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Ma cosa succede all’eolico siciliano?

Dopo anni di battaglie sull’energia rinnovabile oggi assistiamo ad una maxi confisca sotto la direzione del tribunale di Trapani del patrimonio di Vito Nicastri considerato il "re dell'eolico" dell'Italia meridionale. 

 

I beni di cui il Tribunale di Trapani ha disposto la confisca constano delle quote sociali e dei beni aziendali delle società, dei beni mobili, immobili e delle disponibilità bancarie in testa al Nicastri, al suo nucleo familiare, ed ammontano a 43 tra società e partecipazioni societarie; 98 beni immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni); beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni); 66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento). Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a oltre 1 miliardo e 300 milioni di euro. Una somma che rappresenta la più cospicua misura di confisca antimafia mai effettuata prima d'ora.

Legambiente Sicilia nella persona del suo presidente regionale Mimmo Fontana interviene salutando positivamente il provvedimento preso che fa seguito al sequestro effettuato nel 2010 e conferma la bontà delle indagini svolte dalla Direzione investigativa antimafia in un settore per molti aspetti strategico per il nostro paese come quello delle energie rinnovabili.

Le indagini si sono sviluppate seguendo “l’odore dei soldi” ed una "vicinanza" del Nicastri a noti esponenti mafiosi, che qualifica la condotta dello stesso, sintomatica di una contiguità consapevole e costante agli interessi della associazione mafiosa. La valenza assunta dall'imprenditore trapanese nell'ambito di "cosa nostra" troverebbe riscontro anche nell'interessamento alle vicende imprenditoriali del Nicastri dei noti boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, come rilevano i "pizzini" rinvenuti in occasione del loro arresto.

Il Nicastri avrebbe intrattenuto rapporti con soggetti della consorteria mafiosa del trapanese, molti dei quali ritenuti vicini a Matteo Messina Denaro. Nel corso delle indagini sono state rilevate relazioni con le organizzazioni criminali operanti nel messinese, nel catanese ed anche con la ‘ndrangheta calabrese, in particolare con le ‘ndrine di Platì, San Luca ed Africo del reggino.

“Non siamo sorpresi di quanto è accaduto stamane – afferma Mimmo Fontana – già da tempo avevamo denunziato il fatto che la mafia era fortemente inserita del settore eolico, siamo semmai soddisfatti che si è fatta luce sul legame mafia – rinnovabili. Adesso diventa importante far sì che il governo siciliano non blocchi gli investimenti previsti nel settore delle rinnovabili”.

Secondo il presidente di Legambiente Sicilia: “Bisogna cancellare la possibilità che in questo settore si inseriscano gli sviluppatori che non sono né imprenditori, né progettisti ma una sorta di mediatori che hanno buoni uffici all’interno della Regione Sicilia ed intrattengono rapporti con chi controlla il territorio ovvero con la mafia. Loro stanno nel mezzo e poi portano avanti il progetto. Il ruolo della mafia si concretizza o nel controllo del territorio garantendo a chi porta i soldi le autorizzazioni e la disponibilità dei terreni o, come nel caso del fotovoltaico, investendo direttamente i soldi. Va detto che mentre per il fotovoltaico la gestione è più semplice, nel caso dell’eolico la gestione è più complessa. Si interviene nella gestione e nella manutenzione con un know-how specifico”. Conclude Fontana: "Adesso occorre rompere la catena che lega la mafia alle rinnovabili obbligando chi ottiene l’autorizzazione a gestire l’impianto”.

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