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Libereremo tutti i prigionieri di coscienza”. L’impegno tradito del governo birmano

15 luglio 2013, Londra, sede del prestigioso istituto Chatham House. Prende la parola Thein Sein, presidente di Myanmar/Birmania: “Vi garantisco che per la fine dell’anno non vi sarà più alcun prigioniero di coscienza”.

Promessa non mantenuta, impegno tradito. Nelle prigioni birmane non solo, alla fine del 2013, c’erano ancora prigionieri di coscienza ma durante il 2014 ne sono entrati ancora altri. Tra i prigionieri che non sono stati rilasciati entro la fine del 2013, due stanno scontando condanne legate alla tensione tra le comunità rakhine (di fede buddista) e rohingya (musulmana), spesso sfociata in brutali attacchi del primo gruppo contro il secondo.

Tun Aung, che a partire dalla metà del 2012 si era prodigato per tentare di riportare la calma tra rakhine e rohingya, è stato condannato a 17 anni per incitamento alla rivolta. La condanna è stata dapprima ridotta a 11 anni, poi a uno.

Kyaw Hla Aung è stato arrestato proprio il giorno in cui il presidente Thein Sein parlava alla Chatham House. Noto esponente della comunità rohingya, anche lui ha tentato di fare da paciere, limitandosi a organizzare la protesta pacifica dei musulmani contro la decisione del governo di imporre alle persone fuggite dagli attacchi dei rakhine di registrarsi come “bengalesi”. Il governo birmano continua infatti a negare la cittadinanza ai rohingya, sostenendo che si tratta di migranti originari del Bangladesh.

Nei primi sei mesi e mezzo del 2014, sono finite sotto processo almeno 59 persone e ne sono state condannate 17: gli ultimi, cinque giornalisti accusati di aver violato il segreto di stato per aver pubblicato un’inchiesta su un presunto impianto per la fabbricazione di armi chimiche. Ne abbiamo parlato qui.

Prima di loro, a maggio, tre difensori dei diritti umani (Ko Htin Kyaw, Ko Tin Maung Kyi e Ko Zaw Win) erano stati condannati a sei mesi per aver criticato pubblicamente il governo. Le loro condanne potrebbero aumentare se venissero riconosciuti colpevoli di altri reati “contro lo stato e l’ordine pubblico” di cui sono attualmente imputati.

Amnesty International ha ricordato in questi giorni al presidente Thein Sein le parole pronunciate alla Chatham House, chiedendogli ancora una volta il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza e l’abrogazione delle norme del codice penale che continuano a essere usate per punire il dissenso pacifico.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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