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Le verità nascoste. Incontro con Riccardo Iacona e Giuseppe Catozzella

Riccardo Iacona e Giuseppe Catozzella a Trani per la rassegna culturale "I dialoghi". Un incontro che offre l'opportunità per pronunicarsi su pluralismo, politica e intrecci tra criminalità e affari.

Motivati a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Uno stile di vita più che un obbligo professionale. Riccardo Iacona, autore del libro inchiesta L’Italia in presa diretta nonché volto noto di Rai Tre, e Giuseppe Catozzella, astro nascente della narrativa impegnata e autore di Alveare, intervengono a Trani per la decima edizione della rassegna culturale I dialoghi di Trani. Coordinati dal giornalista Giuliano Foschini, i due, esponenti di una categoria che ai reportage autentici combina il lieve tocco della narrativa, conducono i numerosi spettatori affluiti tra le mura fortificate del Castello Svevo in un incontro che ha più il sapore dello sfogo che non del momento promozionale per le rispettive pubblicazioni. Con la testa a rimuginare sul tema dell’incontro, “L’informazione tra giornalismo d’inchiesta e narrazione”, e il cuore a pompare passione per un lavoro sempre più nell’occhio del ciclone, Iacona sviscera subito il problema. Entra nel merito delle contraddizioni della Rai, al centro di pressioni politiche e auspici di pronta privatizzazione, e denuncia un’azienda ancora oggi ferma per mancanza di programmazione dei palinsesti, tanto da tenere ingessata la redazione del suo autorevole Presadiretta. Il programma, quasi certamente in onda dal prossimo 4 settembre per otto puntate, aspira a mantenere alto il ruolo del servizio pubblico e garantire “un punto di vista differente da chi orienta il racconto solo da una parte”; una trasmissione lontana dalla stesse facce che promuovono le solite idee, ben lungi insomma, dal servire la pappa pronta. L’intervento è accorato e non lesina stoccate ai tanti “colleghi” che adorano prodigarsi nella messa in scena di settarismi che rivelano solo una parte della quotidianità. Si pensi alla psicosi sull’immigrazione, creata da media compiacenti al Governo, che ha evidenziato il gran flusso di sbarchi di indesiderato “materiale umano" sulle nostre coste: 20.000 unità circa. Il paragone proposto da Iacona smonta con i fatti una tesi che tante ambasce ha procurato e riporta l’esempio della Tunisia provata da una dittatura di decenni e rivoluzionata da giovani partecipi e coraggiosi. Il giornalista polverizza un’ossessione tutta italica divulgando i numeri dell’ospitalità magrebina impegnata ad accogliere ben 100.000 profughi in fuga dalla guerra libica. Come a dire che a fare luce su tutti gli aspetti di una notizia, il mach tra verità e fandonia si risolve per manifesta incapacità di quest’ultima. Iacona sembra frustrato quando sbotta circa le scelte, a dir poco discutibili, prese dalla Rai. E’ certo ormai, che dalla prossima stagione la TV di Stato non avrà più in organico Michele Santoro. “Perché la Rai non può permettersi Santoro?”, tuona Iacona, “è una perdita secca”, e di certo non si riferisce al mero deficit di fatturato ascrivibile all’assenza di pubblicità, ma al prestigio ormai compromesso della rete.

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Catozzella e Iacona

L’intervento di Catozzella appare moderato, ma non confortante, ed è incentrato sulla genesi di Alveare. “Se la TV fatica a parlare di certe cose ho pensato bene di raccontarle con un romanzo”. Le “certe cose” a cui si riferisce sono gli affari (al centro del suo romanzo, presto anche film) della ‘ndrangheta radicata al nord tanto quanto al sud. L’intento è quello di rompere il pregiudizio, un “mito” inspiegabile che vuole il nostro settentrione incolume dal crimine organizzato, una Padania incontaminata dalla mafia e che produce lavoro solo ed esclusivamente in ambiti leciti: una difesa stereotipata, strenua e chiaramente falsa. “Nella Lombardia, la regione più ricca d’Europa” argomenta il giovane autore, le infiltrazioni della ‘ndrangheta risalgono a 60 anni fa. Per troppo tempo si è taciuto sui metodi adottati per assecondare l’esigenza di una organizzazione che detiene un patrimonio immane che frutta ingenti somme di denaro contante da riciclare. Nella capitale economica d’Italia è il torbido affarismo a generare connivenze tra mafie e interesse sia privato che pubblico, tra “uomini d’onore” e manager o amministratori: una sorta di salvadanaio da cui attingere per “risanare” le casse della nostra economia in crisi, un sotterfugio di comodo per riavviare il mercato. La prove fornite dalle ricerche di Catozzella corredano una diagnosi ben chiara della Milano ricca e laboriosa: a quanto pare all’ombra della Madonnina non è solo l’aria a risultare inquinata. Ma questa è una verità nascosta, da tenere al riparo dalla ribalta di titoli e copertine dei maggiori telegiornali e delle testate nazionali. Custodi impeccabili del segreto sono proprio gli ‘ndranghetisti, capaci di mimetizzarsi alla stregua di oneste famiglie in cerca di fortuna negli anni del grande esodo dal sud povero e arretrato. Da folkloristici personaggi capaci di comunicare solo in dialetto, nel volgere di tre generazioni, gli ’ndranghetisti hanno pensato bene di mandare i figli nelle migliori scuole, soprattutto estere, pur di erudire nuove leve di una mafia che mantiene salde le proprie origini ma che si rinnova per seguire il mercato. In fin dei conti emerge un ritratto di una organizzazione che lusinga i suoi adepti.

Di lusingare e trattenere i suoi cittadini più giovani, invece, la classe dirigente non vuole saperne e lo conferma Catozzella con le sue parole di speranza, mista a sconforto, rilasciatemi per l’intervista. La stessa speranza che mostra Iacona quando mi risponde a domande sulla Rai e su un classe dirigente che, neanche prova a gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Negli anni l’informazione ha visto incrementato il suo ruolo investigativo; il programma “Presadiretta”, come pure il suo romanzo “Alveare”, ne sono esempi. Indolenza dei cittadini o effetto di certa politica?

G. Catozzella - Credo che le cose siano strettamente collegate. La politica è l’espressione del cittadino. Con il mio intervento alla platea cercavo di chiarire che si è sempre voluto confinare il male d’Italia al sud in modo da lasciare il nord intatto, per dare un’immagine accettabile dell’insieme. Se si arriva ad affermare, a chiare lettere, che anche il nord è contaminato abbiamo smascherato lo sfacelo del sistema Italia. Quando mi invitano a parlare nelle scuole dico ai giovani che l’onere di ricostruire il Paese, sulla base della legalità e del rispetto reciproco. Basta familismi e favoritismi.

I politici hanno tradito la fiducia degli elettori?

G. Catozzella - Sicuramente. La cosa oscena è che la politica si mostra sempre di più per quello che è: un teatrino. Ma siamo noi che glielo abbiamo consentito e penso che dobbiamo rimpossessarci di questo Paese altrimenti non avremo mai futuro qui e dovremo andar via. Tutti. Sono sempre più tentato a farlo, perché non ci sono altre strade. Per trovare lavoro devi ricorrere alle conoscenze mentre nei Paesi che funzionano è esattamente l’opposto.

Nell’elezione di Giuliano Pisapia a Sindaco di Milano si può intravedere un punto di rottura con gli intrecci tra politica e ‘ndrangheta? Aria pulita e fine delle alleanze tra Palazzo e malaffare?

G. Catozzella - Questa è la promessa. Pisapia è stato abbastanza furbo da porre la lotta alla ‘ndrangheta come primo punto del suo programma elettorale. Conosco personalmente consiglieri comunali fuoriusciti dall’opposizione e passati alla maggioranza (ricoprono l’incarico di assessore alla cultura e all’area sociale). Sono giovani e sono brave persone che s’impegnano nella lotta alla ‘ndrangheta a Milano e in Lombardia da anni: spero riescano a dare continuità al lavoro fin qui svolto e che mantengano le promesse fatte in campagna elettorale.

In merito al vuoto d’informazione che impera in Italia: la guerra è a due passi da qui, perché non si parla della missione militare italiana in Libia?

G. Catozzella - Perché è molto più facile narrare l’Italia attraverso piccole storie. Per tenere buoni e mascherare le emergenze, e la guerra è una di queste. E’ evidente che la macchina funziona per tenere sopite le coscienze.

Con riferimento all’informazione di massa, secondo il Suo pensiero è meglio una Rai pubblica ma asfissiata dalla lottizzazione o una Rai privata? Come vede il futuro della TV di Stato?

R. Iacona - La Rai deve essere libera: se non è libera non è niente! A prescindere che la privatizzino oppure no. Ma quandanche privatizzino la Rai dovrebbe avere degli obblighi di libertà? Lo spirito di servizio pubblico deve essere trasversale. Perché La7 può censurare? Non deve, altrimenti fa una figuraccia. Che brutta figura fanno al TG1 quando censurano? A prescindere che sia una testata pubblica o no. Il fatto che sia pubblica dovrebbe imporre un certo obbligo di rappresentanza, di pluralismo ancora più ampio, quindi, è particolarmente grave che la televisione pubblica non sia pluralista. Il tema della libertà è un tema più alto di quello della privatizzazione. Non c’è correlazione tra privatizzazione e libertà. Una televisione o è libera o non è. Se la Rai diminuisce le sue quote di libertà è destinata a morire, cioè a diventare un’azienda di nicchia del mercato.

Indugiando sul titolo del Suo libro “L' Italia in presadiretta. Viaggio nel paese abbandonato dalla politica” pare che i cittadini e i politici siano controparti e non alleati. Quando è stato disatteso il patto tra elettori e amministratori?

R. Iacona - Sì, secondo me, dalla fine della Prima Repubblica dopo Tangentopoli si sarebbe potuta riaprire una grande occasione di riforma della politica che invece è mancata. Si è scelta la strada della propaganda del marketing: nella cucina dei partiti si fanno dei prodotti che sono deteriorati e che possono durare lo spazio di pochi mesi, cioè quel che servono per la campagna elettorale successiva. Ma un patto tra cittadini e politica sul medio-lungo termine, dove si esplicitano politica industriale, sacrifici da fare e obbiettivi da raggiungere ormai non lo fa più nessuno. La politica con la “p” maiuscola non esiste più. Esiste una politica d’immagine che serve alle prossime elezioni. Spesso è sempre la stessa e così siamo costretti a sentire, in televisione, prodotti avariati. Berlusconi ripete sempre le stesse cose dal ’94, sempre le stesse: una roba da teatrino.

Be’, ma Berlusconi non ha preso il potere con un golpe ma con libere elezioni. Cos’è successo?

R. Iacona - E’ successo che una parte importante che racconta il Paese è nelle sue mani. Milioni di italiani che votano, la pancia del Paese, non leggono i giornali e non guardano neanche tutte le televisioni, ma una sola, quando va bene! Ecco cos’è successo.

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