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Le sentinelle in cattedra

Dire che ormai è diventato un mantra sarebbe riduttivo, infatti siamo alla vera e propria ossessione. Ovunque si apra un dibattito sui diritti delle coppie omosessuali, e a volte perfino sullo stesso diritto di esserlo, omosessuali, ecco spuntare il reazionario di turno con la solita esclamazione: “Questa è l’ideologia del gender”! Il gender, questo mostro brutto e cattivo il cui scopo criminale sembra essere quello di far diventare tutti gay i nostri figli. Immagino già le fiabe monitrici per bambini, o magari anche le rivisitazioni di quelle tradizionali. “Quando Cappuccetto Rosso giunse nel bosco, incontrò il Gender”.

Così anche a don Gian Battista Rota, responsabile del Servizio Insegnamento Religione Cattolica della diocesi di Milano, o al collaboratore a cui ha in seguito scaricato la responsabilità, è venuto spontaneo farvi riferimento nella missiva inviata agli oltre seimila insegnanti di religione che operano nelle scuole della sua diocesi. «Per valutare in modo più preciso la situazione e l’effettiva diffusione dell’ideologia del “gender” — queste le parole nel comunicato — vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte». Leggendo queste frasi non si può assolutamente negare, a prescindere dall’essere laici o cattolici, quello che è di una evidenza allo stesso tempo disarmante e sconcertante, e cioè che per la Chiesa l’insegnante di religione deve essere una sorta di prefetto, un presidio che deve non solo garantire l’insegnamento della dottrina cattolica ma finanche vegliare su tutto quanto accade all’interno dell’istituto. Una vera e propria sentinella, che però a differenza di quelle in piedi sta comodamente seduta dietro una cattedra e percepisce uno stipendio mensile. Offre lo Stato. Offriamo noi.

La fedeltà degli emissari è talmente data per scontata che l’autore della lettera non si è minimamente posto il problema che la notizia sarebbe potuta uscire dall’ambito degli insegnanti di religione. Come se si fosse trattato di un consesso di qualche decina di persone al massimo, mentre, come già detto, si tratta di un esercito di oltre seimila persone, tutte naturalmente con sensibilità e modi di interpretare il proprio ruolo diversi. Non sorprende che tra di loro qualcuno si sia indignato quanto basta per decidere di diffondere il comunicato inviandolo al quotidiano Repubblica e alle associazioni Lgbt, e pare che qualcuno abbia addirittura deciso di ritirarsi dall’insegnamento della religione.

A nulla sono valsi lo stupore di Bagnasco, incomprensibile se si considera che già in passato l’Ufficio Catechistico Nazionale aveva iniziato a schedare gli alunni che non facevano religione a scuola, e il patetico tentativo di retromarcia della Curia. Con tanto di scuse annesse, è vero, ma che non è riuscito a fare di più che definire la comunicazione “formulata in modo inappropriato”. Perché stando a quanto affermato da don Rota (non il suo collaboratore, stavolta), l’intenzione originaria era quella di “conoscere dagli insegnanti di religione il loro bisogno di adeguata formazione”, per cui quella richiesta di informazioni era da intendersi come un’indagine informale tesa a tale scopo. E il bello è che lo ha detto seriamente. Per lui si può effettivamente scrivere una cosa pur intendendone una completamente diversa. Qui non siamo alla semplice arrampicata sullo specchio, qui lo specchio era perfino ben lubrificato.

Non ci vuole nemmeno molta fantasia per immaginare in cosa potrebbe consistere l’eventuale formazione adeguata; verosimilmente si tratterebbe di istruire a insegnare l’opposto di quello che viene insegnato nei programmi scolastici, per cui mentre nelle altre ore si educherebbe al rispetto dell’orientamento sessuale di tutti, nell’ora di indottrinamento si ribalterebbe il concetto facendolo coincidere con quanto stabilito dai vescovi. Il che alla fine si tradurrebbe sostanzialmente nel mettere in guardia dall’ideologia del gender, sempre quel disgraziato. Se già prima era arduo sostenere che la Chiesa non ingerisce nelle questioni che riguardano lo Stato, adesso per farlo ci vuole una discreta dose di faccia tosta. Mettere il becco nei programmi della scuola pubblica è l’esempio più lampante di ingerenza, di cui qualunque genitore dovrebbe tenere conto quando arriva il momento di scegliere se far frequentare l’insegnamento della religione ai propri figli o optare per una delle quattro alternative possibili. Ma anche, perché no, lottare per espellere l’Irc dalla scuola pubblica, magari insieme a tutti gli altri privilegi riconosciuti alla Chiesa in forza dei Patti Lateranensi.

Nel quasi unanime coro di condanna, con tanto di interrogazioni parlamentari, non poteva certo mancare qualcuno che invece di fischiare applaude. È il caso di Carlo Giovanardi, ormai da tempo confermatosi quale esempio classico di politico clericalista. In una video-intervista pubblicata su Repubblica TV il senatore del Ncd mette in guardia dall’utilizzo dei bambini come cavie per opuscoli sul gender (ancora lui), da loro (i parlamentari clericali) denunciati più volte in parlamento e fatti ritirare, ed esorta i genitori a indignarsi e ribellarsi quando queste cose capitano ai loro bambini. Quando il giornalista gli dice che si tratta di ragazzi dei licei Giovanardi ribatte che purtroppo si tratta di una forma di violenza praticata su bambini di appena tre anni. Toh, la stessa età a cui vengono a volte destinati i corsi di precatechismo organizzati da molte parrocchie.

 

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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