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Le favole del cardinal Ravasi sulla Santa Muerte

Il Cardinal Ravasi in visita in Messico ha definito il culto alla Santa Muerte come "blasfemo" associandolo ai narcos

 

Il week end scorso alcune edizioni on line di quotidiani e varie testate hanno dedicato degli articoli alla visita del Cardinale Gianfranco Ravasi in Messico e hanno riproposto le sue frasi, poco azzeccate e tendenziose, sulla Santa Muerte, una figura che raccoglie sempre più consensi e devoti dagli USA all'Argentina, ma anche in Europa. Occorre chiarire favole e miti nati sulla Santa Morte, che, in poche parole, si può descrivere come una santificazione popolare della Parca, la cui immagine è rappresentata da uno scheletro coperto da un saio e con il mondo in una mano e una falce nell'altra. Tempo fa parlai della difficile relazione dei media con la Santa in alcuni articoli ("La Santa Muerte e la stampa italiana" Uno e Due) e le ho dedicato un Blog. In Messico come in Italia la vena inquisitrice della Chiesa e le mitologie propalate dai mezzi di comunicazione fanno comodo e sono dure a morire. Cos'ha detto Ravasi?

Riferendosi alle preghiere che i devoti della Santa le rivolgono, ai loro doni (candele, tequila, sigarette, immagini, dolci, ecc…) o ai favori che chiedono, insomma riguardo al suo culto, Ravasi ha definito queste pratiche ”antireligiose” e ha aggiunto: “La religione celebra la vita, ma qui c’è solo morte. Non basta prendere le forme di una religione perché ci sia religione. Questa è blasfemia”. Forse con “qui c’è solo morte” non si riferiva alla Santa Muerte (detta anche Flaquita o Niña Bonita o Blanca), ma proprio al Messico, trasformato in un grosso cimitero (oltre 80mila morti e 27 mila desaparecidos) dai 6 anni di guerra militarizzata al narcotraffico dall’ex presidente Felipe Calderón. Altro che religione e santi, qui si parla di crivellati e decapitati veri.

Poi, ecco un altro virgolettato: “La mafia, il narcotraffico, il crimine organizzato non sono forme religiose. Anche se la ‘Santa Muerte’ viene usata quale forma di religione, non lo sono, non sono parte della religione: sono un elemento di blasfemia. Una degenerazione”. Che il crimine non sia una “forma religiosa”, siamo d’accordo, ma chi ha mai detto il contrario? E chi ha mai detto che la Santa Muerte è una religione? Nessuno. c’è chi ha provato a farne una “Chiesa”, senza successo. C’è chi ha voluto adottarne la figura all’interno di associazioni religiose o incasellarla in pratiche prestabilite e formalizzate (magari con pseudo-bibbie o manuali), ma sempre senza successo.

Il legame tra crimine organizzato, o il narcotraffico, la Santa Muerte e il presunto uso che i criminali ne farebbero è abbastanza fittizio, cioè non corrisponde alla realtà, ma solo alle sue appendici più adulterate e mediatizzate. È una favola creata per demonizzare un culto che esce dagli schemi, ma che ormai ha conquistato ampi spazi nella società messicana: anche se resta legato alle classi più povere e ai lavoratori “a rischio” (operai, poliziotti, custodi, tassisti, conducenti di trasporti pubblici, prostitute, commercianti, camionisti…), la sua diffusione è dimostrata anche nelle classi medie e alte. Il tema è complicato, ma possiamo noi dire che oltre un milione di possibili devoti messicani (forse due o dieci a seconda delle stime) sono delinquenti o legati al crimine organizzato?

Se i devoti della Santa Muerte sono tutti narcos, allora siamo finiti o viviamo in un paese, anzi in un mondo, dove al posto di pane e tortilla mangiamo torte di cocaina e space-cake e magari un messicano su dieci è spacciatore di stupefacenti e ha un pick-up coi vetri scuri antiproiettile. Ma anche se i devoti non fossero milioni, ma solo qualche centinaio di migliaia, verificare l’equazione Santa Muerte=narcos (o delinquenti in generale o detenuti) è una perdita di tempo che, inoltre, ci fa dimenticare la ricchezza dei fenomeni sociali e del sincretismo di queste terre. A Città del Messico la curia le ha provate tutte, ha assoldato esorcisti e seminato altari dei santi cattolici ovunque, ma non ha estirpato il culto “blasfemo” perché ha un profondo radicamento storico e sociale, ancora poco compreso.

Altrettanto parziale e fuorviante è affermare, come suggeriscono le frasi del cardinale, che comunque all’interno dei narco-cartelli messicani il culto principale è quello della Santissima Muerte. Non è così: ricordiamo che i messicani (e i narcos sono messicani anche loro…) sono in primo luogo “guadalupani”, cioè devoti della Madonna (nazionale) di Guadalupe e sono anche molto legati a San Judas Tadeo, santo delle cause perse e dei settori marginali della popolazione.

Il santo dei narcotrafficanti sarebbe (al massimo) Jesús Malverde, più della Santa Muerte. Ma siccome questo non rappresenta un “competitor” per la Chiesa cattolica, viene ignorato. Tra l’altro c’è moltissima gente onesta e timorata che ha un altare di Malverde e, in realtà, c’è una continua stigmatizzazione anche di questo santo popolare dello stato di Sinaloa. Ma una cosa sono i media e l’immaginario del narcotraffico, che in effetti hanno adottato anche (ma non esclusivamente) la Santa Muerte come icona, e altra cosa sono le realtà sociali e culturali.

gianfranco-ravasi

Un po’ di terminologia made in Treccani. Una religione nel diritto canonico: “Denominazione tradizionale (oggi sostituita con istituto di vita consacrata) di una società riconosciuta dall’autorità ecclesiastica, i cui membri (detti religiosi) siano legati dai voti pubblici di povertà, umiltà, obbedienza, secondo le norme della società stessa, allo scopo di realizzare la perfezione evangelica e di condurre opera di apostolato”. Oppure, nell’uso comune, è anche “il complesso dei dogmi, dei precetti, dei riti che costituiscono un dato culto religioso”.

Ecco, la Santa Muerte con questo non c’entra nulla. Ravasi finge di non saperlo per alzare il tiro ed elevare la presunta pericolosità sociale di un culto popolare che è sempre più praticato nelle Americhe e si sta sdoganando dall’immaginario della narco-cultura e della delinquenza per entrare di diritto nel novero delle devozioni autonome, spontanee e non riconosciute dalla Chiesa.

“Blasfemo” è “ciò che contiene una bestemmia” e una bestemmia è “un’espressione ingiuriosa e irriverente contro Dio e i santi e le cose sacre”. “La teologia cattolica distingue una bereticale, quando contenga cose contrarie alla fede, una bsemplice, costituita da mera ingiuria, una bimperativa, se esprima desiderio di un male a Dio; e inoltre una bimmediata, rivolta a Dio direttamente, e mediata, contro la Vergine, i santi, le cose sacre”.

In genere nessun devoto della Santa Muerte insulta Dio né i santi né altre sacre entità (ricordo che la bestemmia contro Dio o la Vergine nella cultura messicana è inesistente, mentre ne sappiamo molto di più in Italia!), ma cerca piuttosto un complemento alla sua fede e alle sue esigenze non più rispettate dalle religioni dominanti. Spesso, però, non si tratta di qualcosa di alternativo o contrapposto al cattolicesimo, ma di un’aggiunta sincretica di elementi rituali diversi tra di loro (tradizioni coloniali messicane, riscoperta di alcune visioni precolombiane, cattolicesimo e giorno dei morti, santería cubana e tradizioni yoruba, per esempio).

Se poi consideriamo come “blasfemo” (o addirittura peccaminoso) il semplice fatto di praticare rituali e culti differenti da quelli della dottrina proposta (o imposta) dalla Chiesa, allora ok, rendere culto alla Flaquita, dal punto di vista di un credente cattolico o di altre religioni, potrebbe essere una bestemmia, ma allora l’attacco non dovrebbe limitarsi ai devoti della Niña Blanca quanto a milioni di persone, credenze e pratiche in tutto il Messico e nel resto del mondo. In proposito è uscita su un blog un’illuminante lettera aperta a Ravasi di un devoto: link.

Ravasi, quando non parla di Santa Muerte e religione, ma dell’educazione come possible antidoto contro la droga, è più coerente ed efficace: “Il crimine organizzato non è cultura ma anti-cultura e deve essere combattuta non solo tramite lo Stato e la polizia, ma proprio attraverso l’educazione, la formazione di un nuovo modello di umanità”. D’accordo. (Fabrizio Lorusso)

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