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Le religioni di pace, il web in guerra e i conti con la realtà

Ha (ri)co­min­cia­to il pre­mier bri­tan­ni­co Da­vid Ca­me­ron, il gior­no dopo la bar­ba­ra de­ca­pi­ta­zio­ne del coo­peran­te Da­vid Hai­nes: “Quel­li del­l’I­sis non sono mu­sul­ma­ni sono mo­stri, l’i­slam è una re­li­gio­ne di pace”. Ma ci si è mes­so an­che Ba­rack Oba­ma, a sta­bi­li­re chi è un bra­vo mu­sul­ma­no e chi no: “Non sia­mo in guer­ra con l’i­slam, l’i­slam in­se­gna la pace: que­sti ter­ro­ri­sti han­no per­ver­ti­to una del­le più gran­di re­li­gio­ni del mon­do”. Un di­scor­so già più ar­ti­co­la­to, il suo, per­ché ha ri­cor­da­to le guer­re di re­li­gio­ne e ha in­vi­ta­to le co­mu­ni­tà mu­sul­ma­ne a ri­get­ta­re l’i­deo­lo­gia del­lo Sta­to Isla­mi­co. Cosa che pe­ral­tro stan­no – fi­nal­men­te – co­min­cian­do a fare, con­sce del­le ri­ca­du­te che pos­so­no pa­ti­re.

Gli in­ter­ven­ti di Ca­me­ron e Oba­ma, tut­ta­via, par­to­no a loro vol­ta da un pre­sup­po­sto ideo­lo­gi­co: una re­li­gio­ne non può che es­se­re pa­ci­fi­ca, pro­prio in quan­to re­li­gio­ne. È un at­teg­gia­men­to che ha tro­va­to la sua apo­lo­ge­ta nel­l’ex suo­ra Ka­ren Arm­strong, ora ecu­me­ni­ca scrit­tri­ce à la page. Sul Guar­dian ha cer­ca­to in ogni modo di smon­ta­re “il mito del­la vio­len­za re­li­gio­sa”. Tale at­teg­gia­men­to è fat­to ov­via­men­te pro­prio an­che dal lea­der re­li­gio­so di mag­gior suc­ces­so, papa Fran­ce­sco: “Uc­ci­de­re in nome di Dio è un sa­cri­le­gio”.

Se la re­li­gio­ne è buo­na, i cat­ti­vi non pos­so­no dun­que es­se­re veri cre­den­ti. Il papa ha non a caso ac­com­pa­gna­to l’af­fer­ma­zio­ne so­ste­nen­do che l’Al­ba­nia, dove si tro­va­va in quel mo­men­to, è un pae­se “che ha sof­fer­to per un ter­ri­bi­le re­gi­me ateo”.

Vero. Come è vero che l’I­ta­lia cen­tra­le ha a sua vol­ta sof­fer­to, per se­co­li e non per de­cen­ni, un ter­ri­bi­le re­gi­me to­ta­li­ta­rio: lo Sta­to pon­ti­fi­cio. Per­ché in ogni gran­de re­li­gio­ne – nel cri­stia­ne­si­mo, nel­l’i­slam, nel­l’e­brai­smo, per­si­no nel­l’in­dui­smo e nel bud­d­hi­smo che pur go­do­no di mi­glio­re stam­pa – c’è chi si bat­te per la pace e chi per la guer­ra. Mi­li­tia Chri­sti, piac­cia o no, è un mo­vi­men­to cat­to­li­co come Pax Chri­sti. Be­nin­te­so: an­che nel mon­do ateo c’è chi è in­tol­le­ran­te e chi no. Con l’im­por­tan­te dif­fe­ren­za che, quan­to­me­no, l’a­tei­smo non si basa su te­sti sa­cri in cui, in ma­nie­ra spes­so oscu­ra, c’è scrit­to tut­to e il con­tra­rio di tut­to.

In Si­ria e in Iraq è at­tual­men­te in cor­so una guer­ra, una del­le tan­te che si com­bat­ta­no sul no­stro pic­co­lo pia­ne­ta. Chi l’ha ini­zia­ta non l’ha fat­to in nome del­la su­pe­rio­ri­tà del­la cu­ci­na ara­ba su quel­la di Mc­Do­nald’s. L’ha fat­to in nome del­la sua re­li­gio­ne. Ha dato al mo­vi­men­to un nome mu­sul­ma­no (Sta­to Isla­mi­co) e un ves­sil­lo su cui cam­peg­gia la pro­fes­sio­ne di fede mu­sul­ma­na e si è dato an­che un lea­der re­li­gio­so che è sta­to elet­to “ca­lif­fo”, dun­que suc­ces­so­re di Mao­met­to: un al­tro lea­der re­li­gio­so che qual­che guer­ra in nome di Al­lah l’ha per­so­nal­men­te com­bat­tu­ta. Nei ter­ri­to­ri con­qui­sta­ti si ap­pli­ca du­ra­men­te la sha­ria. L’I­sis ha un’i­deo­lo­gia che è sba­glia­to ri­con­dur­re esclu­si­va­men­te al­l’i­slam: ma è an­co­ra più sba­glia­to, dati alla mano, ne­ga­re che la dot­tri­na isla­mi­ca ne rap­pre­sen­ti la com­po­nen­te pre­pon­de­ran­te. Che lo so­sten­ga­no i lea­der re­li­gio­si ci può sta­re: fa par­te del loro me­stie­re. Ma è ine­vi­ta­bil­men­te que­sto il “me­stie­re” dei lea­der che go­ver­na­no il mon­do?

No, ri­spon­de l’ot­ti­mi­smo del­la vo­lon­tà. Sì, vie­ne ama­ra­men­te da scri­ve­re col pes­si­mi­smo del­la ra­gio­ne. Se po­li­ti­ci e re­li­gio­si non vo­glio­no fare i con­ti con la real­tà, an­che l’u­ma­ni­tà fa una fa­ti­ca boia a pro­gre­di­re. Sono pas­sa­ti or­mai se­co­li dal­l’Il­lu­mi­ni­smo, ma pren­de­re po­si­zio­ne a ra­gion ve­du­ta con­ti­nua a ri­ma­ne­re un’at­ti­vi­tà di nic­chia. E il web non aiu­ta af­fat­to a mi­glio­ra­re la si­tua­zio­ne, anzi. In­ter­net fa di­la­ga­re la po­la­riz­za­zio­ne di grup­po e au­men­ta­re il nu­me­ro di chi fre­quen­ta sol­tan­to chi la pen­sa allo stes­so modo. Si ten­de ad ascol­ta­re una sola cam­pa­na e, se ca­sual­men­te si in­cap­pa in qual­cu­no che si col­lo­ca ai pro­pri an­ti­po­di, spes­so lo si in­sul­ta pe­san­te­men­te, in­di­pen­den­te­men­te dal fat­to che do­cu­men­ti o meno le pro­prie af­fer­ma­zio­ni. Im­pos­si­bi­le or­mai espri­me­re una po­si­zio­ne non estre­mi­sta su Israe­le e la Pa­le­sti­na: chi ce l’ha non la espo­ne, tan­to si è cer­ti di ri­ce­ve­re ba­sto­na­te da una par­te e dal­l’al­tra. Dan­do così ra­gio­ne a Geor­ges San­ta­ya­na, che in un li­bro non a caso in­ti­to­la­to La vita del­la ra­gio­ne so­sten­ne che “il fa­na­ti­smo con­si­ste nel rad­dop­pia­re gli sfor­zi quan­do si è di­men­ti­ca­to l’o­biet­ti­vo”. Con un an­daz­zo del ge­ne­re non si su­pe­ra al­cu­na dif­fi­col­tà e si fi­ni­sce per tor­na­re al­l’al­ba del­l’uo­mo, quan­do la ra­gio­ne (o quel­lo che era al­lo­ra) sta­va sem­pre dal­la par­te del più for­te. In­te­res­sa an­co­ra a qual­cu­no, af­fron­ta­re i pro­ble­mi?

Pare che tra non mol­to tem­po sa­re­mo in tre­di­ci mi­liar­di. Non an­dre­mo però ol­tre, di­co­no. For­se per­ché ci sa­re­mo estin­ti pri­ma. Ve lo im­ma­gi­na­te? Tre­di­ci mi­liar­di di ho­mi­nes (poco) sa­pien­tes di­vi­si in in­nu­me­re­vo­li tri­bù, ognu­na im­pe­gna­ta a com­bat­te­re in­nu­me­re­vo­li ne­mi­ci e a giu­sti­fi­ca­re gli in­nu­me­re­vo­li ne­mi­ci dei pro­pri in­nu­me­re­vo­li ne­mi­ci. Tre­di­ci mi­liar­di di pri­ma­toi­di che si scan­na­no per ave­re l’ul­ti­ma pa­ro­la: non sap­pia­mo se in prin­ci­pio c’e­ra un Ver­bo, ma po­treb­be for­se es­ser­ci alla fine, de­cli­na­to di­scu­ti­bil­men­te. Anno dopo anno, gior­no dopo gior­no, tweet dopo tweet, la spe­ran­za di rea­liz­za­re un mon­do mi­glio­re si af­fie­vo­li­sce fino a di­ven­ta­re qua­si im­per­cet­ti­bi­le. Cer­ca­si ex­tre­ma ra­tio di­spe­ra­ta­men­te. Ir­ra­zio­nal­men­te.

Raf­fae­le Car­ca­no, se­gre­ta­rio Uaar

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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