strenua e miope difesa degli interessi nazionali tedeschi, senza considerare i rischi che l’Unione europea e l’euro stanno correndo, a causa della grave crisi che dal 2008 attanaglia gran parte dell’Occidente.

L’Ue non sta trattando allo stesso modo i ventisette stati che la compongono, privilegiando le nazioni economicamente e politicamente più forti (Francia, Germania, Gran Bretagna), a detrimento delle altre. L’odierna fortuna della Germania, infatti, sembra direttamente proporzionale alle disgrazie dei Paesi del cosiddetto “Piigs” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), che negli ultimi anni hanno subito la concorrenza tedesca e una forte riduzione del Pil, ridimensionando il tenore di vita e i diritti sociali dei propri cittadini. Il governo di Berlino non intende modificare il sistema di regole attualmente in vigore nell’Ue, perché esso favorisce le esportazioni tedesche, escludendo a priori interventi pubblici atti a sostenere i salari e la produzione negli stati in difficoltà.

La cancelliera tedesca sembra volutamente ignorare i rischi insiti nella politica del laissez-faire, sottovalutando (insieme ai colleghi Cameron, Monti, Passos Coelho, Rajoy e Samaras) le ricette neokeynesiane, che in passato si sono dimostrate efficaci nei momenti di grave recessione economica. L’elettorato tedesco, scontento per i tagli allo stato sociale, ha votato in maggioranza contro il Cdu nelle recenti consultazioni regionali. Tuttavia, gli ultimi sondaggi, in previsione delle elezioni politiche del 2013, vedono i cristiano-democratici in testa, mentre appare in difficoltà il loro alleato di governo, il Partito liberale tedesco. Si profila all’orizzonte, dunque, un’ennesima Große Koalition tra Cdu e Spd, che potrebbe consentire alla “Lady di ferro” tedesca di rimanere ancora per un quadriennio alla guida della Bundesrepublik.

Giuseppe Licandro

(LucidaMente, anno VII, n. 81, settembre 2012)

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