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Lo scontro di classe nell’era delle delocalizzazioni. Gli operai FIAT rispondono a Marchionne

A distanza di una settimana dal suo intervento nella trasmissione di Fabio Fazio in onda sulla rete nazionale, le dichiarazioni di Sergio Marchionne sulla produttività degli stabilimenti Fiat italiani sono ancora un tema caldo nel dibattito nazionale.

Le parole dell’amministratore delegato, infatti, risuonano ancora forti su tutti i media nazionali e nei reparti delle fabbriche lungo tutta la Penisola.

Gli operai Fiat non ci stanno ad essere definiti come una sorta di “palla al piede” per l’azienda.

Rappresentanti sindacali, operai e delegati aziendali della Sevel insieme ad altri delegati FIOM, ospiti della trasmissione della nota giornalista rai, Lucia Annunziata, hanno tentato anch’essi di dare risalto nazionale alle loro voci.

Come sottolinea Antonio Teti, della RSU Sevel, i dati sulla produzione degli impianti della Val di Sangro smentiscono Marchionne. Stando alle sue affermazioni “Lo stabilimento abruzzese è riuscito a produrre 3 milioni di euro di utili nel 2009, nonostante le 30 settimane di cassa integrazione”.

 

Secondo i delegati abruzzesi il problema non è la produttività del lavoro, bensì ciò che viene prodotto: se le auto - o i ducati nel caso della Sevel - sono buoni, ma non rispondono alle esigenze del mercato, ecco che anche la produttività della forza lavoro ne risente.

E’ forse su questo che si dovrebbe riflettere nell’elaborazione di un piano industriale serio e di lungo periodo, che non guardi solo agli interessi di un’azienda ma che tenga conto dello sviluppo dell’area e del territorio dove avviene l’attività di produzione.

Ciò che ha provocato il risentimento degli operai Fiat è stato anche l’attacco alla sigla sindacale della Fiom accusata di “monopolizzare” le decisioni che riguardano la catena di produzione nei vari stabilimenti, pur non essendo rappresentativa del corpo operaio.

Gli operai della Val di Sangro ci tengono a ricordare che tutto il processo di crescita trentennale dello stabilimento Sevel (la Sevel è nata nel 1981), è stato fatto in accordo col sindacato, con il consenso dei lavoratori. Oggi invece, sembra che dai vertici dell’azienda giungano solo diktat e che non ci sia più lo spazio per una trattativa vera.

Le ultime parole di Marchionne hanno riportato in vita quello che da tempo è diventato l'incubo più ricorrente degli operai italiani: il termine delocalizzazione.
Se per numerose aziende vittime della crisi finanziaria delocalizzare significa opportunità di ridurre i costi di produzione e massimizzare il profitto, per molti operai e famiglie significa perdita del posto di lavoro e futuro sempre più incerto.

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