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"Le sorgenti del male" di Zygmunt Bauman. Intervista a Riccardo Mazzeo

Riccardo Mazzeo è un intellettuale che ha tradotto autori filosofici dal francese e dall’inglese. Già autore di "Conversazioni sull’educazione", scritto a quattro mani con il celebre sociologo polacco Zygmunt Bauman, ha curato per i tipi della Erickson l’ultimo volume di Bauman, Le sorgenti del male, appena uscito in libreria. Un libro che obbliga il lettore a porsi tante domande. Alcune di queste, che abbiamo avuto la fortuna di poter rivolgere allo stesso Mazzeo, le riportiamo di seguito.

"Le sorgenti del male": un libro sulla morale e sul problema del male, argomenti che Bauman non aveva più toccato direttamente dai tempi di Modernità e Olocausto (uscito in Italia nel 1992).

Bauman si è reinterrogato sull’unde malum in tempi recenti sulla scorta di tre fonti d’ispirazione:i lavori di Anders, il potentissimo romanzo di Jonathan Littell "Le benevole" e la stesura di un libro, che ho avuto il privilegio di leggere l’anno scorso in bozza, scritto a quattro mani con il filosofo lituano Leonidas Donskis e appena pubblicato dalla Polity Press di Cambridge: Moral Blindness.

Un libro di morale che al centro non mette la morale, ma la ragione e che - invertendo la prospettiva kantiana - vede la ragione non come portatrice di moralità ma, al contrario, come foriera di immoralità.

La ragione, al pari dei social network, non è di per se stessa né buona né cattiva. Bauman aveva già utilizzato l’immagine della scure, che può essere usata per tagliare la legna e accendere un fuoco che ci scaldi o per mozzare delle teste. Dipende: se viene posta al servizio della riflessione pubblica, della deliberazione, come raccomanda Amartya Sen, riveste un ruolo positivo; se ci si illude come faceva Kant, che un imperativo categorico possa essere sufficiente ad arrestare la brama di potenza umana, si fa esercizio di un pio desiderio.

Certo, le parole di Nietzsche, che Bauman menziona, sono ancora animate dalla tensione di un filosofo morale. La stessa cosa avviene con la storia, con la memoria, con la necessità che Bauman ci ha ricordato di dimenticare rapidamente, circostanza altrettanto importante del ritenere selettivamente solo quanto è rilevante per noi dalla sterminata sequenza di informazioni che ci bombardano di continuo.


Come scrive Massimo Recalcati nel suo ultimo libro Il complesso di Telemaco (Feltrinelli), commentando la "Seconda considerazione inattuale" di Nietzsche e menzionando “la patetica obesità melanconica dello storico”: «Un eccesso di memoria inebetisce, schiaccia il presente sotto il peso del passato rendendo impossibile l’avvenire. Un eccesso di storia rende impossibile cominciare di nuovo perché sottopone il presente al giogo della tradizione consolidata, al peso di una memoria che diventa archivio e monumento» (p. 127). Questo è il rischio “di destra”, quello di aderire acriticamente a una tradizione da riprodurre identica a se stessa, mentre il rischio “di sinistra” consiste nello spazzare via tutto, nel disconoscere il debito simbolico verso i nostri progenitori, nel cercare di essere, come scrive Recalcati, “padri di se stessi”.

Ma il problema ai giorni nostri è che non è più questione di un Edipo della tradizione o di un anti-Edipo della libertà illimitata, bensì di un Narciso che si specchia nelle proprie sembianze o in un loro prolungamento fatto di macchine, e una volta chiusa la porta all’Altro della condivisione e dell’interscambio umani, l’insensibilità che ne scaturisce rende sempre più agevole valersi della tecnologia a scopi distruttivi.

Bauman scrive (prendendo spunto dalla matematica del teorema del limite centrale) che le caratteristiche della modernità liquida, pur tanto problematiche, costituiscono forse un vantaggio per una rinnovata moralità. Perché?

La liquefazione dell’assetto contemporaneo è in effetti suscettibile di scompaginare la disponibilità della maggior parte delle persone a compiere il male, se comandato con alcuni accorgimenti descritti dal libro da una o più figure di autorità, ma sarei molto cauto nell’auspicare una polverizzazione ulteriore delle relazioni umane perché, come Bauman scrive ne "Lo spirito e il clic", appena uscito (Edizioni San Paolo), non può esserci solidarietà orizzontale se non vi è solidarietà verticale. Lo abbiamo visto in Italia nella pretesa palingenetica di ripulire integralmente la cosa pubblica dando vita a una società governata direttamente dai “cittadini” attraverso il web che non solo ha i piedi d’argilla ma presenta anche evidenti rischi di deriva orwelliana.

Come in tutti i suoi lavori, Bauman conclude che, sì, dovremmo preoccuparci (o perfino allarmarci), ma non disperarci. È davvero necessario allarmarci? E, soprattutto: è davvero possibile sperare?

L’umanità ha conosciuto una quantità immane di catastrofi ma siamo ancora qui ed è opportuno non abbandonarsi a un cupio dissolvi e ripartire invece da alcuni cardini come l’educazione e i principi di responsabilità e di cooperazione. Bauman spiega in "Conversazioni sull'educazione" che cosa sia cambiato rispetto a un progetto educativo che richiede non già restauri conservativi o migliorativi bensì, per dirla con Sennett, una vera e propria riconfigurazione. Il principio di responsabilità va recuperato a partire dal ruolo dei padri che, secondo Recalcati, possono e dovrebbero offrire la testimonianza della capacità di impegnarsi in progetti di vasto respiro e della soddisfazione che si trae dal perseguimento del proprio Wunsch, del proprio desiderio. La cooperazione, infine, poiché in un mondo così strettamente intrecciato ci si può salvare soltanto insieme.

Di che si sta occupando in questo momento? Qualche anticipazione sulle prossime pubblicazioni di Mazzeo e di Bauman?

Al momento posso solo dire che la mia introduzione verrà pubblicata in Corea del Sud all'interno di un volume collettivo, nonché sul magazine "Indigo". Non so quali progetti potrò intraprendere ancora con Bauman, pensatore che - non esito a dirlo - amo. Staremo a vedere ciò che il futuro ci riserva.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.156) 13 aprile 2013 10:38
    Damiano Mazzotti

    A mio parere bisogna tenere sempre presente le basi naturali di ogni cultura. I maschi sono predisposti biologicamente all’uso della forza, della lotta e della violenza. Tutte le organizzazioni gestite da una maggioranza di uomini diventano prima o poi totalitarie. Gli ormoni maschili incentivano pure le scelte molto rischiose, che fanno perdere un sacco di soldi alle società finanziarie, agli Stati e ai cittadini.
     
     Lo studio delle identità sessuali andrebbe incentivata fin dai primi anni di scuola e la visione femminile più relazionale, olistica e diplomatica andrebbe incentivata in tutte le istituzioni, attraverso una maggiore presenza di donne a livello politico e a livello imprenditoriale. Sul pianeta, nonostante la diffusione delle guerre di conquiste degli stati nazionali e degli imperi militari e commerciali, esistono ancora piccole culture etniche matriarcali pacifiche che hanno molte cose da insegnarci.

     E colgo l’occasione di segnalare una manifestazione sul tema delle identità sessuali: www.lastoriainpiazza.it (Genova, dal 18 al 21 aprile).

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