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Liceo classico sì o no? Una polemica inutile

Alcune settimane fa Andrea Ichino, un economista allievo di Mario Monti e fratello di Pietro, attuale parlamentare di Scelta Civica, ha scritto un articolo per dire che, se l’Italia è dietro tutti gli altri quanto a cultura scientifica e tecnologica, è tutta colpa del liceo classico che assorbe gli studenti migliori per imbottirgli la testa di greco e latino, anziché fargli studiare biologia, fisica e matematica.

 

Ne è nata un disputa con Umberto Eco (cui ha partecipato anche Luciano Canfora) che ha preso le difese del liceo classico vantandone le virtù formative: dare una base culturale ampia al giovane che, dopo, si orienterà molto più facilmente nello studio di qualsiasi altra materia (lo pensava anche Giovanni Gentile che riformò il classico nel 1923 facendone l’unico diploma che desse accesso a tutte le facoltà).

Osserviamo subito che Ichino ha un curioso modo di ragionare, per il quale, se c’è un deficit di cultura scientifica nel paese è colpa del liceo dove queste materie sono meno studiate che altrove. Ma, a rigore di logica, il compito di innalzare il livello di cultura scientifica dovrebbe spettare al liceo che ha questo compito specifico, cioè lo scientifico, e, semmai, ad alcuni istituti professionali che hanno maggiore attenzione per gli studi di tecnologia. Anche perché, non è che il classico assorba la maggior parte degli studenti, marginalizzando gli altri indirizzi, anzi, il classico è nettamente minoritario e il numero di studenti che vi si iscrive scende di anno in anno.

Ma, osserva l’indomito economista, il guaio è che il classico assorbe gli studenti migliori, come dimostra il fatto che i migliori laureati di matematica, ingegneria, fisica ed informatica spesso hanno una licenza liceale classica, e che ben altri sfracelli farebbero se, al posto di perder tempo con l’aoristo, avessero studiato i mitocondri. Ignoro sulla base di quali criteri Ichino ritenga che gli studenti più dotati scelgano il classico (in fondo, la loro migliore riuscita anche nelle facoltà scientifiche, potrebbe dipendere dal tipo di formazione ricevuta, il che darebbe ragione ai sostenitori del classico) ma, se così fosse, verrebbe da chiedersi il perché gli studenti migliori abbiano questa inclinazione. Insomma, Ichino è convinto che per superare il deficit di cultura scientifica nel nostro paese, basta costringere gli studenti del classico (i “migliori”) a studiare ciò che non capiscono quelli dello scientifico che già studiano quelle materie. Ma non andiamo oltre su questa strada, siamo umani: Ichino si è laureato con Mario Monti, non mi pare il caso di infierire ulteriormente.

E, insomma, diciamocelo: “Meno aoristo e più mitocondri” è una idea cretina quasi quanto “più aoristo e meno mitocondri. Sono imbecillità speculari.

Questa è una delle dispute più vecchie ed inutili che si possano immaginare. Riproduce fedelmente le polemiche fra idealisti e positivisti che dai primi del novecento, sono proseguite imperterrite per tutto il secolo. Ricordo che nel Pci (che, per la verità aveva il suo nume tutelare, grande ed inascoltato, in un estimatore del liceo classico come Antonio Gramsci) ci fu una ondata filo-liceo scientifico, ispirata da Lucio Lombardo Radice, convinto che più matematica e fisica studiavano i liceali e più sarebbero stati orientati in senso moderno e progressista, per cui sarebbero diventati comunisti (secondo l’esempio moscovita).

Gli estimatori dello scientifico ne hanno sempre vantato la modernità assicurata dalla maggiore dose di materie matematico-scientifiche, al passo con il tumultuoso sviluppo di queste scienze nel novecento, la migliore conoscenza delle lingue, la maggiore apertura al nuovo.

Quelli del classico, invece, hanno sostenuto la maggiore ricchezza culturale, il valore delle lingue antiche (latino in particolare) come “palestra del ragionamento”, la funzione della filosofia e del collegato studio della storia, nello sviluppare il pensiero critico e, dunque, lo spirito democratico, il “sapere inutile” (cioè non finalizzato ad un immediato guadagno concreto) nella “cura di sé” e via di questo passo.

Ma, dopo decenni, dobbiamo ancora stare a ripeterci i soliti luoghi comuni? Che odore di muffa! Vediamo la cosa da un’altra angolatura, storicizzando un po’ il discorso. In primo luogo, lasciando da parte professionali e tecnici, le maggiori differenze fra classico e scientifico si riducono a questo: sostanzialmente un po’ di ore in più di matematica, fisica e scienze allo scientifico e al classico insegnamento del greco e più ore di latino, mentre i programmi ed orari di italiano, filosofia, storia dell’arte, storia, geografia e lingua straniera più o meno si equivalgono salvo qualche accento in più o in meno: non mi pare che si tratti di differenze travolgenti.

In effetti, allo scientifico hanno un pacchetto non trascurabile di materie umanistiche (sicuramente molto maggiore di quello dei tecnico-professionali) ed al classico, comunque c’è un bel pacchetto di ore per matematica, fisica e scienze. Dunque, al di là di tutto, mi pare che la differenza vera è quella fra licei e tecnico professionali, più che fra i due licei, che potrebbero benissimo essere integrati. Peraltro, credo che sia tutto da dimostrare che insegnamenti come quelli della storia o della filosofia (come anche dell’Italiano o della storia dell’Arte) siano più approfonditi e meglio serviti al classico che allo scientifico, per cui la leggenda di un classico che prepari cittadini più critici e consapevoli non si regge in piedi.

Tuttavia, va detto che il liceo classico è quello che ha forgiato la parte più rilevante delle classi dirigenti (almeno in politica) per oltre un secolo. Questo, però, probabilmente è dipeso dalla fortissima presenza di laureati in Legge nel Parlamento e negli enti locali ed, a Giurisprudenza, sino al 1970, ci si iscriveva solo con la licenza del Classico. Peraltro, sino a quella data, il Classico era preferito dalle famiglie perché unico a dare accesso a qualsiasi facoltà, per cui i diplomati del Classico erano preponderanti anche in carriere diverse da quella politica. Nel complesso i due licei hanno svolto egregiamente la funzione di formare culturalmente la classe dirigente del paese almeno sino agli anni sessanta. Dopo sono andati declinando e non solo il classico, ma anche lo scientifico, come, peraltro, tutta la scuola italiana. Per quanto i due licei abbiano avuto dei meriti storici innegabili, è arrivato (e direi da un pezzo) il momento di rimetterli profondamente in discussione, Il loro impianto, di fatto, risale alla Riforma Gentile (1923), salvo pochissimi ritocchi successivi. In fondo con l’istituzione del linguistico e di quello di orientamento sociale, abbiamo iniziato a rimettere in discussione l’assetto dei licei.

Ma il problema non è quello di aumentare le ore di insegnamento delle materie scientifiche a danno di quelle umanistiche, quanto quello di cercare di colmare l’abisso che le separa.

Intendiamoci: è evidente che le ore di studio hanno un limite, per cui o si studia una cosa o se ne studia un’altra, perché tutto non si può fare. Ma le soluzioni possono essere diverse. Ad esempio, la divisione in media inferiore e media superiore, così come è adesso ha ancora senso? Essa aveva un senso quando c’era il ginnasio (5 anni) che preparava allo sbocco liceale (tre anni), poi con l’istituzione dello scientifico, venne fuori questa curiosa divisione, per cui i primi tre anni del ginnasio assunsero il nome di “media inferiore” dopo la quale lo scientifico (come peraltro i tecnici) inizia da primo anno e prosegue sino al quinto; il classico, invece, ha ancora la quarta e quinta ginnasio (evidente residuo dell’ordinamento precedente) cui seguono, incongruamente, prima seconda e terza liceo.

Questo comporta, ad esempio, che la storia, prima nelle elementari, poi nelle due medie, superiore ed inferiore, venga studiata in tre cicli ripetitivi via via più approfonditi. E più o meno la stessa cosa accade per la geografia, la lingua straniera, in parte per l’Italiano.

È il caso di mantenere questo strampalato ordinamento in una situazione nella quale, pur senza obbligo di legge, gli studenti, in stragrande maggioranza, frequentano sino al diploma di media superiore?

E la riorganizzazione degli 8 anni di media potrebbe recuperare molti spazi per uno studio tanto delle materie scientifiche quanto di quelle umanistiche, senza contare che ci sono sempre da recuperare le inutilissime ore degli insegnamenti di religione ed educazione fisica (per la seconda si potrebbe pensare ad una disponibilità delle palestre nel pomeriggio, cosa che, in fondo, i ragazzi già fanno privatamente).

Ma veniamo al merito e vorrei restare nel mio campo, quello dell’insegnamento della storia, che potrebbe assumere un ruolo cerniera fondamentale fra i tre saperi (scientifico, sociale, umanistico). In primo luogo, perché non pensare ad una robusta presenza di studi di storia della scienza e della tecnologia? Dove sta scritto che si debba studiare solo la storia politico-militare? Anche i contenuti dell’insegnamento della filosofia potrebbero essere rivisti nella stessa ottica che dia spazio alla storia del pensiero matematico e scientifico e magari scopriremmo che la divisione fra pensiero umanistico e pensiero scientifico è molto più recente di quanto non si pensi.

Uno spazio particolare potrebbe essere dedicato alla Logica, a cavallo fra filosofia e matematica. Dunque, il problema non è studiare meno materie umanistiche e più materie scientifiche, ma imparare ad intrecciarle. Ad esempio, introdurre negli ultimi due anni come materia di studio la scienza della complessità, potrebbe servire a far capire come essa possa riferirsi tanto alle disciplina strettamente scientifiche (biologia in primo luogo) quanto a quelle umanistiche (storia, economia, demografia ecc.).

Poi, anche le materie più spiccatamente classiche (il greco, il latino, la storia classica e la relativa storia dell’arte) non sono affatto inutili, sempre che le si riporti nel mondo d’oggi che è quello della globalizzazione. E questo significa misurarsi con la necessaria mediazione culturale fra universi culturali diversi. Benissimo studiare la civiltà greca e latina, ma se provassimo, per esempio, una comparazione con quelle cinese ed indiana? Magari ci servirebbe a capire perché ed in cosa siamo diversi e a guardare le culture degli altri con meno superficialità.

Insomma di cose da fare che ne sono e non è questa stucchevole polemica fra sostenitori e detrattori del classico quello che serve. Il problema, piuttosto, è un altro: ma la scuola statale italiana è in grado di fare questa rivoluzione culturale, gravata come è dai sui mille corporativismi e burocratismi?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.248) 24 dicembre 2014 11:21

    "come dimostra il fatto che i migliori laureati di matematica, ingegneria, fisica ed informatica spesso hanno una licenza liceale classica"

    Fantastico questo assioma !
    Qualcuno con maturità classica, di tanto in tanto, ci prova ad iscriversi a matematica o ad informatica.
    Poi però, dopo qualche tempo passato senza esito a tentare di superare qualche esame, ci ripensa e si iscrive a scienze della comunicazione.
    Ridicoli !

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