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Libano, i rischi per le lavoratrici domestiche durante il “lockdown”

La diffusione della pandemia da Covid-19 in Libano sta facendo venire alla luce un enorme problema che, per la convenienza di tutti, è rimasto largamente invisibile.

Nelle abitazioni private del paese vivono oltre 250.000 migranti, per lo più lavoratrici domestiche provenienti dall’Africa e dall’Asia.

Sono intrappolate nel sistema della kafala, o sponsorizzazione.

In un rapporto pubblicato un anno fa, Amnesty International aveva denunciato orari di lavoro massacranti, abolizione del giorno di riposo, rifiuto di versare il salario o trattenimento di una parte, confisca del passaporto, limitazioni alla libertà di movimento e di comunicazione, violenze fisiche e verbali, diniego del cibo e delle cure mediche.

Non poche migranti erano state vittime di traffico di esseri umani ed erano sottoposte a vero e proprio lavoro forzato.

Amnesty International ha pertanto chiesto alla ministra del Lavoro Lamia Yammine di elaborare e far entrare sollecitamente in vigore un programma per proteggere le lavoratrici domestiche: a causa del “lockdown” lo sfruttamento e la violenza possono aumentare e l’accesso alle cure mediche può risultare ulteriormente limitato, soprattutto per quelle che sono prive di documenti.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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